Vicino Orsini e il Sacro Bosco di Bomarzo (VT) 

Seconda parte

(puoi leggere la prima parte

  • Le fasi costruttive del Sacro Bosco

Ricostruire la successione nella erezione dei monumenti del Sacro Bosco è complicato in quanto non si sono trovati finora dati certi ma solo accenni ad essi nell’epistolario di Vicino, in particolare nelle lettere inviate al Drouet, ai cardinali Farnese e Madruzzo e ad Annibal Caro, e proprio grazie alle lettere di quest’ultimo, indirizzate all’Orsini e a suo cognato Conti, si suole affermare che i lavori del Sacro Bosco erano iniziati tra il 1563 e il 1564, ma per alcuni, come il Calvesi, si potrebbero retrodatare al 1552[1].

Anche difficile determinare quale sia stato il progressivo sviluppo del Sacro Bosco: l’unica affermazione che si può fare è che, se ci si basa sulle modalità costruttive, si possono distinguere i monumenti eretti con opera muraria, come il Tempio a Giulia Farnese, la Casa pendente e il cosiddetto Teatro, e quelli creati utilizzando le rocce naturali di tufo presenti sui due terrazzamenti della collina voluti dal Vicino per rendere più agevole l’accesso alle diverse regioni del Sacro Bosco. Ma anche questa distinzione in due gruppi non dà alcun indizio preciso sulla progressione costruttiva nel tempo.

Il problema della ripartizione temporale delle opere si risolverebbe se si potesse dare risposta a una domanda: Vicino seguiva un programma stabilito fin dall’inizio dei lavori oppure l’idea di ogni singola opera nasceva nella sua immaginazione creativa sulla base di nuove ispirazioni? Come se non bastasse, a complicare la ricerca di un “percorso” nel Sacro Bosco va tenuto presente anche il fatto che, a causa dell’abbandono di esso dopo la sua morte, molti monumenti sarebbero stati spostati dalle piogge e dai terremoti[2] o deteriorati nel tempo e quindi non si può nemmeno essere certi della loro originaria posizione. Ad esempio, è impossibile affermare con certezza quale sia l’inizio del “percorso” da seguire: dal Tempietto detto del Vignola a scendere in basso verso la zona del Teatro per poi risalire (questa l’interpretazione del Calvesi)? oppure dalla cosiddetta Panca etrusca, la cui scritta chiaramente introduce ai misteri del Sacro Bosco[3]? o dalle scritte poste oggi come basamento delle due Sfingi all’attuale ingresso[4]?

Purtroppo non vi è modo di rispondere a questa domanda, ma una possibile ricostruzione del “percorso” è che non ci sia un vero e proprio “percorso”, cioè che i monumenti del Sacro Bosco vadano letti per gruppi separati e non come un racconto iniziatico diviso in tappe prestabilite dall’Orsini. Già anni or sono Lanzi[5] aveva proposto un’interpretazione del significato dei monumenti non collegata alle opere artistiche o letterarie del tempo dell’Orsini, ma al significato alchemico dei singoli gruppi scultorei, come aspetti delle fasi dell’Opera o come tappe di riflessione offerte al viaggiatore che visita il Sacro Bosco con intendimenti non solo artistici o di curiosità.

L’ipotesi che invece segue il Calvesi, forse la più “omogenea” tra tutte quelle proposte, si basa sulla possibile provenienza dei simboli concretizzati da Vicino nella prima parte del “percorso” sul viaggio di Polifilo descritto nell’Hypnerotomachia del Colonna dopo la morte di Polia, e nel secondo sui poemi cavallereschi del tempo di Vicino, scritti da Ludovico Ariosto e da Bernardo e Torquato Tasso (di sicuro Bernardo era in buoni rapporti di amicizia con la casa Orsini, considerata la citazione del nome di Vicino che fa nel suo poema Amadigi).

