Report del XVII Meeting “Due Passi nel Mistero”

15 Settembre 2019, Carate Brianza (MB) e Besana Brianza (MI)

(a cura di duepassinelmistero)

 

L’appuntamento con l’annuale ritrovo di collaboratori, amici e simpatizzanti del nostro sito è stato per domenica 15 Settembre 2019, giornata climaticamente ancora estiva. Sole e cielo azzurro hanno allietato l’evento, cui hanno partecipato persone nuove oltre ad alcuni veterani, che abbiamo riabbracciato con grande piacere. Ringraziamo tutti per la presenza e speriamo di avere potuto offrire un’occasione di conoscenza reciproca e un’ esperienza culturale interessante. Ogni anno il nostro Meeting si svolge all'insegna della natura, della cultura, dell'enogastronomia e naturalmente di un immancabile pizzico di mistero!

Il ritrovo è stato fissato nei pressi della splendida Villa Cusani-Confalonieri a Carate Brianza (MB), una delle “ville di delizia” che i signori – dal Cinquecento in avanti - si fecero costruire nella verdeggiante Brianza, in prossimità del fiume Lambro. Questa dimora ha però una storia ben più lunga delle altre, essendo sorta in posizione dominante sulle rovine dell’antico castello di Carate, un borgo che fu sotto il dominio dei duchi di Milano ma la cui storia affonda in epoche imprecisate.

Carate Brianza si trova esattamente al centro di un triangolo virtuale che congiunge le città di Milano, Como e Lecco.  In epoca romana vi era molto probabilmente un pagus nell’attuale frazione di Agliate (dove sorge la splendida Basilica di San Pietro e Paolo, oggetto della nostra visita pomeridiana), divenuto poi pieve in epoca cristiana. Da Carate passava l’importante strada romana detta Via Regina che, partendo dal porto fluviale di Cremona, giungeva in Val Chiavenna passando per Milano. Trovandosi dunque in una posizione strategicamente favorevole, intorno al Mille sorse un fortilizio a dominio della Valle del Lambro, nel punto più elevato della cittadina e dove in seguito sarebbe sorta Villa Cusani-Confalonieri, la prima meta del nostro Meeting.

I Confalonieri, ghibellini e feudatari di Agliate dal IX al XV secolo, trasformarono il vecchio maniero in una splendida residenza di campagna dove trascorrere sei mesi all’anno, godendo del buon clima e di una natura prodiga. Fu Valerio Confalonieri a volere la trasformazione del castello in dimora signorile, inglobando il mastio nell’architettura seicentesca e creando un meraviglioso giardino all’italiana con parterre di bossi. Nella seconda metà del XIX secolo nella villa risiedette per molti anni Teresa Casati, moglie del patriota risorgimentale Federico Confalonieri. Diverse statue dovevano allietare le passeggiate dei signori nel parco, probabilmente in numero maggiore di quelle che residuano oggi; un po’ ci sentiamo parte di quell’epoca anche noi, mentre percorriamo i vialetti recentemente sistemati e ammiriamo il contesto davvero meraviglioso.

All’interno della Villa sono alloggiati uffici di servizio e la Biblioteca Comunale (il complesso fu acquistato dal Comune negli anno ’70 del secolo scorso). Il Parco, in forte declivio verso nord-est, arrivava un tempo fino al fiume ed era circondato, ieri come oggi, da mura. Con recenti restauri sono tornati in luce i merli alla ghibellina del mastio, che erano stati coperti. La Villa fu progettata con un corpo a "U"; alcuni edifici di servizio furono tuttavia abbattutti nel XIX secolo. il portico è sorretto da quattro eleganti colonne doriche risalenti al 1500. La residenza occupa circa 820 mq, mentre il parco circa 2000 mq. La villa ha tre piani (7 locali al piano terra; 3 al primo piano e tre al secondo); diversi camini con stemmi arricchiscono alcune sale. Il livello interrato è esteso solo ad alcune parti; gli ambienti di questo sotterraneo sono collegati da archi a sesto acuto. Nella storiografia del castello è interessante la presenza di un profondo cunicolo o passaggio segreto che lo unirebbe ad una torre che era posta sull’altra sponda del fiume. Si favoleggia di un tesoro che vi sarebbe custodito ma rimarrà probabilmente sempre e solo una leggenda, dato che tale cunicolo sarebbe stato chiuso all’inizio del XX secolo e mai più riaperto perché probabilmente crollato.

