Mostra a Vercelli "La Magna Charta"
Guala Bicchieri e il suo lascito
(report di visita a cura di duepassinelmistero)
Il 14 Aprile abbiamo visitato l'irripetibile mostra dedicata alla famosa e storica "Magna Charta Libertatum" (Grande Carta delle Libertà), documento duecentesco custodito in sole quattro copie, di cui la meglio conservata si trova nell'archivio capitolare della Cattedrale di Hereford in Inghilterra. Ed è proprio quest'ultima la protagonista della mostra: è la prima volta in assoluto che tale pergamena esce dalla sua patria e viene concessa per un'esibizione. "Come mai è giunta a Vercelli?", si chiederà qualcuno. Il sottotitolo della mostra stessa è un indizio fondamentale: Guala Bicchieri e il suo lascito. Il personaggio (nato a Vercelli nel 1150 e morto nel 1227) fu cardinale e diplomatico presso la Santa Sede, nonchè fondatore della Basilica di Sant'Andrea, di cui nel 2019 ricorrono gli 800 anni dalla fondazione.
Guala ebbe un ruolo di primissimo piano nella stesura del documento inglese e vediamo perchè. In qualità di legato pontificio fu inviato in Inghilterra al tempo delle dispute tra il re Giovanni Senza Terra e i baroni, che minacciavano una ribellione. Il re si era visto costretto a firmare un trattato nel 1215 in cui si impegnava a fare concessioni ai baroni stessi (cui si era unito il vescovo di Hereford), ma non solo: vi era regolamentata la giustizia, l'aumento delle tasse, i rapporti tra Stato e Chiesa, la libertà di commercio e altre importanti questioni che, di fatto, limitavano l'abuso di potere del sovrano e concedevano dei diritti ai sudditi. Quel documento prese il nome di Magna Charta ed è considerata il prototipo di una Carta Costituzionale, una grande conquista civile. Dopo poche settimane, però, Giovanni Senza Terra sconfessò il documento, asserendo di non averlo firmato di propria volontà ma dietro costrizione. Chiese e ottenne il sostegno dell'allora pontefice, Innocenzo III, che credette al sopruso e dichiarò "nulla per sempre" la validità della Carta.
La reazione dei baroni non si fece attendere: fomentarono una ribellione, con l'intenzione di chiedere aiuto ai francesi per essere sostenuti militarmente. A quel punto il papa inviò in Inghilterra Guala Bicchieri: era il 1216 e la guerra era in corso. Il cardinale aveva direttive per appoggiare il re inglese, essendo la Santa Sede da sempre pro-monarchia. Di lì a poco il sovrano morì prematuramente, lasciando erede al trono il figlioletto Enrico, troppo piccolo per regnare. Guala e il conte di Pembroke (Guglielmo il Maresciallo) divennero tutori del fanciullo e per evitare ulteriori attriti con i baroni, stesero una nuova versione della "Magna Charta". Chiaramente portava la firma del giovanissimo re e dunque ricevette il pieno sostegno papale. La guerra, tuttavia, non si spense subito: fu necessario reprimere i focolai ancora accesi, sconfiggere i ribelli rimasti e i loro alleati francesi per garantire a re Enrico III di regnare con solidità. Per accontentare le parti avverse, ad ogni modo, i tutori del sovrano dovettero scendere a un compromesso con i baroni, classe sociale che contava, e redassero un'ennesima versione della Magna Charta nel 1217. Era molto simile alla precedente ma conteneva alcune modifiche e nuove clausole; essa costituì la base per tutte le successive edizioni dello Statuto. Di fatto è la prima che può essere chiamata, in senso stretto, Magna Charta ed è una versione più breve di quella del 1215. Più o meno nello stesso periodo venne firmato dalle parti anche un documento più piccolo che regolamentava la gestione delle foreste reali e per questo chiamata "Carta delle Foreste".
La Magna Charta Libertatum fu trascitta in diverse copie, perchè tutti gli organi competenti la conoscessero e ne prendessero atto; ne restano oggi quattro soli esemplari, come già accennato all'inizio. Quello proveniente da Hereford lo abbiamo appunto ammirato in questa mostra. Successivamente alla versione del 1217 vennero stilate nuove versioni nel corso del tempo. Chiarito quindi il legame strettissimo tra lo storico documento e Guala Bicchieri, torniamo al 1217. Per i servigi espletati, il legato pontificio ricevette una cospicua rendita e, al ritorno dall'Inghilterra nel 1219, gli fu concesso dal pontefice di fondare un'abbazia nella sua Vercelli. Con il denaro accumulato, Guala fondò così il suo cenobio e l'Ospedale per i pellegrini, il primo trasformato nel tempo e oggi coincidente con il magnifico complesso abbaziale di Sant'Andrea e il secondo con l'edificio dirimpettaio, denominato "Ex-Ospedale Maggiore (Salone DUgentesco)", entrambi situati lungo la Via Francigena. Ricorrendo quest'anno 800 anni dalla fondazione della Basilica, la mostra celebra degnamente l'evento.