Di certo Vicino Orsini si dimostra nella creazione del Sacro Bosco uomo colto e raffinato, contrariamente a quanti lo considerano piuttosto un “provinciale”, studioso di testi antichi e moderni, da Seneca a Francesco Colonna e Angelo Bocchi, e certamente, se si considerano i suoi stretti rapporti con personaggi della famiglia dei Farnese e dei Colonna, anche conoscitore dell’Esoterismo di cui si hanno così tante testimonianze di alto livello nella Tuscia del suo tempo. Tutto ciò non vuol dire che per forza Vicino abbia attinto le idee per i manufatti del Sacro Bosco dai testi di questi autori e in particolare dai poemi cavallereschi o da ciò che era stato fatto da altri prima di lui, imitando le figure gigantesche del Madruzzo o di Giulio Romano, o ancora dalle macchine sceniche delle rappresentazioni teatrali del suo tempo, come ritiene invece il Calvesi: l’immaginazione di Vicino (nel senso che al tempo aveva ymaginatio, tenuta ben distinta dalla phantasia e dai phantasmi), cioè la partecipazione al mondo delle Idee secondo quel platonismo che era rinato con l’opera di Marsilio Ficino dell’Accademia neoplatonica di Firenze.

  • I possibili percorsi del Sacro Bosco

Calvesi presenta una ricostruzione cronologica dei due possibili “percorsi” e delle fasi intermedie basata, come si è detto, sull’ipotesi che l’Orsini abbia attinto prima all’opera di Francesco Colonna e poi ai poemi cavallereschi dei suoi contemporanei.

  1. 1553-1556: la Casa pendente per il Calvesi sarebbe precedente il vero e proprio “percorso” del sacro Bosco: se il “primo percorso” si interpreta in relazione all’Hypnerotomachia e il “secondo percorso” ai poemi cavallereschi di Ariosto e dei due Tasso, la Casa pendente sarebbe del tutto estranea al contesto della prima fase costruttiva[6], che Calvesi considera in preciso riferimento all’opera di Francesco Colonna. L’edificio sarebbe stato eretto nel periodo tra la prigionia di Vicino per mano dagli Spagnoli durante l’assedio di Hesdin e la sua liberazione, quindi tra il 1553 e il 1556, o dalla moglie Giulia come una specie di ex voto per il marito o ancora dai due coniugi come ringraziamento per il ritorno a Bomarzo dell’Orsini, e la dedica al cardinale Madruzzo che si legge sul fianco della Casa pendente potrebbe esserne la testimonianza, se il Madruzzo (ma questa è solo un’ipotesi) fosse intervenuto a sollecitarne la liberazione, essendo in ottimi rapporti con la corte di Spagna ma anche conoscente dell’Orsini e in stretto rapporto di amicizia con il cardinale Alessandro Farnese, con cui Vicino era imparentato.

Un altro elemento del sacro Bosco antecedente l’inizio dei lavori è la Cascata sotto la quale sorge il Proteo, in quanto di essa ne scrive Vicino in una lettera ad Alessandro Farnese dell’Aprile 1561: “Una cascata che ò fatto dal muro del lago del mio boschetto[7].

Che l’idea della Casa pendente sia stata tratta dall’Orsini, come scrive il Calvesi[8], da una tavola delle Symbolicarum quaestionum del Bocchi mi sembra fuorviante, in quanto il Symbolum CXLIII del Libro V mostra l’impresa della famiglia Ruina in cui si vede una torre la cui parte superiore sta crollando mentre la base è ben fissa al suolo, come nella XVI carta dei Tarocchi di Marsiglia Fig. 3, e quindi non è veramente “pendente” come il monumento di Bomarzo.

