Globster, blob e altre carcasse
(Massimo Centini)
La storia dei mostri marini è caratterizzata da un singolare corpus di testimonianze che dal passato giunge fino a oggi con il suo strascico di mistero. Ci riferiamo ai resti organici quasi sempre rinvenuti sulle spiagge e, in misura minore, avvistati o ripescati al largo delle coste. Sono convenzionalmente definiti globster, o blob, di fatto ammassi di difficile identificazione, in cui tessuti, carne o più raramente ossa, costituiscono un insieme spesso di grandi dimensioni. L’apparente impossibilità, agli occhi dell’opinione pubblica, di giungere a una collocazione precisa di queste masse organiche, ha fatto sì fossero oggetto di illazioni e di suggestive ipotesi, quasi sempre però ridimensionate dagli scienziati.
Questi resti, non sono attribuibili con facilità a una specie nota anche perché nella maggioranza dei casi si rinvengono in avanzato stato di decomposizione.
Tra i casi storici di globster vi è quello registrato il 30 novembre 1896 a Saint Augustine in Florida: una grossa massa organica fu rinvenuta sulla spiaggia in avanzato stato di decomposizione.
Dewitt Webb, medico della zona appassionato di scienze naturali, che per primo ebbe modo di visionare il reperto, ipotizzò che si trattasse dei resti di una balena, ma in seguito, viste le caratteristiche dei tessuti, suggerì la possibilità che si trattasse di un grande cefalopode, insomma una piovra gigante. Ipotesi non ancora suffragata dalla presenza di tentacoli. Le fotografie scattate in quei giorni sono purtroppo andate perdute e del “mostro” di Saint Augustine ci restano altre foto realizzate tempo dopo, quando il reperto era già notevolmente decomposto e dalle quali non è possibile trarre alcuna informazione; vi sono inoltre alcuni disegni frammentari.
Si stimò che la massa pesasse cinque tonnellate e che in origine il corpo di quella creatura potesse essere lungo oltre sette metri e con tentacoli di trenta metri! Mentre una parte dell’opinione pubblica pensava entusiasticamente che quei resti gelatinosi e con un odore insopportabile appartenessero a una piovra gigante, gli zoologi che ebbero modo di dire la loro – pare solo osservando fotografie e disegni – si limitarono a ipotizzare che la misteriosa carcassa appartenesse a un calamaro gigante. Va detto che dall’analisi di uno dei disegni sembrerebbe di poter evincere la presenza di tronconi di tentacoli, in realtà ancora troppo poco per collegare quei resti a un grande cefalópodo. Il dottor Webb riferì che nei giorni successivi allo spiaggiamento della misteriosa carcassa, furono rinvenuti, intorno ad essa, resti di tentacoli, il più lungo misura sette metri e mezzo: però non è rimasta traccia di questi importanti reperti, solo la testimonianza del medico.
Si consideri che il più grande polpo conosciuto, che ha il proprio habitat nel Pacifico settentrionale, l’Octopus dofleni, che può pesare circa mezzo quintale e con tentacoli di sei metri.
Alcuni campioni prelevati dal corpo del “mostro” di Saint Augustine furono analizzati da Addison E. Verrill, docente a Yale e imminente zoologo esperto di cefalopodi: dopo una prima analisi, il professore non escluse che i resti rinvenuti sulla spiaggia della Florida appartenessero a un polpo gigante, in seguito battezzato Octopus giganteus verrill (D. Cohen, The Encyclopedia of Monster, New York 1941, pagg. 141-146; cfr. A.E. Verrill, “American Journal of Science”, Gennaio 1897).
Webb inviò notizie e campioni sia a Verrill che al professor William H. Dall, curatore della sezione molluschi al National Museum di Washington: ma nessuno dei due scienziati ebbe modo di vedere de visu il resti del misterioso globster. Sta di fatto che, a seguito di maggiori approfondimenti, Verrill cambiò versione, sostenendo che malgrado la scarsa presenza di grasso, i tessuti analizzati presentavano peculiarità tali da renderli più affini a quello di un cetaceo che di un polpo. Tesi sorretta anche da Frederic A. Lucas del National Museum, per il quale l’analisi di quei campioni confermava le ipotesi di Verrill, poiché “la sostanza ha lo stesso aspetto del grasso di balena, ha l’odore del grasso di balena, ed è grasso di balena, né più né meno”.
