Caro Gabriel sono sempre a disposizione per parlare di cose sacre, non ci faremo condizionare da un pò d'acqua.
Fino quando indosso questo vestito sono sempre a disposizione.
Alberto
La Vita oltre la morte - II parte (vedi la I parte)
(Alberto Canfarini)
L’Alchimia è nata in Egitto con Ermete ed è arrivata fino ai nostri giorni. Essa è in perfetta sintonia con la massoneria. Molti simboli dell’alchimia sono stati assimilati dalla ritualità massonica, prevalentemente nel gabinetto di riflessione.
Entrambe le vie perseguono il perfezionamento interiore, che comporta mutamenti di stati di coscienza nell’Atanor umano.
Il marchese di Palombara ha fatto scolpire simboli ed epigrafi sulla porta ermetica di piazza Vittorio in Roma, una di queste dice: (Quando in tua domo nigri corvi parturiente albas columbas tunc vocaberis sapiens). Quando nella tua casa i neri corvi partoriranno le bianche colombe allora sarai chiamato sapiente.
Questa operatività iniziatica allude alla purificazione della mente e al superamento delle passioni, la trasmutazione dei metalli, il piombo che nel crogiuolo diviene prima argento e poi oro rappresenta la catarsi, il mutamento di stati di coscienza che deve avvenire sulla via iniziatica.
Il Fuoco è l’elemento fondamentale di questa Arte Regia, il Pontano nella sua lettera “Il Fuoco dei Filosofi” dice: (Che egli ha errato più di duecento volte (venti anni) sebbene avesse lavorato sulla vera materia perché egli ignorava il Fuoco dei Filosofi).
Nel Corpus Hermeticum si parla di una “Veste di Fuoco” posseduta dallo Spirito della quale basta una particella per distruggere la terra.
Il Flamel in “Le Desir desirè” dice: (Il Fuoco si genera e si nutre col Fuoco ed è Figlio del Fuoco, per questo occorre che ritorni al Fuoco si che non tema il Fuoco).
Flamel con questa frase ci fa comprendere che la Scintilla individuale si ricongiunge al Fuoco centrale o universale ottenendo la salvezza. L’Opus realizzativo si è reintegrato nell’Idea suprema dell’ Unità.
Il processo alchemico come quello massonico è una continua trasformazione ed il risultato finale è un uomo nuovo, un uomo che ha ripreso coscienza della Pietra occulta della massoneria o Nucleo aureo dei pitagorici o l’Oro alchemico.
Trasmutiamo gli istinti in sentimenti e quest’ultimi in una mente creativa ed unitaria, in termini alchemici, operando le tre fasi la Nigredo (rettificazione), l’Albedo (separazione) e la Rubedo (unificazione) realizziamo le Nozze alchemiche. Con altre parole separiamo l’anima (Mercurio) dal corpo (sale) e poi uniamo l’anima al Divino (Zolfo).
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L’insegnamento massonico non è cultura, non è saggistica, ma mutamento di stati di coscienza e vera realizzazione.
I simboli sono immagine e pensiero e possono aprire le porte della conoscenza perché mettono in moto il nostro intuito superiore, la sola chiave che ha l’iniziato per entrare in quello stato di coscienza dove regna la Verità eterna.
Essi sono l’essenza della nostra istituzione. Il loro uso sapiente ci aiuta a varcare le sovrastrutture mentali, essi insieme ai riti sono un linguaggio universale che trascende tempo e spazio e i confini che l’uomo ha creato chiudendosi in una gabbia.
I simboli erano validi per i massoni del settecento e sono validi per noi uomini del duemila.
Essi sono una finestra sull’infinito, parlano a coloro che sanno sintonizzarsi sulla loro onda, non devono divenire un oggetto di culto, ma sono strumenti da utilizzarsi nell’operatività muratoria.
I simboli devono essere assimilati, decodificati da una comprensione, da una consapevolezza diversa da quella che comunemente viene usata nel mondo profano.
L’adepto con l’iniziazione rompe il duro guscio mentale liberandosi dallo sterile razionalismo.