Fig. 3. “Tarocchi di Marsiglia”: lama XVI, La Torre

  1. 1561-1564: la morte di Giulia costituisce un punto cruciale nella vita di Vicino, che abbandona gli incarichi pubblici per ritirarsi a Bomarzo. A questo periodo corrisponderebbe la prima fase costruttiva del Sacro Bosco, ispirata secondo il Calvesi alla storia di Polia, la donna amata da Polifilo. Se così fosse, il primo “percorso” del Sacro Bosco partirebbe dal Tempietto, attestato probabilmente in una lettera di Annibal Caro di Ottobre del 1564, dove Giulia è celebrata come centro dell’universo circondata dai simboli del Sole e dello Zodiaco, secondo la pianta che disegnò nel 1598 Giovanni Guerra[9] - Fig. 4 -e sotto l’impresa della Fenice, simbolo d’immortalità (ma anche impresa del cardinal Madruzzo) che si vede al centro del soffitto del pronao. Il suo sepolcro terreno sarebbe la falsa Tomba etrusca che si trova ai piedi del colle; proseguendo dopo la Casa pendente sarebbero stati costruiti una serie di monumenti che riprenderebbero alcuni temi dell’Hypnerotomachia: il Teatro con accanto la statua di Venere (da altri interpretata come Iside, ma forse raffigurazione dell’Alchimia, come si vede in un affresco di Castel S. Angelo voluto da Paolo III Farnese, il cui una donna tiene in mano una gabbietta con dentro un piccolo drago[10]), le Erme e gli Obelischi (in realtà riposizionati in questo punto), i Falsi ruderi, il Ninfeo e la Fontana del Pegaso, della quale il pittore Giovanni Guerra ci ha conservato una versione più completa (Fig. 5). Questa serie di elementi troverebbero un riscontro abbastanza preciso in un eguale percorso seguito da Polifilo nella prima parte dell’Hypnerotomachia[11].

Fig. 4. Giovanni Guerra: pianta del Tempietto di Giulia Orsini, detto “del Vignola” (le immagini del Guerra sono tratte da: Giovanni Guerra, Disegni, 1598, Vienna, Albertina, Graphische Sammlung, https://echo.mpiwg-berlin.mpg.de/, Max Planck Institute for the History of Science, licenza CC-BY-SA, consultato 01/06/2023)

Fig. 5. Giovanni Guerra: Fonte caballino di Buon Martio (Fontana del Pegaso

 

  1. Posteriori al 1565 e precedenti il 1580 (?): il Calvesi propone queste date per due monumenti che furono eretti alla fine del “primo percorso”, la Tartaruga e la Fama con le ali e il Gigante squartatore, ambedue di dimensioni gigantesche.

L’amore per il gigantesco potrebbe essere sorto in Vicino con lo stringersi dei suoi rapporti con il cardinale Madruzzo, il quale a partire dal 1560 aveva iniziato i lavori per la sua villa di Soriano su di una preesistente costruzione acquistata proprio dagli Orsini[12], in cui fece costruire la Fontana Papacqua con le enormi figure della Faunessa e di Pan. Fra l’Orsini e il Madruzzo si accrebbe il rapporto già esistente che andò oltre il “buon vicinato”, essendo i due feudi confinanti, rinsaldato anche dalla conoscenza dei due con il cardinale Alessandro Farnese: vi fu un reciproco scambio di visite e di regali tra Bomarzo, Soriano e Caprarola, come testimoniano numerose epistole intercorse tra di loro.

Calvesi sottolinea il particolare interesse che il Madruzzo sembra aver avuto verso il gigantesco sia in pittura che in scultura[13], di cui sarebbe testimonianza la conoscenza del Madruzzo con il pittore Giulio Romano, che tre decenni prima aveva affrescato nel Palazzo Tè di Mantova per i Gonzaga una Gigantomachia, tema che Vicino adottò per affrescare una loggia del suo Palazzo, chiedendo consiglio ad Annibal Caro (ma non vi è traccia nell’epistolario della conoscenza da parte di Vicino del lavoro di Giulio Romano).