Nel Parco, aperto al pubblico nel 1976, si trova l’interessante Oratorio di S. Maria Maddalena, datato al 1300 e ritenuto l’originaria Cappella privata del Castello. A quel tempo il castello  non apparteneva ai Confalonieri (che sarebbero subentrati più tardi) ma ai Del Bene, che sono da ritenersi i committenti anche della Cappella. L’edificio fu ampliato e reso nelle forme di chiesetta (giesolo in dialetto) grazie al lascito di frà Gabriele Del Bene, monaco gerosolimitano priore della domus milanese di S. Croce e S. Maria del Tempio. Per tale motivo castello e chiesa sono in qualche modo collegati ai Cavalieri Templari. Il Castello dei Del Bene (ghibellini) fu distrutto da Federico Barbarossa nel XII secolo, durante le sue lotte contro Milano. Venne ricostruito qualche tempo dopo e solo quando la sua funzione difensiva venne meno, fu trasformato in residenza signorile.

Nella parte meridionale si estende un piccolo labirinto circolare di siepi di bosso (Buxus sempervirens), Aucuba japonica e Ilex aquifolium.  Recentemente sono stati condotti dei lavori di restauro del giardino storico, con rimodellatura delle siepi del labirinto, per anni trascurato; senza tagli corretti che tenessero conto della forma da mantenere, i bossi si sono infatti sviluppati fino a perdere le giuste proporzioni e curvature del disegno regolare originario.

Il nostro gruppo si è quindi portato davanti alla facciata ovest dell’Oratorio, esterna al parco, che ha perso il carattere romanico per via di ripetute trasformazioni ma che tutto sommato è riuscito ad arrivare ai giorni nostri in buono stato conservativo. Presenta struttura in mattoni e sassi di fiume intonacati nella parte superiore. Una finestrella in forma di croce è presente in facciata e  una identica nella zona absidale; il rosone centrale, con ghiera in cotto accuratamente lavorata, è stato aperto probabilmente in epoca rinascimentale. Il portale è sormontato da un lunettone privo di iconografie. L'architrave e gli stipiti laterali, rovinati, presentano dei simboli scolpiti di tipo fitomorfo e geometrico.

Durante il periplo del parco di Villa Cusani-Confalonieri, ne abbiamo raccontato la storia, ammirandone la flussureggiante vegetazione. I signori amavano molto circondarsi di elementi arborei che avessero un simbolismo preciso, oltre che esteticamente belli a vedersi. i più antichi Carpinus betulus che il giardino ospita (gli altri sono di piantagione più recenti) sono ai lati del cancello; sul lato est della villa troviamo invece gli storici Tassi potati a forma di cono. In questo punto erano cresciute piante e arbusti  infestanti, che sono stati eliminati consentendo di tornare a godere del panorama di ampio respiro sulla valle del Lambro; è stata inoltre curata una piantagione bassa e molto decorativa di fioriture stagionali. Uscendo dal cancelletto che dà su via San Bernardo abbiamo notato il tasso drasticamente potato (perchè gli erano mancate le stagionali potature) mentre sulla destra, in un piccolo edificio, è allestito il significativo Museo Storico dei Vigili del Fuoco di Carate, che espone macchinari usati nel soccorso e nello spegnimento degli incendi dalla fine del XIX secolo.

Abbiamo quindi fatto una breve visita alla piazza principale di Carate, dove svetta la statua di Sant’Anatalone e dove prospetta la mole della chiesa prepositurale dei SS. Ambrogio e Simpliciano, collocata al termine di un’alta gradinata; l’edificio vanta antiche origini ma è stato pesantemente rifatto tra XVIII e XIX secolo. Superbo il campanile di stile romanico, considerato tra i belli della Brianza.

Un veloce trasferimento in auto ci ha condotto nella frazione di Costa Lambro dove era presente, anticamente, un secondo castello, chiamato dell’Aia. L’area, a ridosso del fiume, era un tempo ricca di mulini che sfruttavano la forza dell’acqua. Abbiamo prenotato il pranzo presso il caratteristico Ristorante “Grotte di Realdino”, il più antico della Lombardia, probabilmente. Qui aveva sede infatti una locanda fin dal 1722, trattandosi di una zona di intenso passaggio di mercanti (lanaioli e trasportatori di sacchi di farina) che trovavano un pasto caldo e se volevano anche un letto per dormire; potevano inoltre effettuare il cambio dei cavalli.