L’iniziazione se ben condotta ed assimilata, può risvegliare nell’adepto la propria Origine divina, quell’ Unità essenziale nella quale Pitagora riconosceva il Principio di tutte le cose e tramite la trascendenza offre all’adepto la comprensione delle Cose divine.
Il rito mette il neofita in una condizione di recettività, inseguito il risveglio dell’Intuizione superiore inizierà a svelare la Realtà eterna che vive in noi e che i nostri rituali chiamano “Pietra occulta”, equivalente al Nucleo aureo dei pitagorici, che rappresentano il Soggetto di ricerca del massone.
Il “Nosce te ipsum” iniziatico non si ferma a una conoscenza superficiale e caratteriale, ma scende nel profondo della coscienza, nella caverna interiore, diviene una scesa agli inferi, come la definivano gli antichi popoli del mediterraneo che ci hanno trasmesso la Tradizione iniziatica dell’ Unità.
La sgrossatura della pietra, la rettifica interiore o purificazione è la condizione essenziale per realizzare nel nostro essere un nuovo equilibrio prodotto dall’illuminazione iniziatica della coscienza.
Le vere vie iniziatiche hanno sempre cercato d’abbattere le barriere che dividono gli uomini facendo capire che sono tutti figli di un solo Padre.
A. Einstein diceva: (Un essere umano è parte di un intero chiamato universo. Egli sperimenta i suoi pensieri e i suoi sentimenti come qualcosa di separato dal resto: una specie d’illusione ottica della coscienza.
Questa illusione è una prigione. Il nostro compito deve essere quello di liberare noi stessi da questa prigione attraverso l’allargamento del nostro raggio di conoscenza e di comprensione, sino ad includere tutte le creature viventi e l’interezza della natura nella sua bellezza).
L’iniziazione pacifica molte voci che si agitano e si contrappongono in noi risolvendole in unità coscienziale.
La massoneria insegna a cercare nell’interno dell’essere umano perché è consapevole che nel microcosmo regnano le stesse leggi che regolano il macrocosmo. La magistrale trasformazione degli strumenti di una operatività edile in una pratica iniziatica, il V. I. T. R. I. O. L., le acque dolci ed amare, i viaggi attraverso gli elementi, il concetto fondamentale del “Logos” o parola creatrice, fanno parte del tesoro sapienziale della massoneria.
Il massone deve imparare a superare la propria dimensione mondana e ritrovare la centralità dove l’io egoico attraverso la catarsi si reintegra nella coscienza del “Se”.
Ricerchiamo in noi il Sacro, la Pietra occulta, la Scintilla divina, il Nucleo aureo, l’Atman, consapevoli che secondo le varie tradizioni sono sinonimi che definiscono l’Essenza divina che da vita all’uomo e che è della stessa natura e proviene da quel grande Focolare occulto che regna in eterno nell’universo.
La pratica del rito si concretizza in una morte simbolica che sfocia in una rinascita iniziatica, la sopravvivenza dell’anima non è più un atto di fede, perché l’iniziazione la trasforma in esperienza trascendente, in uno stato di coscienza illuminata dal Sacro.
Siamo invitati a compiere la scesa agli inferi come ci ha insegnato Dante o viaggio nel nostro inconscio che ci crea spavento e senso di rifiuto, ma è l’unico percorso che poi ci consentirà d’intraprendere con più consapevolezza il sentiero in salita, l’ascesa verticale per conseguire il risveglio della coscienza unitaria.
Da questo nuova dimensione si può affermare “In nobis regnat Jehova” cioè “Jod”, in noi regna il Grande Architetto dell’Universo.
Il rito d’iniziazione simbolicamente rappresenta il passaggio dalle tenebre alla luce, se tutto si realizza secondo l’Arte regia si concretizza in un essere che pur avendo un corpo fisico, pur vivendo nel mondo, ha una coscienza non più schiava delle passioni e dei miraggi che ci propone il mondo profano.
Dante nel divino Poema, all’ingresso del Purgatorio pone un angelo, un guardiano con due chiavi una d’argento e l’altra d’Oro. L’angelo ci ricorda che quella d’Oro è la più preziosa, ma quella d’Argento richiede tanto d’acume e d’ingegno, esse ci consentono d’aprire le porte del Purgatorio dove avverrà la definitiva purificazione, la decantazione alchemica.