Dei due monumenti di cui si è detto la Tartaruga e la Fama con le ali avrebbe rapporto con l’Hypnerotomachia in quanto rappresentazione visiva del motto Festina lente di Francesco Colonna (nella statua di Bomarzo non vi è traccia delle due trombe presenti nel disegno del Guerra - Fig. 6 e 7 - e il secondo sarebbe invece dipendente da un episodio dell’Orlando furioso[14] Fig. 8: in una lettera del 1578 al Drouet Vicino scriveva di voler modificare una statua di Orlando, che quindi già esisteva, e quindi secondo il Calvesi i due personaggi sarebbero Orlando impazzito per amore che squarta un contadino e non, come ora si chiama, Ercole che squarta Caco, rappresentazione che in effetti non ha alcun riscontro nei racconti mitici romani, in cui Ercole uccide Caco stritolandolo tra le braccia.

Questa statua segnerebbe secondo il Calvesi il punto di transizione nei piani di Vicino per il Sacro Bosco dall’utilizzo di strutture architettoniche a complessi statuari giganteschi scolpiti nel tufo e dal passaggio del progetto costruttivo sulla base dei riferimenti all’opera del Colonna a quelli ai poemi cavallereschi dell’Ariosto e dei due Tasso, padre e figlio.

Fig. 6. Giovanni Guerra: Fontana della Tartaruga e della Fama

Fig. 7. La Fontana della Tartaruga e della Fama come si vede oggi (da www.storicang.it, sito del National Geographic, pubblico dominio)

Fig. 8. Giovanni Guerra: Orlando e il pastore

 

  1. 1580 (?) – 1585 (?): in un periodo imprecisato, che andrebbe comunque situato tra la creazione dei due monumenti della Tartaruga e dell’Orlando e la morte dell’Orsini, che fino all’ultimo lavorò al completamento del Sacro Bosco, vennero scolpite le statue che si trovano sui due terrazzamenti costruiti tra il Ninfeo e il Teatro a valle e il Tempietto sul sommo del colle. Secondo il Calvesi l’idea di queste opere sarebbe in gran parte dipendente da episodi dei poemi cavallereschi o dalle “macchine teatrali” che venivano costruite per le rappresentazioni sceniche.

L’insieme di esse potrebbe raffigurare la regione infera posta sotto il dominio di Plutone, secondo l’identificazione che fa il Calvesi[15] della statua nota come Nettuno (probabilmente si tratta di un Fiume, affiancato da mostri acquatici e con la cornucopia simbolo dell’abbondanza dei raccolti irrigati (fig. 9), una regione fatta di figure mostruose e gigantesche per suscitare meraviglia e spavento nei visitatori.

Fig. 9. Statua del Fiume, nota come Plutone o Nettuno (da www.storicang.it, sito del National Geographic, pubblico dominio)

 

Per il Calvesi si tratterebbe di una raffigurazione della foresta incantata della Gerusalemme liberata, la “Selva di Saron” del Canto XIII abitata da Plutone, ma troppi elementi in questa regione del Sacro Bosco non sono riconducibili a storie cavalleresche: accanto a Plutone si trova il gruppo dell’Elefante in battaglia, vi sono animali mostruosi, come il Drago che lotta col leone (Fig. 10), la fontana con l’Echidna e la Sirena bicaudata e i due leoni maschio e femmina, il Cerbero, l’antro dell’Orco (che contiene una tavola adatta a banchetti e festeggiamenti e non strumenti infernali), la statua di Cerere (probabilmente non Proserpina come ritiene il Calvesi[16]), tutti elementi non collegabili ai poemi di Ariosto e dei Tasso. 