La mostra
E' stata inaugurata il 23 marzo e terminerà il 9 giugno 2019, tra pochissimi giorni dal momento in cui stiamo scrivendo. E' allestita nella ex- chiesa di San Marco, attuale polo espositivo Arca. Con la visita alla mostra abbiamo anche potuto ammirare l'antica e sconsacrata chiesa di S. Marco (XIV-XV secolo), che presenta affreschi meravigliosi. Il percorso celebrativo non si limita a questa sede: prosegue infatti (per chi lo desidera) nell'Archivio di Stato di Vercelli, nel Museo Leone, nel Museo del Tesoro del Duomo e nel Museo Borgogna.
In questa sede dell' Arca sono esposti, oltre alla "Magna Charta", alcuni documenti e oggetti appartenuti a Guala Bicchieri o a lui connessi strettamente e che ne rievocano in vario modo le gesta e la fama. Oltre a un paio di ritratti postumi del cardinale (un dipinto di Giovan Battista Ferrari del XVII secolo e un ritratto del 1847 di Pietro Narducci), possiamo conoscere come fossero le sue fattezze reali tramite un sigillo di cera conservato nella Bodleian Library di Oxford, eseguito quand'egli era ancora vivo: si tratta di una riproduzione fotografica fedele all'originale di uno dei sei sigilli esistenti al mondo, che Guala usava per gli atti diplomatici ufficiali. Sul sigillo volle impressa la sua figura, in modo che oggi possiamo avere un'idea di quale volto avesse. Tutti i sigilli sono conservati in Inghilterra, e sono associati a copie della Magna Charta, non ne esiste uno in Italia...
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Tre raffigurazioni di Guala Bicchieri: 1) ritratto in un dipinto di Giovan Battista Ferrari del XVII secolo; 2) un ritratto del 1847 di Pietro Narducci; 3) sigillo in cera naturale del primo quarto del 1200, eseguito quando il cardinale era ancora in vita e considerato il ritratto più attendibile. Il prelato è raffigurato imberbe, con indosso la mitria e la veste pontificale, le braccia aperte in segno di preghiera. Manca il bastone pastorale, che non gli spettava essendo un cardinale presbitero e non un cardinale vescovo
Dagli oggetti in mostra appartenuti al Bicchieri, possiamo intuire che gusti avesse: raffinati e colti. Probabilmente fu un collezionista di oggetti artistici preziosi della sua epoca. Si ritiene che egli, portando con sè gli oggetti raccolti durante i suoi viaggi, abbia importanto il gusto gotico dall'Europa settentrionale a Vercelli. Guala visitò Poitiers, Limoges, Parigi, Canterbury, Oxford, Londra, Salisburgo e da ciascuno riportò un considerevole numero di oreficerie, smalti, reliquiari, paramenti sacri e codici miniati, un vero e proprio tesoro.
Come lo splendido cofano da viaggio, di manifattura francese (Limoges), normalmente conservato al Museo Civico di Torino (si può trovare una esaustiva descrizione qui): fu scoperto nella Basilica di S. Andrea tra il 1822-'24 durante dei lavori di restauro e doveva contenere le sue spoglie. Le vicende delle ossa di Guala è tutt'altro che semplice, essendo state rinvenute una prima volta nel 1611 e attribuite al cardinale (ma non è certo che fossero le sue). Tornando al cofano, sappiamo che fu utilizzato dal cardinale come baule da viaggio per gli arredi liturgici, le oreficerie e i documenti che portava con sé durante gli spostamenti (tutto il contenuto fu chiamato "tesoro"). Guala possedeva ben più di un cofano da viaggio, sembra ne avesse almeno sei, attestati dall'inventario effettuato alla sua morte nel 1227. Furono custoditi nell'abbazia di S. Andrea fino a quando i Canonici Lateranensi, subentrati nel monastero vercellino nel 1459, li portarono via, trasferendosi nella nuova abbazia di S. Stefano a Biella.
Si ritiene che tutti i bauli fossero arricchiti di splendidi medaglioni cesellati come si vede su questo in mostra, ma desolatamente furono dispersi. Si sa per certo che 23 di quei medaglioni furono incastonati nel 1556 sui dossali e nel coro ligneo della chiesa abbaziale di Biella. Nel 1861-'65 iniziò tuttavia la dispersione maggiore, quando don Francesco Servo vendette i sette medaglioni esposti separatamente in questa mostra; dopodichè il Comune di Biella decise di alienarne altri (avendo preventivamente fatto eseguire delle copie dagli allievi della Scuola Professionale: le analisi hanno confermato la differenza nei materiali).