Le grotte divennero famose nel corso del 1800, e attorno ad esse sorsero numerose trattorie e osterie; nel XX secolo le grotte di Realdino richiamarono l’attenzione dei milanesi, che arrivavano qui a bordo del mitico tram “gamba de lègn”. Unendo l’utile al dilettevole, si sviluppò un detto: “A Realdino si visita l’acqua e si beve il vino”! Particolarmente suggestiva è stata la visita alle grotte, specialmente a quelle interne alla struttura un tempo usata per consumare il pranzo. Notevolissime anche quelle esterne, nella zona dove abbiamo pranzato: una location unica, con cibo genuino e accompagnati dal piacevole suono dell’acqua che scorre nelle grotte, attorno alle quali si è formata una vegetazione autoctona, tra cui una varietà di delicatissimo muschio. Ma che grotte sono, quelle di Carate Brianza? Sono rientranze naturali scavate nel ceppo, dalle quali sgorga acqua ininterrottamente. Il nome “Realdino” affonda le radici nella leggenda, al tempo dei Longobardi: si narra ch un figlio della regina Teodlinda si sarebbe gravemente ammalato; venne suggerito alla regina di immergerlo nelle acque che sgorgavano dalle grotte e che venivano raccolte in vasche; le acque, si diceva, avevano proprietà salubri e infatti il giovinetto guarì (morì qualche tempo dopo in combattimento).

Scultura immersa nell'acqua che impersonifica "Realdino", il figlio della regina longobarda Teodolinda. Dal soffitto calcareo scendono meravigliose stalattiti forate, attraverso cui passa l'acqua, fenomeno suggestivo e ambiente surreale, fantastico!

 

Dopo esserci ricompattati con coloro che hanno optato per il pranzo al sacco, ci siamo diretti nella frazione di Agliate, dove abbiamo visitato il complesso romanico della Basilica e del Battistero dei SS. Pietro e Paolo. Sono due gioielli meravigliosi, con una lunga storia che inizia da epoche remote.

Parte absidale del complesso: da sinistra a destra il Battistero di S. Giovanni Battista (XI secolo), la sacrestia settecentesca, il campanile, la Basilica (XI secolo)

Facciata della Basilica dei SS. Pietro e Paolo

Abbiamo potuto vedere alcuni reperti romani, reimpiegati nella Basilica: anzitutto le colonne che dividono le tre navate sono elementi di spoglio. La prima sul lato destro cela, alla base, un’intera ara sacrificale romana con dedica a Giove, intorno alla quale si vedono tracce della muratura precedente. Sulla parete della navata destra, poco oltre l’ingresso, abbiamo potuto vedere appese quattro importanti testimonianze provenienti da scavi iniziati già nel 1875: da destra a sinistra una stele funeraria epigrafe di incerta cronologia e poco leggibile; una lastra funeraria del II secolo d.C. con dedica ai coniugi Sextilii; una lastra paleocristiana funeraria che cita un lettore, tale Albino; un segnacolo agrimensorio medievale che riporta – in quattro quadranti – la parola CARATE (foto nella galleria a fine articolo).

L'ara con dedica a Giove alla base della prima colonna della navata destra

La prima colonna della navata sinistra è molto importante perché era un miliario romano e reca tre iscrizioni (fu riutilizzata già in antico): la prima menziona l’imperatore Giuliano l’Apostata (361 d.C.) ed è quella più chiara, rivolta verso la navata centrale: altre due iscrizioni si trovano sul lato opposto e si leggono capovolte (segno che il miliare fu reimpiegato). Una nomina ancora Giuliano e l’altra è più tarda e cita altri due imperatori (Magno Massimo, 383-388 d.C.) e Flavio Vittore (384-388 d.C.). Procedendo lungo la navata sinistra si noterà lo scavo alla base della quarta colonna, che mostra una porzione di un’ ara romana (un’altra porzione della stessa ara sembra essere stata usata come capitello per la colonna di fronte). La penultima colonna della navata sinistra mostra un capitello degno di attenzione: su tutti e quattro i lati sono scolpiti due delfini che si abbeverano ad un kantharos: dal centro dell’anfora emerge un tridente, associato al dio Nettuno o ad una divinità fluviale (il reperto potrebbe appartenere ad un tempio pagano). Il gruppo si è mostrato molto attento e ammirato di fronte a questi simboli che il cristianesimo ha sincretizzato. Dopo avere ammirato gli affreschi residui del catino absidale, delle pareti della navata centrale e un bell’affresco trecentesco di Madonna del Latte (navata sinistra), siamo scesi nella cripta, anch’essa a tre navate, divise da quattro coppie di colonnette i cui capitelli sono romanici, eccetto uno, che è del IX secolo.