Questa fase iniziatica deve essere reale, è una condizione “Sine qua non” altrimenti con la cultura fine a se stessa, con l’acquisizione di concetti si può determinare la crescita dell’arroganza, del narcisismo, dell’io egoico, ma a quel punto saremo diventati “maestri del nulla”.
La via massonica ha una doppia proprietà quella sacerdotale e quella cavalleresca.
Le due qualità si sposano in un iniziato che pur vivendo nella dualità del mondo a causa del suo corpo mortale deve essere capace di tenere i piedi ben saldi sulla terra onorando tutti gli impegni assunti a favore dell’umanità.
Il massone deve essere in grado d’indagare anche nel cielo, nelle cose di Dio dalle quali trarre conoscenza diretta, illuminazione e sapienza-conoscenza, qualità che renderanno il suo animo equanime e lo faranno operare con saggezza ed equità anche nelle cose del mondo.
Nel gabinetto di riflessione viene sottoposta all’attenzione del neofita la scritta V. I. T. R. I. O. L. (Visita Interiora Terrae Rectificandoque Iinvenies Occultum Lapidem).
Visita l’interno della terra e rettificando troverai la Pietra occulta.
In questa breve frase è sintetizzato tutto il lavoro di rettifica, di decantazione, di pulizia della propria coscienza.
Nella frase è adombrato anche il traguardo della nostra ricerca che è rappresentato dal ritrovamento della Pietra occulta, la quale rappresenta la ripresa di coscienza della Componente sacra, eterna, dell’uomo.
Il candidato durante l’iniziazione è emozionato, frastornato da quello che gli sta accadendo, capirà poco o niente, ma inseguito, con l’aiuto dei maestri inizierà a comprendere l’arte muratoria.
Nel tempio vi sono due colonne quella della Forza sotto il simbolo di Ercole e quella della Bellezza sotto il simbolo di Venere, l’equilibrio fra queste due energie fa scaturire la Sapienza (Conoscenza) rappresentata da Minerva.
Quando si percorre la via iniziatica, con il termine Sapienza non si intende la cultura, l’acquisizione di concetti, ma la Conoscenza diretta delle Cause Prime.
Studiando la Qabalàh si può comprendere con più chiarezza il percorso per attuare l’equilibrio interiore.
I cabalisti affermano che con l’insegnamento della Qabalàh riescono ad accedere ai segreti dei testi biblici, facoltà che venne trasmessa da Dio ad Abramo.
Il sistema cabalistico è una tecnica esoterica per la comprensione delle sacre Scritture.
Con la Qabalàh si ricerca la Sapienza mistica e spirituale contenuta nella Bibbia ebraica.
Questa antica tradizione mistica degli ebrei possedeva tre scritture, il Libro della legge e dei Profeti noto come Antico Testamento, li Talmud o raccolta dei commenti eruditi e la Qabalàh o interpretazione mistica.
I Rabini dicono che il primo è il corpo della tradizione, la seconda è l’anima razionale, la terza è il suo spirito immortale.
L’assoluto immanifesto, nella tradizione ebraica si nasconde dietro “Ayin” il nulla, ma è quel nulla che contiene lo Jod, simbolo dell’eterna creazione.
La comprensione esoterica della Luce, secondo i cabalisti porta a conoscere la legge che governa il micro e il macro cosmo.
Il Libro della formazione (Sepher Yetzirah) contiene il nucleo sapienziale di questa tradizione che illustra 32 vie della saggezza, 22 lettere, 10 numeri e 10 Sephirot con le quali Dio ha creato l’universo.
Per la Qabalàh la Luce (aor) rappresenta Dio, ed è immanente nell’universo ed esiste in ogni cosa.
La Torah è formata solo da consonanti, i cabalisti la considerano una lingua sacra, perché Dio attraverso le sue lettere fa passare la sua Energia nel mondo.
I numeri sono collegati alle lettere dell’alfabeto ebraico, perciò ciascuna parola della Bibbia ha un proprio valore numerico.
Nel vangelo gnostico degli ebrei, dei dodici e precisamente in quello di Filippo, viene detto: (La Verità non è venuta nuda in questo mondo, ma vestita di simboli ed immagini).