La vicenda ha però un seguito. Nel 1957 un ricercatore consulente dell’Ocean Sciences Department of the Naval Undersea Research and Development Laboratory di San Diego, Forrest G. Wood, ebbe modo di analizzare alcuni campioni del “mostro” di Saint Augustine conservati sotto formalina: “mezza dozzina di grossi pezzi duri di materiale fibroso, immersi in una miscela torbida di garza, formalina e probabilmente anche alcool: il tessuto aveva un aspetto saponoso ed era molto duro, bianco e fibroso” (R.P. Mackal, Alla ricerca degli animali misteriosi, Bologna 1986, pag. 63). Le sue osservazioni lo condussero ad affermare che quei reperti avevano caratteristiche tali da rendere credibile la loro attribuzione alla piovra, piuttosto che ai calamari giganti (F.G. Wood, An octopus trilogy. Part. 1. Stupefying colossus of the deep, in “Natural History”, 80, 1971, pagg. 15-24). Wood fu criticato negli ambienti scientifici poiché non pubblicò i protocolli utilizzati nella sua indagine: quindi non fu possibile giungere ad alcuna conclusione certa.
Una ventina di anni dopo un altro scienziato, Roy Mackal, effettuò ulteriori analisi stabilendo che le parti conservate sottoposte ai test “erano essenzialmente grossi pezzi di collagene, contenuta nelle cartilagini e nei tessuti connettivi, e non grasso di balena” (R.P. Mackal, Biochemical analysis of preserved octopus giganteus tissue, in “Criptozoology”, 5, 1986, pagg. 52-62). Anche in questo caso non mancarono le critiche, ma Mackal non cambiò parere, sostenendo che l’Octopus giganteus verrill fosse “un cefalopode eccezionalmente grande, probabilmente una piovra non identificabile con alcuna specie conosciuta”.
Mentre Mackal effettuava le sue ricerche, il 25 aprile 1977, a circa trenta chilometri ad est di Christchurch (Nuova Zelanda) il peschereccio giapponese “Zuiyo Maru” recuperava, con la rete a strascico, la carcassa decomposta d. un animale irriconoscibile. A una prima analisi risultava lungo una decina di metri. I mass media si impossessarono della notizia e ben presto ci fu chi suggerì che si trattasse dei resti di un plesiosauro.
“Sebbene non esistano prove fossili (come il ritrovamento di ossa recenti) che dicano che il plesiosauro sia sopravvissuto alle grandi estinzioni del Creataceo, avvenute circa 70 milioni di anni fa, c’è chi pensa che questo animale sia sopravvissuto e sia responsabile in alcuni casi di supposti avvistamenti di mostri o serpenti marini” (A. Albini, Metti il mostro marino nella rete, in “Quaderni del Cicap”, 6, 2005, pag. 164).
L’analisi dei tessuti dei resti pescati a Christchurch evidenziò la presenza di ceratotrichia, fibre cornee caratteristiche degli elasmobranchi (ved. BOX1), attestando così l’appartenenza del reperto a uno squalo elefante (Cethorinus maximus) (P. Saggese – M. Mosca, All’ombra dei falsi mostri. Criptozoologia, tradizioni popolari e scoop giornalistici, Torino 2009, pag. 29).
Ricordiamo che il Cethorinus maximus, detto "squalo elefante" è il secondo pesce più grande al mondo dopo lo squalo balena (Rhincodon typus); un cetorino normalmente misura nove metri di lunghezza e talora può arrivare a dodici metri con un peso di dieci tonnellate in genere si nutre di plancton. Lo squalo balena è mediamente lungo dodici/quattordici metri, con peso di diciotto tonnellate, ma si stima che possa raggiungere anche i venti metri di lunghezza e pesare fino a oltre trenta tonnellate. Ha una prospettiva di vita di oltre sessant’anni anni di età e si ipotizza possa arrivare fino al secolo.