Fig. 10. Giovanni Guerra: Il Drago e i due leoni

 

In conclusione, molte considerazioni contrastano con la ricostruzione dei “percorsi” del Sacro Bosco che fa il Calvesi, il quale a sua volta rileva le discrepanze esistenti nel lavoro di altri autori che si sono interessati all’argomento a partire dalla Theurillat[17] e dal Bredekamp. Il volersi a tutti i costi legare all’ipotesi della monumentalizzazione da parte dell’Orsini di idee estratte da opere letterarie o artistiche risulta alla fine incompleta e in troppi casi forzata; inoltre, sottovaluta le capacità creative e sapienziali di Vicino Orsini, relegandolo al ruolo di un semplice “illustratore” del pensiero altrui.



[1] Calvesi, Gli incantesimi di Bomarzo, pp. 109-110.

[2] Bomarzo è classificato come zona a rischio sismico 2°, e l’ultimo evento nella zona del grado 2,2 della scala Richter si è verificato il 16 Maggio 2023 con epicentro a Vasanello, a pochi chilometri da Bomarzo (fonte: INGV).

[3] Voi che pel mondo gite errando vaghi / di veder maraviglie alte e stupende / venite qua dove son faccie horrende / elefanti leoni orsi orche et draghi.

[4] Tu ch’entri qua pon mente parte a parte / et dimmi poi se tante meraviglie / sien fatte per inganno oppur per arte.

[5] Claudio Lanzi, Il Giardino dei “mostri” di Bomarzo, pubblicato sul sito www.simmetriainstitute.com il 18 Maggio 2008.

[6] Calvesi, Gli incantesimi di Bomarzo, pp. 114-116.

[7] Calvesi, Gli incantesimi di Bomarzo, p. 132.

[8] Calvesi, Gli incantesimi di Bomarzo, p. 114.

[9] Giovanni Guerra, Disegni, 1598, Vienna, Albertina, Graphische Sammlung, https://echo.mpiwg-berlin.mpg.de/, Max Planck Institute for the History of Science, licenza CC-BY-SA (consultato 01/06/2023). I disegni del Guerra, a cui più volte il Calvesi fa riferimento, riguardano sia il Sacro Bosco di Bomarzo che la Villa di Pratolino presso Firenze (poi Villa Demidoff, ora proprietà del Comune di Firenze), costruita da Francesco I de’ Medici a partire dal 1568. Per una descrizione dell’interessante Villa alchemico-ermetica di Pratolino fatta poco dopo il suo completamento si veda M. Francesco de’ Vieri, Delle maravigliose opere di Pratolino e d’Amore, in Firenze appresso Giorgio Marescotti 1587); una descrizione contemporanea con particolare attenzione ai significati alchemico-ermetici delle costruzioni della Villa: Costanza Riva, Pratolino, Il sogno alchemico di Francesco I de’ Medici, ed. Sillabe, Firenze 2013. Rimando anche ai numerosi saggi di Paola Maresca, in particolare Giardini incantai, boschi sacri e architetture magiche, ed. Pontecorboli, Firenze 2006.

[10] Si veda Paolo Galiano L’Ermetismo di papa Paolo III Farnese dalla Tuscia a Roma sul sito www.simmetriainstitute.com.

[11] Calvesi, Gli incantesimi di Bomarzo, pp. 122-134.

[12] Calvesi, Gli incantesimi di Bomarzo, p. 144. Il Palazzo di Soriano, con le gigantesche figure della Fontana Papacqua, è ora Palazzo Chigi-Albani.

[13] Calvesi, Gli incantesimi di Bomarzo, pp. 149-150.

[14] Calvesi, Gli incantesimi di Bomarzo, pp. 158-159.

[15] Calvesi, Gli incantesimi di Bomarzo, pp. 223-226.

[16] Calvesi, Gli incantesimi di Bomarzo, p. 231.

[17] Jacqueline Theurillat, Les mystères de Bomarzo et des jardins symboliques de la Renaissance, Trois Anneaux, Paris 1973.

 

Avvertenza ai gentili lettori: questo lavoro è in DUE parti. Si pubblica in data 13/06/2024 dietro autorizzazione dell'autore, Paolo Galiano. Vietata la riproduzione senza il suo consenso.