La Qabalàh insegna a tornare a Dio, ma non ci dice che cosa è.
Dio rispose a Mosè : (Sono quello che sono).
Questa scienza sacra, espressa nell’Albero sefirotico, contiene tre pilastri o colonne, i due laterali sono a sinistra quella della Severità e della Giustizia, a destra quella della Grazia e dell’Amore, al centro c’è quella dell’Equilibrio, della Clemenza e dell’Armonia, che si spinge più in alto delle altre due colonne.
In cima alle tre colonne avremo a sinistra “Binah,” Scienza, Conoscenza. La grande Madre. L’Intelligenza santificatrice. Il Fondamento della saggezza primordiale, chiamato anche il Creatore della fede.
A destra “Cokmah”, Saggezza. Il Potere. Il Padre supremo. Il secondo sentiero che è chiamato l’Intelligenza dell’Unità che lo eguaglia. Seconda Gloria. La visione di Dio faccia a faccia.
Al centro, più in alto “Kether,” La Corona. L’Amore. L’Intelligenza nascosta perché essa è la Luce che ha il potere della comprensione del Primo Principio, che non ha inizio. L’Unione con Dio.
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Quando nel tempio massonico osserviamo le due colonne, quella nera della Forza e quella bianca della Bellezza, ricordiamoci dell’Albero sefirotico, queste due energie, queste due polarità, vanno armonizzate nella Sapienza (Conoscenza) di Minerva, come avviene nella colonna centrale della Qabalàh che rappresenta l’Equilibrio, la Clemenza, l’Armonia.
Il trinomio “Forza, Bellezza e Sapienza (Conoscenza) rappresenta per il neofita il programma di lavoro che contiene il Tesoro sapienziale iniziatico, atto a trasformare un profano in un maestro massone.
L’apprendista dopo l’iniziazione ha intrapreso un percorso verso l’interno della propria caverna o del proprio inconscio.
Egli lavora sotto il simbolo di Ercole che rappresenta la “Forza” della volontà e della Illuminazione iniziatica; deve affrontare le proprie passioni e risolverle, superarle, scioglierle con determinazione ma senza creare traumi.
Nel secondo grado l’apprendista divenuto compagno lavorerà sotto il simbolo di Venere che rappresenta la Bellezza, la luna, le acque, la polarità contraria, tutto quel mondo femminile che il massone in quanto “maschio” conosce poco e deve approfondire e comprendere.
Nel simbolo orientale dello Yin e dello Yang c’è rappresentata la realtà duale che compone l’interezza del micro e del macrocosmo.
Questo simbolo ci suggerisce che in ogni donna c’è una piccola parte maschile e in ogni uomo c’è una piccola parte femminile.
Lo scopo del secondo grado è di lavorare per la comprensione di questa realtà a noi poco famigliare, il senso della Bellezza dipanato nei suoi molti aspetti e livelli con gradualità ci fa acquisire l’Intuizione, che anche nella filosofia metafisica viene indicata come la chiave d’accesso per la comprensione delle cose divine.
Quando il compagno riceve l’iniziazione a maestro passa a lavorare sotto il simbolo di Minerva che rappresenta la Sapienza (Conoscenza) essa è il punto d’equilibrio fra le due polarità, è una terza colonna invisibile che rappresenta l’Equilibrio fra le due polarità come avviene nella Qabalàh.
Questo stato di realizzazione inizierà a palesarsi nella nostra coscienza solo a condizione che la Forza avrà reso la pietra grezza “sgrossata,” simbolo della rettifica delle pervicaci passioni.
La Bellezza, con l’ulteriore levigatura avrà risvegliato l’Intuizione che trascende lo sterile razionalismo.
La Sapienza (Conoscenza) sopraggiunge quando avremo ottenuto l’equilibrio fra forza e bellezza, fra bianco e nero, fra il sole e la luna, fra il maschile ed il femminile, fra la dualità che impera nell’universo intero, ossia nel micro e nel macro cosmo; solo allora si realizza il ritorno alla Mente unitaria e si ottiene l’Illuminazione della luce dell’Oriente promessa dai nostri rituali.
La mente è stata oscurata da molti condizionamenti determinati dall’esistenza terrena, dalle abitudini, dalla cultura fine a se stessa.