Quando la carcassa venne raccolta sul “Zuiyo Maru”, il suo peso si aggirava intorno ai nove quintali, quasi tutti i membri dell’equipaggio pensarono che si trattasse di una balena in decomposizione. Prima di essere ributtata in mare la massa venne fotografata e inoltre furono prelevati alcuni campioni di tessuti.
Al ritorno in porto del peschereccio, i reperti furono analizzati da alcuni scienziati che sostennero la tesi del plesiosauro: una nemesi del mito Godzilla! Il governo giapponese realizzò addirittura un francobollo commemorativo che riproduceva lo scheletro del plesiosauro e il Museo nazionale di scienze. Così, per un po’ di tempo in molti pensarono che negli oceani si celassero ancora diretti discendenti dei rettili del Triassico, ma dopo maggiori e più approfondite analisi dei campioni, tutta la comunità scientifica confermò che quella misteriosa e inquietante massa pescata al largo della Nuova Zelanda era quanto restava di uno squalo di ragguardevoli dimensioni.
Pochi mesi dopo (settembre 1977), sulle coste dell’isola giapponese di Hokkaidō, fu rinvenuta un’altra carcassa con caratteristiche analoghe a quelle de resti pescati in aprile. Non vi fu però l’identica eco mediatica e ben presto il “mostro” venne identificato come uno squalo elefante.
Glen J. Kuban che studio il caso giunse alla conclusione – anche in seguito al ritrovamento nei campioni della carcassa di Hokkaidō di una sostanza cartilaginosa e di una proteina tipiche degli quali e della razze – che “non esistevano specie di rettili fossili che si accordano con l’animale esaminato (…) la creatura non apparteneva ai rettili plesiosauri” (G.J. Kuban, Sea-monster or Shark? An Analysis of a Supposed Plesiosaur Carcass Netted in 1977, in “Reports of the National Center for Science Education” , n. 3/ 17, 1997, pagg. 16-28).
Uno tra i casi più recenti di resti di “mostri marini” rinvenuti spiaggiati risale all’inizio del mesi di luglio 2003 ed è noto come il blob cileno. Fu ritrovato sulla spiaggia di Los Muermos, in Cile: una massa che misurava poco meno di tredici metri di lunghezza, cinque di larghezza e uno di altezza, con un peso di tredici tonnellate. Accanto a questa misteriosa massa ne vennero rinvenuti anche i resti in decomposizione di una megattera. Subiti si escluse che il blob potesse essere ciò che restava di una balena, non si escluse la possibilità che si trattasse di un calamaro gigante privo dei tentacoli, o di una specie sconosciuta.
Da parte di numerosi scienziati furono però sollevati molti dubbi, sorretti da oggettivi risultati basati sui casi precedentemente studiati seguendo protocolli d’analisi documentati con precisione e che conducevano alla certezza che circa il novanta per cento di globster e blob è riconducibile alla balena in putrefazione. Si consideri infatti che una carcassa di balena può galleggiare anche per alcuni mesi mentre il processo di decomposizione segue il suo iter naturale; quanto la putrefazione è giunta al punto in cui i tessuti non sono più in grado di sorreggere le ossa, soprattutto il cranio e la colonna vertebrale, queste precipitano verso il fondo del mare, mentre la massa di matrice fibrosa in decomposizione contenente la proteina collagene continua a galleggiare e occasionalmente finisce sulla terraferma.