Base della quarta colonna della navata sinistra con reimpiego di un' ara romana

Capitello con delfini che si abbeverano ad un kantharos da cui emerge un tridente

A sinistra: reliquie di San Biagio, al di sotto dell'altare nella omonima cappella, che precede la discesa nella cripta (foto a destra)

Vari momenti della visita all'interno della Basilica

Per visitare il bellissimo battistero di S. Giovanni Battista bisogna uscire dalla Basilica perché un tempo i due edifici, secondo i dettami di Sant’Ambrogio, dovevano essere separati. Quello di Agliate, situato a sud rispetto alla chiesa, è uno dei meglio conservati in Lombardia e conserva ancora la vasca battesimale ad immersione al centro del pavimento; era dotata di canalizzazioni per immettere l’acqua e portarla fuori. Nel catino absidale abbiamo ammirato tracce di affreschi dell’XI secolo mentre ad epoca più tarda appartengono i restanti affreschi superstiti sulle altre pareti. La nascita del complesso risale probabilmente all’epoca paleocristiana quando, dopo la caduta dell’Impero Romano, il cristianesimo si organizzò in pievi, sui modelli dei pagi (circoscrizioni romane territoriali rurali al di fuori dei confini territoriali della città), accentrati sui luoghi di culto (pagani prima, cristiani poi).

Un momento della visita all'interno del Battistero

Le pievi erano centri di evangelizzazione nelle campagne; potevano arrivare ad avere sotto di sé decine e decine di altre chiese. Quella di Agliate, nata probabilmente attorno al VI secolo e decaduta soltanto con la soppressione napoleonica nel 1797,  arrivò ad accentrare ben 23 chiese alla fine del XIII secolo, diffuse su un territorio molto vasto. Per rinforzare la conversione dei pagani, il battesimo divenne il sacramento più importante per un cristiano, una forma di iniziazione: lo si effettuava da adulti, dopo lunga e consapevole preparazione e prevedeva un rituale ben preciso. Abbiamo parlato di questo argomento diffusamente nel nostro articolo "Battisteri: tombe e matrici".

Sul prato antistante il battistero abbiamo notato una stele funeraria, un ennesimo reperto di epoca romana che fu riutilizzato come pavimento di una tomba nella chiesa precedente a quella attuale (il manufatto fu scoperto nel 1990 durante scavi archeologici nella navata destra). Il bel Campanile non ci ha tratto in inganno: lo stile è neoromanico ed è del XIX secolo. Portandoci nel prato retrostante la Basilica abbiamo potuto ammirare, in tutto il loro splendore, le tre absidi della chiesa e quella del Batttistero, per realizzare la quale l’architetto dovette dividere in due il lato dell’ottagono in modo che esternamente i lati risultano nove (ma all’interno non lo si nota).

 

Il Battistero: nella parte absidale il lato fu diviso in due per poterla realizzare; in tal modo, all'esterno, i lati risultano nove

Dopo tante meraviglie, ci siamo concessi una pausa all’ombra dei frondosi alberi del parco, per ripartire con nuovo vigore alla volta di Besana Brianza (MI), frazione Brugora, dove abbiamo visitato un gioiello poco noto: l’antica abbazia di S. Pietro, uno dei più importanti complessi religiosi della Brianza romanica. Fu fondata nel 1102 dalla famiglia Casati e fu donata ai Benedettini, che vi insediarono una comunità femminile di clausura. Per poterla visitare è stato necessario, preventivamente, ottenere l’autorizzazione da parte della Fondazione “Scola”, ente gestore della Casa di Riposo che da molti decenni è collocata nell’ex monastero [1].

Dell'antico cenobio resta il portale romanico, la torre campanaria, alcuni tratti di muratura e parti del chiostro grande

Prima di entrare, ci siamo soffermati davanti alla facciata per ammirare i simboli superstiti che ammiccano da un passato lontano: espressivi volti, figure fitomorfe intrecciate, elementi zoomorfi e antropomorfi arricchiscono soprattutto la strombatura del portale (foto nella galleria in fondo all'articolo). Il tipico linguaggio dei maestri della pietra romanici.