Una volta liberati da tutte le sovrapposizioni si realizza la purezza, il vuoto, il silenzio e si verifica una improvvisa Illuminazione, il risveglio del proprio Essere fondamentale, condizione ineffabile che non è possibile comunicare a nessuno.uestoQ
Si deve imparare a camminare in equilibrio su quella sottile linea che unisce i quadri bianchi con quelli neri.
Le Trinità metafisiche non sono comprese dalle coscienze impreparate, esse vengono antropomorfizzate ed umanizzate.
Alcuni fratelli non riescono a concepire l’equilibrio oltre l’ordine morale, che pure trova il suo posto nella scala dei valori.
Il massone certamente tende al bene e non al male, ma la realizzazione ultima è quella che conduce all’Uno, è la realizzazione di quell’equilibrio che ci fa ritornare nella coscienza del supremo Intellegibile, nell’Ordinatore supremo; rappresenta il risveglio alla nostra Coscienza divina, che vive in noi e che è della stessa Natura del G .˙. A .˙. D .˙. U .˙.
Questo traguardo ineffabile si può concretizzare al termine del lungo viaggio rappresentato dal trinomio solo a condizione che tutte le fasi di quest’opera vengano sinceramente realizzate.
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Uno dei nostri motti è “Essere e non parere” o apparire. Dobbiamo superare la vanità, l’egoismo che ci impedisce di realizzare il nostro programma di lavoro, dobbiamo incamminarci sul sentiero in salita che conduce alla Saggezza (Conoscenza).
Il massone a causa del corpo fisico resta per tutta la vita soggetto alle leggi della dualità, continuerà a lavorare “per il bene dell’umanità”, ma come afferma il nostro rituale egli opererà soprattutto “a Gloria del Grande Architetto dell’Universo”.
L’equilibrio realmente conseguito fa stabilizzare la coscienza in quella dimensione dove regna l’Equanimità che è la qualità più intima, più vera della Sapienza (Conoscenza).
Questo prodigioso avvenimento, nella tradizione alchemica, viene chiamato “Grande Opera” o Opus Magnum.
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La via iniziatica non ammette bluff, o si segue il percorso, il metodo che i rituali ci indicano o si fallisce e non si ottiene “l’Illuminazione” che il Maestro Venerabile ci aveva promesso quando abbiamo ricevuto la prima iniziazione.
Dobbiamo essere vigili perché il motivo del fallimento può essere determinato da diversi fattori che causano una inversione di tendenza che ci conduce verso la contro iniziazione.
L’ignoranza, il fanatismo, l’orgoglio e l’ambizione sono le cause più frequenti dell’insuccesso.
Un' altra causa scaturisce dal fatto che alcuni fratelli ritengono vane le tecniche del risveglio spirituale e ne sono infastiditi, il massimo delle loro aspirazioni consiste nel cercare di trasformare la massoneria alla stregua di una associazione profana.
Sbaglia anche chi nella massoneria cerca i poteri magici. L’istituzione non da bacchette magiche ne promette poteri paranormali.
La nostra Istituzione, con la sua scala di gradi, d’insegne, d’ornamenti e di titoli, che devono rappresentare una graduale acquisizione di conoscenza e di saggezza, per chi è ancora preda delle passioni del mondo, diventano un forte incentivo alla vanità, al voler apparire, al voler comandare, sono una trappola che imprigiona la coscienza e la rende schiava dell’io egoico.
Se invece l’iniziato ha ben lavorato nel suo stato di coscienza, niente più impedisce a quel “Fuoco sacro” d’illuminare l’interezza del suo essere, avremo così l’apprendimento della cosa non come appare ai nostri sensi, ma come è veramente.
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Il silenzio fra due note, può estendersi quando diviene intervallo fra due pensieri. L’unica ricerca esoterica possibile è quella che si realizza nel silenzio della propria coscienza senza mediatori.
Durante l’iniziazione si vive ritualmente la morte ed il risorgere. Se questo rito produce nel candidato la catarsi, il morire a se stessi, si verificherà il simbolico germogliare dell’acacia, gradualmente si riprenderà coscienza della Pietra occulta o Natura eterna che vive in noi.