Dopo un’attenta serie di analisi, tra le quali quella del Dna, zoologi e genetisti stabilirono che i resti del “mostro” di Los Muermos appartenevano a una balena, come quasi tutti quelli rinvenuti e di cui era stato possibile trarre campioni di tessuto da analizzare seguendo procedure scientifiche. I ritrovamenti di globster ritenute resti di non meglio identificati “mostri marini” sono diversamente documentati a partire dai primi anni del XX secolo. Anche se in molti casi i resti reperiti hanno determinato un acceso entusiasmo da parte dei criptozoologi, in genere questi reperti appartengono a specie note e non a creature che dovrebbero essere scomparse milioni di anni fa. Per credere a questa ipotesi sarebbe necessario accettare l’idea che forme arcaiche di vita siano sopravvissute fino a o oggi: di fatto una possibilità che la scienza moderna ritiene, su base oggettive, impossibile.
Non sono mancati casi in cui globster e altri resti sono stati addirittura considerati parti del Megalodonte (Carcharodon megalodon o Carcharocles megalodon), una specie estinta di squalo di grandi dimensioni, i cui resti sono stati rinvenuti in sedimenti dall'Eocene al Pliocene (tra 55 e 1,8 milioni di anni fa); in genere denti fossili, alcuni dei quali lunghi anche quindici/venti centimetri: infatti il nome megalodon deriva dal greco e significa “grande dente”. Partendo dai denti, i paleontologi hanno tentato di ricostruire la mandibola di questa grande creatura, che poteva giungere fino a diciotto metri di lunghezza e trenta tonnellate.
I vari ritrovamenti hanno spesso fatto spendere molte parole a studiosi di diversa formazione e serietà, alimentando una sorta di “mostro-mania” che continua ancora oggi. In alcuni casi le carcasse sono state identificate e correlate a creature ritenute sconosciute fino al momento del ritrovamento e di conseguenza inserite in un processo tassonomico finalizzato a dare a queste “nuove” creature un posto nella moderna zoologia. E così troviamo, oltre al già citato Octopus giganteus verrill, l’Halsydrus pontoppidani (carcassa di sedici metri, con sei zampe, piccola testa ovale, rinvenuta a Stronsay nel 1808), lo Scoliophis atlanticus (resti di un “serpente” di circa trenta metri, giunti il 10 agosto 1817 nel porto di Gloucester), l’elenco potrebbe continuare: sta di fatto che i vari casi comunque non appartano nulla di nuovo alla casistica, se non la consapevolezza che globster e blob rivelano il loro legame con l’universo del mistero e del mito, lasciando comunque aperta una porta alla scienza che, non sempre, riesce a trovare un soddisfacente interpretazione di quelle strutture irriconoscibili. Sotto il microscopio degli scienziati così i “mostri” ridimensionano la loro aura fantastica, risultando solo povere carcasse in decomposizione di balene o squali giganti. Niente plesiosauri, piovre o calamari giganti? Probabilmente solo specie sconosciute, accanto alle quali rimangono alcuni casi inspiegabili ancora in attesa di essere decifrati.
- BOX1
Elasmobranchi
Gli Elasmobranchi sono una sottoclasse dei Condroitti che comprende due ordini di squali del Paleozoico, Cladoselaci, Pleuracantodi, un ordine di squali moderni, Squaliformi e un ordine di Raiformi che comprende razze, torpedini e pesci sega. Aggiungiamo inoltre che in casi più rari gli zoologi hanno ipotizzato che globster, o blob fossero resti del Berardio boreale (Berardius bairdii), la balena più grande fra la famiglia degli Zifidi, costituita da una ventina di cetacei poco conosciuti. Descritto per la prima volta nel 1883, il Berardio boreale condivide la specie con il Berardio australe e che presenta piccolissime differenze.
Entrambe le specie sono dotate di un rostro molto lungo, la mascella inferiore è più lunga di quella superiore e i denti frontali sono visibili anche quando la bocca è completamente chiusa. La specie australe è presente nell’Oceano Pacifico meridionale, fino all’Antartide; quella boreale vive nell’Oceano Pacifico settentrionale, Mar del Giappone, parte meridionale del Mare di Okhotsk, è documentato anche nel Mare di Bering e in California. Sono poche le conoscenze sul comportamento di queste specie, anche perché non coinvolte nella caccia ai cetacei e soprattutto perché il loro habitat consueto è costituito da acque molto profonde lontane dalla costa.