In realtà in mostra vi sono 9 medaglioni, ma due di essi appartenevano sicuramente al cofano di cui è mostrata la foto poco sopra. Internamente sono di rame sbalzato con il disco esterno in smalto champlevé con motivi a girali in rame reservé, completati da dischi decorati da motivi floreali. Il cuore dei medaglioni reca coppie di draghetti, con occhi in paste vitree blu, affrontati o sovrapposti; una delle coppie tiene tra le fauci un pesce. Gli altri sette probabilmente provengono da uno o due dei sei cofani appartenuti a Guala perchè presentano uno stile e una tecnica esecutiva simile a quella del fronte del cofano. Al centro sono rappresentati animali, figure fantastiche e un uomo che lotta con un drago, mentre il disco esterno in smalto blu champlevé reca motivi fitomorfi (tipologia che si diffonde a partire dal primo quarto del 1200). I motivi illustrati sui medaglioni del cofano sono estremamente interessanti perchè, oltre ad essere dei capolavori di microscultura dei primi anni del XIII secolo, rimandano alla corte plantageneta, che Guala Bicchieri conosceva bene perchè l'aveva frequentata.
"La serratura in rame sbalzato, traforato, inciso e dorato, raffigura due creature ibride, degli uomini-aquila – con volto e torso maschile e parte inferiore del corpo piumata, con zampe d’uccello – che si affrontano con clave e scudi bombati; le code di questi due esseri terminano con fioroni esotici a tre petali, le cosiddette palmettes-fleurs, un motivo ornamentale proprio del gôut plantagenêt, cioè il gusto raffinato della corte dei sovrani Plantageneti, che nel Medioevo, dopo il matrimonio di Eleonora d’Aquitania con Enrico II Plantageneto nel 1154, esercitarono il loro dominio sulla regione dell’Aquitania nel sud-ovest della Francia, entro i cui confini si trovavano sia Conques che Limoges" (fonte).
Nelle foto seguenti ammiriamo invece i quattro medaglioni che si trovano su uno dei lati corti del cofano esposto in mostra. Abbiamo ritagliato l'immagine per mostrarli a due a due:
Un falconiere a cavallo (a sinistra) con minuziosa descrizione dei dettagli (sella, sottopancia e staffe) e una scena di combattimento di cavalieri a piedi (uno si copre il volto con uno scudo rosso su cui campeggia una stella a sei punte)
Un cacciatore di lepri che porta sulle spalle la trappola di legno e i bastoni che gli sono appena serviti per catturare e uccidere la lepre che tiene nella mano sinistra, e una scena di combattimento di cavalieri a piedi
Sull'altro lato corto troviamo un uomo armato che combatte un leone, un cavaliere e una dama che si abbracciano, una dama che saluta un cavaliere già montato a cavallo, un uomo che uccide un grosso agnello o ariete. Sul cofano di Guala sfilano dunque quei motivi romanici che già occhieggiavano al gusto gotico; motivi militari ma anche legati al tema dell’amor cortese e alla poesia trobadorica, particolarmente apprezzata presso la corte d’Aquitania all’inizio del Duecento. Mancano simboli prettamente religiosi.
Tutto ciò che possedeva Guala, compresa la ricca biblioteca, fu lasciato con legato testamentario all'abbazia di S. Andrea e da lì poi disperso in varie sedi.
E' il caso dell'intressantissimo coltello eucaristico appartenuto a Guala e dal 1800 è conservato nelle raccolte del Castello Sforzesco di Milano (fu regolarmente acquistato). Lo si può ammirare in una vetrina della mostra vercellina, e ci ha veramente sorpreso, non avendo mai incontrato un reperto del genere, fino ad ora. Il reperto, datato XIII secolo, è assai particolare. Anzitutto la sua origine è sconosciuta. Una leggenda macabra lo circonda: avrebbe infatti ucciso Thomas Becket, niente meno. Sarebbe divenuto quindi quasi una reliquia...
La sua funzione non è però quella di arma da offesa ma si ritiene fosse quella di tagliare il pane eucaristico in occasione di Messe solenni, come usava fare nelle abbazie benedettine.
La sua forma è curiosa: guardate la lama... E osservate il breve manico, cioè l'impugnatura: vi si srotolano tre registri con il ciclo dei mesi (4 sul primo, 4 sul secondo, 4 sul terzo). Un lavoro di grande abilità e raffinatezza!
La cosa più enigmatica di tutte, però, è la frase riportata sul coltello, un avvertimento: «Apporterò sventura a chi volesse farmi suo, farò felice chi mi tiene. Nessun altro quindi mi voglia. Bene ciò si intenda anche se sono poca cosa". Un'ammonizione che sembra stridere con la funzione eucaristica dell'oggetto.