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La Massoneria non accetta gli atei, rispetta tutte le religioni, lascia liberi i propri iscritti di professare la loro fede religiosa, definisce Dio con la sigla di Grande Architetto dell’Universo in modo che tutti la possono accettare.
Nei gradi più alti per chi intende ricercare la Verità in modo esoterico, non da dei dogmi, ma delle indicazioni, dei concetti su cui riflettere e meditare.
Il G. A. viene visto come la Legge eterna ed immutabile, rappresenta tutto ciò che è stato, che è e che sarà, ammonisce di non attribuire al G. A. i fantasmi della nostra mente, rimane quel Dio non manifesto, senza nome, purissimo Spirito che regna in eterno nell’universo.
La massoneria nella sua visione improntata al pensiero libero e cosmogonico, dice di non pretendere che il G. A. sia racchiuso entro le colonne di un tempio o di una religione e neppure nel tempio della massoneria.
Dice che Dio è inaccessibile, innominabile, incomprensibile, ma se tale realtà è incomprensibile, definisce la sua azione nel tempo e nello spazio chiamandola Logos e simboleggia la sua energia con una Corona luminosa, simbolo già usato da Dante nella Divina Commedia.
La massoneria ricorda che Dio non è una immagine o un idolo da adorare, ma una irradiazione proveniente da quel Focolare misterioso, che si riflette nel macrocosmo nell’universo e nel microcosmo nello Spirito umano.
Egli è la Realtà assoluta, è la Suprema Verità che emana Luce, Bene ed Amore universale ed eterno.
Più l’uomo evolve e progredisce spiritualmente, più apre la sua coscienza, più potrà avvicinarsi a questa Realtà eterna, inondandosi della sua Luce, come Dante una volta pervenuto all’Empireo.
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La Conoscenza iniziatica abbina la morte con l’Amore componendo quel binomio “Tanatos-Eros” che fin dall’antichità ha impegnato i ricercatori di questo mistero.
I veri Iniziati sanno che: (Se non si passa attraverso la Morte iniziatica, si soccombe alla morte comune).
Nella simbologia dei tarocchi, il tredicesimo arcano maggiore, è preceduto dal dodicesimo, l’impiccato a testa in giù, rappresenta il ribaltamento, la catarsi iniziatica, il superamento dell’io profano.
Da questo livello di coscienza risvegliata, il superamento della paura della morte è una naturale conseguenza.
Chi percorre la via iniziatica affronta il mistero della morte da un altro punto di vista.
Se per noi la ritualità è una tecnica iniziatica e non una recita teatrale, se crediamo all’insegnamento esoterico contenuto nei nostri rituali, ricordiamoci che chi affronta la morte e la resurrezione iniziatica, ha effettuato il salto dell’abisso, e la sua coscienza ha modificato la visione della vita e della morte.
Mozart che era un massone, in una lettera indirizzata al padre malato grave il 4/4/1787 diceva: (Poiché la morte, intesa nel suo giusto significato, è il vero scopo ultimo della vita, così già da un paio d’anni, mi sono tanto familiarizzato con questa ottima amica nostra, che ora la sua immagine non solo non mi riesce più affatto spaventevole ma m’infonde anzi tranquillità e conforto).
Il significato di morte diviene quello di passaggio dalla condizione umana, con tutte le sue precarietà al risveglio del proprio Essere eterno, questa ripresa di coscienza viene anche definita processo d’Indiamento, o ritorno a Dio.
La vera iniziazione è una rinascita glorificata e spiritualizzata della Grande Opera che fa ritrovare all’iniziato la dignità del Sacro.
L’essere umano nel suo libero arbitrio ha la possibilità di prendere la via verticale ossia quella dell’iniziazione, oppure restare su quella orizzontale che contempla l’espressione individuale nelle sue molteplici forme.
Nel simbolo della croce è contenuto il segreto iniziatico. Dobbiamo fermarci non agitarci più sul piano orizzontale dell’esistenza fenomenica sotto l’influsso delle passioni e dall’auto affermazione a qualsiasi costo, anche creando danno ai nostri simili.
Si deve continuare ad onorare i nostri doveri nel mondo, ma rivolgere tutta la nostra intelligenza ed attenzione verso l’ascesi lungo il braccio verticale della croce.