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BOX 2
Ø Globster di Thingöre, Islanda (1639)
Ø Carcassa di Santa Maria del Mar, Oaxaca, Mexico (1648)
Ø Globster di Scheveningen, Paesi Bassi (1661)
Ø Bestia di Stronsay, Orcadi (1808)
Ø Globster di Gloucester, Inghilterra (1817)
Ø Carcassa di Raritan Bay, New Jersey (1822)
Ø Carcassa della baia di Thimble Tickle Bay, Canada (1878)
Ø Serpente di New Harbor, Maine (1880)
Ø Carcassa di New River Inlet Carcass (1885)
Ø Mostro di St. Augustine, Florida (1896)
Ø Globster della Baia si Lyall, Nuova Zelanda (1897)
Ø Serpente di Suwarrow Island, Isole Cook (1899)
Ø Carcassa di Margate, Inghilterra (1922)
Ø Carcassa, attribuita a un mostro chiamato Trunko, a Margate Beach, Sudafrica (1924)
Ø Mostro di Santa Cruz, California (1925)
Ø Globster di Glacier Island, Islanda (1930)
Ø Carcassa della Henry Island, Washington (1934)
Ø Mostro di Querqueville / Cherbourg, Francia (1934)
Ø Globster di Naden Harbour, Canada (1937)
Ø Globster di Kitsilano Beach, Canada, chiamata “Sarah la strega del mare” (1941)
Ø Carcassa di Gurock, Scozia (1942)
Ø Carcassa di Effingham, Carolina del Sud (1947)
Ø Globster di Vernon Bay, Barkley Sound, Vancouver (1947)
Ø Carcassa di Dunk Island, Australia (1948)
Ø Globster di Delake, Oregon (1950)
Ø Carcassa di Hendaye, Francia (1951)
Ø Carcassa di Porto Yakutat, Alaska (1956)
Ø Carcassa di Hobart, Tasmania (1958)
Ø Carcassa del Nuovo Galles (1959)
Ø Globster della Tasmania (1960)
Ø Carcassa di Vendee, Francia (1961)
Ø Carcassa di Northumberland, Inghilterra (1961)
Ø Carcassa di Ucluelet, Canada (1962)
Ø Carcassa di Oak Harbor, Whidbey Island, Washington (1963)
Ø Globster di Muriwai Beach, Nuova Zelanda (1965)
Ø Altro globster in Nuova Zelanda (1968)
Ø Mostro di Tecoluta, Messico (1969)
Ø Secondo globster della Tasmania (1970)
Ø Globster di Mann Hill Beach, Massachusetts (1970)
Ø Carcassa di Christchurch, North Island, Nuova Zelanda (1977)
Ø Carcassa dell’isola giapponese di Hokkaidō, Giappone (1977)
Ø Carcassa di Bungalow, Gambia, a cui è stato attribuito il nome di Gambo (1983)
Ø Blob di Mongrove Bay, Bermuda (1988)
Ø Globster di Godthaab, Groenlandia (1989)
Ø Blob di Benbecula, Ebridi (1990)
Ø Carcassa dello Stretto di Shelikof, Alaska (1992)
Ø Secondo blob delle Bermude (1995)
Globster della Carolina del Nord (1996)
Ø Blob di Nantucket, Massachusetts (1996)
Ø Mostro di Block Island, Rhode Island(1996)
Ø Terzo blob delle Bermude (1997)
Ø Globster di Four Mile Beach, Tasmania (1997)
Ø Blob di Newfoundland, Canada (2001)
Carcassa di Parkers Cove, Nuova Scozia (2002
Ø Blob di Nantucket, Massachusetts (1996)
Ø Mostro di Block Island, Rhode Island(1996)
Ø Terzo blob delle Bermude (1997)
Ø Globster di Four Mile Beach, Tasmania (1997)
Ø Blob di Newfoundland, Canada (2001)
Carcassa di Parkers Cove, Nuova Scozia (2002)
(Autore: Massimo Centini)
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