La sua funzione non è però quella di arma da offesa ma si ritiene fosse quella di tagliare il pane eucaristico in occasione di Messe solenni, come usava fare nelle abbazie benedettine.
La sua forma è curiosa: guardate la lama... E osservate il breve manico, cioè l'impugnatura: vi si srotolano tre registri con il ciclo dei mesi (4 sul primo, 4 sul secondo, 4 sul terzo). Un lavoro di grande abilità e raffinatezza!
La cosa più enigmatica di tutte, però, è la frase riportata sul coltello, un avvertimento: «Apporterò sventura a chi volesse farmi suo, farò felice chi mi tiene. Nessun altro quindi mi voglia. Bene ciò si intenda anche se sono poca cosa". Un'ammonizione che sembra stridere con la funzione eucaristica dell'oggetto.
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Il coltello eucaristico di Guala Bicchieri visto in alcuni dei suoi dettagli: 1) il manico in legno di bosso finemente intagliato da un abilissimo artigiano esperto nella lavorazione dell'avorio; su tre registri sono rappresentati i mesi dell'anno ripartiti in quadrimestri, con particolare attenzione al ciclo del grano (la semina (Ottobre), l'eliminazione delle erbe cattive (Giugno), la mietitura (Agosto) e la battitura (Settembre); 2) iscrizione latina in distici elegiaci; 3) parte terminale dell'arnese
Oltre agli oggetti, sono presentati in mostra importanti documenti d'archivio originali: prima tra tutte la concessione da parte del podestà Pruino de Incoardi, secondo le volontà dei Sapienti della Credenza del Comune di Vercelli, delle richieste che erano state avanzate da Guala Bicchieri per spostare il tracciato di un corso d'acqua che scorreva nel luogo dove egli voleva fondare l'abbazia; inoltre aveva inoltrato la richiesta di approvvigionarsi di pietre e laterizi necessari alla costruzione. La pergamena è molto importante a livello storico perchè conferma il momento in cui l'edificio prese vita: porta la data del 21 febbraio 1219 e le richieste del cardinale furono tutte accolte (anzi il Comune gli donò alcune case e 40 lire pavesi per indennizzare l'abate di S. Stefano per alcuni danni, probabilmente derivanti dallo spstamento del corso d'acqua).
In mostra anche un frammento documentario originale della notifica in estratto, effettuata dal vescovo Pelagio il 30 luglio 1227 (due mesi dopo la morte del Bicchieri) delle volontà testamentarie di Guala che egli aveva fatto redigere il 29 maggio 1227 (due giorni prima del decesso, avvenuto il 31), in cui si dichiarava il S. Andrea di Vercelli erede universale dei suoi beni. Il documento si sposa perfettamente con la copia del testamento del cardinale, conservata presso l'Archivio di Stato della città.
Altro importante codice in mostra sono le Concordanze bibliche attribuite a Tommaso Gallo (quest'ultimo fu nominato da Guala come suo successore e, di fatto, primo abate di S. Andrea).
Il teologo pervenne a Vercelli da S. Victor di Parigi e nella città piemontese fondò un'importante scuola di teologia, che fa ulteriormente capire il clima culturale di prim'ordine che si respirava nel primo quarto del Duecento a Vercelli e i rapporti che deteneva in ambito europeo.
Cosa confermata da un ennesimo documento, la "Carta dello studio e degli scolari iscritti nello studio di Vercelli" del 1228, in cui si gettavano le basi per la futura Università che prevedeva il trasferimento a Vercelli dello Studium di Padova. Questo spostamento da parte di rettori e scolari doveva durare almeno 8 anni, utilizzando i 500 alloggi messi a disposizione del Comune vercellese.
Questi documenti sono riuniti, insieme ad altri, in due codici chiamati Biscioni, che sono da sempre conservati nell'Archivio Comunale di Vercelli.
Al termine della visita a questa mostra che ci ha tenuto incollati alle vicende del cardinale Bicchieri, che conoscevamo poco, alla "Magna Charta" (che probabilmente non rivedremo mai più dal vivo), e alle curiosità che abbiamo imparato attraverso i suoi oggetti e i documenti, possiamo riflettere su chi fosse Guala, sulla sua opera di dipomazia ma anche sulla sua personalità sicuramente emancipata, intrisa di un medioevo che- lungi dall'essere buio - fu ricco di scambi ideologici tra nord e sud Europa e oltre (non dimentichiamo che era anche il periodo delle Crociate in Terrasanta). Su quella Via Francigena egli fondò, ricco del bagaglio culturale accumulato nei viaggi e nei rapporti intrapresi, quanto di più bello e utile potesse avere una città aperta al mondo come la Vercelli del XIII secolo.
- E' d'obbligo una visita alla sede dell'esposizione, la ex chiesa di S. Marco, di cui ci limitiamo a pubblicare alcune immagini degli affreschi recentemente recuperati.