Esso ci conduce dal sensibile all’Intellegibile, verso l’Uno, verso Dio non qualificato, non antropomorfo, ci conduce verso la vera Resurrezione, morire e risorgere a “Vita Nuova” come veniva definita da Dante.
In sintesi la Via iniziatica è conoscenza della cosa ignorata, per passare all’Identificazione con la cosa conosciuta, conoscere la nostra Natura eterna per poi identificarla con il
G. A. D. U.
Anche in questa tradizione iniziatica la morte, come ci ha insegnato Mozart, diviene un’amica che ci aiuta a passare da un mondo materiale ad uno Spirituale ed Eterno.
Poesia di Emilio Servadio
Io Sono
Io sono il centro
Io sono il punto
Da cui hanno origine tutte le direzioni
Io sono il seme
Da cui nasce il tempo
Che fluisce attorno a me.
In giorni che sono senza numero
Migliaia di soli mi circondano.
E sono il sole
Che brucia nel centro.
Io Sono
E i miei raggi fuoriescono da me
Per penetrare la notte.
Io sono il bagliore di migliaia di gioielli
Nella mia visione solare.
Io sono il passato e il futuro uniti
nell’eterna lotta.
Io sono il mattino e la sera
Nella mia eterna luce.
Io Sono
E tuttavia sempre brucia dentro di me
Il muto mistero
“Io non sono”
la muta testimonianza di ciò che in me
eternamente apprende
eternamente arde
eternamente cambia.
- La Filosofia Metafisica occidentale
La filosofia metafisica è sbocciata fin dall’antichità in oriente ed in occidente.
Essa esprime il più alto livello di pensiero e di conoscenza rivolta alle Cause prime.
La metafisica ha in se il fuoco catartico atto ad illuminare la coscienza degli uomini che sono pronti a risvegliarsi alla conoscenza della loro Natura divina.
Ad una prima lettura superficiale la metafisica occidentale può sembrare diversa da quella orientale, ma superando le differenze determinate dalle culture, dal lessico, appare l’universalità e l’unità della tradizione metafisica.
Il Maestro Raphael che ha diffuso nel mondo occidentale l’Advaita Vedanta tramite la collana di libri “Vidia”, nel libro “Iniziazione alla filosofia di Platone” spiega l’identità fra la filosofia di Platone e quella di Samkara, facendo comprendere con dovizia di particolari e accostamenti l’identità di pensiero tra i due grandi Maestri.
La Tradizione misterica occidentale trova i suoi massimi esponenti in Orfeo, Ermete, Pitagora, Parmenide e perviene a Platone suo massimo interprete, che poi sarà continuata da Plotino.
La metafisica occidentale considera l’Anima noetica o Nous “immortale”, perché è della stessa natura dell’Uno-Bene, prigioniera del corpo che la rinchiude come in una tomba.
Questa scienza sacra si pone lo scopo di risvegliare la coscienza di quegli uomini che lo desiderano veramente, aiutandoli a ritrovare la pienezza della loro Natura divina.
La conoscenza metafisica è un dono elargito da Dio a tutti gli uomini di questo pianeta, ma pochi ne traggono giovamento.
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Platone nacque ad Atene nel 428 a. C. da un nobile casato, fu allievo di Socrate e verbalizzò i suoi dialoghi.
Secondo alcuni studiosi si recò in Egitto dove fu iniziato ai grandi Misteri, è certo che si trasferì nella Magna Grecia dove apprese la filosofia esoterica dei pitagorici.
A Siracusa, alla corte di Dionisio il vecchio, strinse amicizia con Dione, cognato del re; progettò una riforma della costruzione politica dello stato basandola su principi filosofici.
Il tiranno non accettò la critica di Platone e lo costrinse ad andarsene, finì venduto schiavo sul mercato di Egina, fu riscattato e tornò ad Atene dove fondò l’istituto di ricerche filosofiche denominato l’Accademia, dedicò il resto della vita all’insegnamento della conoscenza metafisica, Platone morì nel 347 a. C.
La filosofia di Platone si distacca da quella di Socrate più improntata ad una saggezza terrena.