Grazie ad un gentile e simpatico volontario (Dino, che ringraziamo ancora pubblicamente), abbiamo potuto conoscere e ammirare vari ambienti del complesso: la chiesa “pubblica” e quella “interna” (che appartenne alle suore di clausura) che ci ha veramente sorpreso per la sua raffinata bellezza, con affreschi bellissimi e interessanti, il chiostro grande con il pozzo, la Cappella della Casa di Riposo, anch’essa con interessanti dipinti che ci hanno stimolato ad approfondire le vedute immortalate dall’ignoto pittore nella “Crocifissione”. Il primo impatto è stato con il chiostro piccolo, per poi accedere al chiostro grande, dotato di pozzo, tramite il quale il signor Dino ci ha condotto nella chiesa "pubblica", cioè quella aperta ai fedeli e che lo era anche durante il periodo di clausura. La distinzione tra una chiesa aperta alla gente e una ad uso esclusivo delle suore (chiamata "Coro delle monache", che seguivano la S. Messa da una inferriata e ricevevano l'Ecucaristia da una piccola finestrella) fu operata nel XV secolo (prima, evidentemente, non vi era la clausura).

L'attuale aspetto interno della chiesa pubblica è settecentesco, quando il complesso conobbe una nuova fase di rinascita artistica, prima di venire soppresso nel 1797. Dino ci fa notare i raffinati medaglioni a stucco che impreziosiscono le superfici e le pale dell’altare che completano questa riqualificazione barocchetta. Ma ci dice anche qualcosa di molto interessante e per certi versi misterioso:  la novità di questo ambiente è infatti una vera e propria scoperta avvenuta nell’ambito degli ultimi restauri (campagna condotta tra 1998-1999): dietro la pala dell’altare maggiore (una Crocifissione d’inizio del 1600), si nascondeva da secoli una pittura murale sconosciuta, una grandiosa Ultima Cena di sapore tardo-manieristico, la quale ha la particolarità di svilupparsi non orizzontalmente, come di consueto, ma in prospettiva verticale. Ignoto è il nome del pittore e sappiamo che poco tempo dopo averla realizzata, fu coperta con una pala di Daniele Crespi, raffigurante lo stesso soggetto. Perchè tutta quella fretta di coprire il dipinto precedente? Bisognerà approfondire! Nel 1805, sotto il governo napolenico, la pala del Crespi venne staccata e trasferita alla Pinacoteca di Brera a Milano (non è mai stata restituita). La Crocifissione che andò a coprire l'Ultima Cena prese il posto del dipinto del Crespi e lì rimase fino a pochi anni fa, quando venne scoperta- al di sotto- appunto l'Ultima Cena. Allora venne staccata e collocata nel locale attiguo alla chiesa (sacrestia).

La Crocifissione è opera di artista ignoto; per un paio di secoli ha coperto l'Ultima Cena sopra l'altare

Il nostro gruppo ha ammirato con attenzione l'apparato architettonico e artistico della chiesa pubblica, facendo diverse domande al signor Dino, che si è dimostrato molto disponibile. Usciti nuovamente nel chiostro, ci siamo quindi recati a vedere l'antica chiesa interna delle suore di clausura o "sala del coro", che confina con la chiesa esterna ma è da essa divisa da una parete (vi era la grata che si è detto). Come abbiamo varcato la soglia di questo ambiente, si sono uditi i nostri versetti di ammirazione unanime per la raffinatezza dell'insieme! La sala, non più avente funzione religiosa, è adibita a riunioni, conferenze ed eventi culturali. Le volte sono a crociera e alle pareti si trovano bellissimi affreschi cinquecenteschi con "Storie di Maria" (Natività, Assunzione e Incoronazione).

Parete absidale di quella che doveva essere la chiesa interna o "coro delle monache" di clausura. Le suore sono raffigurate ai lati del rosone (che contiene l'immagine di Gesù Cristo) in atto di preghiera (in origine doveva trovarsi un dipinto, al posto del rosone?)

Da questo "spioncino" le monache di clausura ricevevano l'ostia consacrata dalle mani del celebrante durante la S. Messa, che si svolgeva nella chiesa proprio al di là della parete

Uscendo nuovamente nel chiostro e attraversandolo, abbiamo notato un bel pozzo, un tempo prezioso rifornimento d'acqua per il cenobio. Abbiamo visto anche dei lacerti di affreschi sulle pareti della galleria porticata. Da questo lato si accede alla Cappella della Fondazione, sita nell''ex refettorio conventuale. E' qui collocata, sulla grande parete di fondo, una grande Crocifissione datata 1512. L'autore però rimane ancora ignoto. Gli studiosi propendono per un maestro legato stilisticamente ad alcune botteghe milanesi, molto vicino a Giovanni Donato da Montorfano, che a  quel tempo lavorava a Milano sia per i Benedettini che per i Domenicani in S. Maria delle Grazie (è lui che realizzò il grande dipinto situato di fronte alla celeberrima Ultima Cena di Leonardo).

Quale paesaggio è ritratto nel dipinto? Alcuni di noi se lo sono chiesto, insieme ad altre domande, anche perchè nell'opera sono inserite diverse curiosità cui prestare attenzione (come una sorta di belva, in basso verso sinistra, dalle cui fauci esce una gamba!). Vi è un monte centrale, su cui si svolge la scena della Crocifissione di Gesù e dei due ladroni, contornato dalle acque. Sull'altura si vede un edificio fortificato mentre, all'estrema destra, spicca su un precipizio una chiesetta con campanile (la copertura sembra di ardesia, tipico materiale scuro).

Particolare del personaggio che tiene la canna con la spugna imbevuta di aceto: si noti il prominente doppio gozzo, tipico degli abitanti delle valli lombarde a causa della mancanza di iodio nell'acqua potabile (la patologia prende il nome di "cretinismo" e ha varie forme di gravità)

La chiesetta con campanile raffigurata nel dipinto. Il pittore probabilmente immortalò un edificio reale, che potrebbe ancora esistere. Ma dove?

Il sig. Dino e alcuni di noi durante la visita alla Cappella della Fondazione

Dopo questa entusiasmante visita guidata, ci siamo diretti nella frazione Valle di Guidino (comune di Besana Brianza), dove ci ha atteso l’ultima sorpresa: l’apertura dell’area del Sasso del Guidino, che è normalmente chiusa (vanno richieste le chiavi in Comune)! Essa è sul confine della proprietà privata di una grandiosa residenza (Villa Guidino, sorta su un complesso fortificato medievale che fu possesso del Monastero Benedettino di Brugora, di cui si è parlato poc’anzi). ) e il masso è comunque visibile poichè protrude dalla muraglia. In occasione della Magnalonga (un evento annuale che si tiene a Besana Brianza) il cancelletto che lo protegge era però aperto ed è stato possibile entrare nell'area. Abbiamo così potuto ammirare in tutta la sua possanza il gigantesco trovante, portato giù dai ghiacciai della zona della Val Malenco (Valtellina, SO) e depositato al termine dell’ultima glaciazione. Il macigno, di roccia serpentinosa, è Monumento Naturale Regionale e misura 9 x 5 x 6 metri. La sua importanza risiede nel fatto che è il masso erratico situato più a sud della Lombardia: segno che il ghiacciaio arrivò fin qui (è indice della massima estensione glaciologica verso sud). Da sempre dovette suscitare curiosità; prima della spiegazione scientifica della presenza di questi massi erratici (ben diversi geologicamente dal suolo su cui appoggiano), li si riteneva caduti dal cielo, scagliati da esseri sovrumani o divini.

Nella fattispecie, attorno al Sasso di Guidino si sviluppò la credenza che fosse stato scagliato dalla dea celtica Morrigan; fino a pochi anni fa era ancora conosciuto come “stella di Guidino”. E' verosimile che attorno al macigno si fosse sviluppato una sorta di culto da parte dei Celti insubri, stanziati nella zona. Vedendolo da vicino ci siamo avveduti della presenza di una sorta di scaletta intagliata nella roccia (se fosse naturale, sarebbe straordinaria!), la quale non raggiunge la base del Sasso. Ci si doveva arrampicare per raggiungerla? I gradini terminano in prossimità della faccia superiore del trovante e sarebbe interessante scoprire se proprio lì vi sia qualcosa che può far pensare concretamente ad un uso cultuale del masso (coppelle, vaschette, o altro), come fosse stato un arcaico altare.

Il luogo è apparso a tutti denso di fascino e interesse.

 

 

Che ne dite? Una giornata decisamente intensa e ricca di emozioni, che ha spaziato dalla natura all'archeologia, dalla buona tavola all'arte  e alla simbologia, lasciandoci riflessioni, emozioni, curiosità. Perchè senza quest'ultima non vi sarebbe nemmeno lo stimolo a conoscere e a ricercare. Ringraziamo ancora i convenuti e diamo appuntamento al prossimo anno!

 

[1] Per conoscere la storia vedasi il sito ufficiale della Fondazione

[2] https://www.fondazionegscolaonlus.com/det_fondazione-262-Il_Patrimonio_artistico#