Il Daimon socratico impropriamente tradotto con “demone” era per i greci un essere divino, inferiore agli dei ma superiore agli uomini.
Socrate diceva che questa voce interiore lo guidava dicendogli cosa non doveva fare e di essere spinto da questa entità a ricercare la verità morale.
Kant paragona questo principio “all’Imperativo categorico” alla coscienza morale dell’uomo.
Socrate non volle fuggire alla sua condanna, perché disse: (E’ meglio subire l’ingiustizia piuttosto che farla). Egli dichiarò d’accettare la morte che considerava un sonno senza sogni, oppure la possibilità di visitare un mondo migliore dove s’incontreranno interlocutori più qualificati con cui dialogare.
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Platone ammette una gerarchia delle idee alla sommità delle quali sta l’Idea del bene.
Nel Timeo essa si presenta come il supremo modello, come il fine al quale il Demiurgo s’è ispirato. Nel Filebo l’Idea del bene è addirittura identificata con la Ragione divina, con Dio stesso.
Il non essere, genera tutte le qualità, di conseguenza il corpo si differenzia dall’incorporeo, constatata l’enorme distanza tra il corpo e l’idea, si rende necessario un mediatore che è al nascere di ogni vita, cioè l’anima.
L’anima viene fatta discendere da un mondo superiore e vi può tornare dopo la morte del corpo, se ha vissuto una vita pura, se invece si sarà macchiata con brutte azioni migrerà in un altro corpo.
La vera ragione della vita per Platone è realizzare il distacco dal mondo e dalla prigione del corpo, che con tutte le sue passioni e desideri ostacolano la ricerca del Sacro.
Il Maestro afferma che la ragione ci può portare al Bene dove alberga la felicità.
Egli indica anche le virtù che deve possedere un ricercatore del Bene supremo, esse sono: “La saggezza nella scelta di ciò che si deve temere ed allontanare da noi, il coraggio nel mettere in sintonia le diverse tendenze dell’anima, la prudenza che stabilisce i compiti da attribuire ad ogni componente dell’anima, in modo che si realizzi la Giustizia”.
Nella filosofia di Platone si evidenzia in modo chiaro la catarsi, che comporta la trasformazione della coscienza e l’aspirazione alla trascendenza.
Platone ci pone tutto ciò come un tema sul quale l’uomo non può filosofeggiare, discutere, avere opinioni, ma come un sentiero operativo, iniziatico, che egli ha codificato mirabilmente e che può aiutare l’adepto ad uscire dall’irrequietezza, dal mondo dei fenomeni, dove regna la conflittualità, dove le passioni turbano l’uomo come in un mare in tempesta fra la gioia del momento e la sofferenza.
Questa catarsi da a chi sa camminare su questa via in salita, aspirando all’ascesi spirituale, la conoscenza che favorisce il risveglio all’Essere immortale.
Si modifica profondamente e definitivamente lo stato di coscienza arrivando a quella meta che Platone chiamava “l’Amore universale ed il Bene supremo”.
La metafisica di Platone indaga nel mondo delle Cause prime e determina nell’allievo un capovolgimento radicale della sua coscienza, lo fa uscire dalla prigione mentale, “vedi il mito della caverna” e lo fa pervenire all’ultima Realtà.
Platone ha stabilito che l’anima può vivere indipendentemente dal corpo, essa ha conosciuto Verità molto superiori di quelle che gli giungono dal corpo e dal mondo terreno.
Platone asserisce che l’uomo per orientarsi nella gerarchia delle idee non deve usare solo i sensi, ma le idee di quel tempo, di quella realtà quando non era imprigionata nel corpo e viveva nell’Iperuranio mondo che appartiene al sovrasensibile.
Nel “Fedone” si evidenzia l’immortalità dell’anima, ma se l’anima è immortale ed il corpo non lo è, esso può diventare una prigione. Quando l’anima riacquista memoria della sua origine e del suo destino, non desidera altro che tornare alla sua Casa eterna distaccandosi dal corpo e dalla terra.
Platone per rendere possibile la ricerca socratica elabora la dottrina della reminescenza (anamnesis).
Il Maestro si rifà alla credenza religiosa dell’orfismo e del pitagorismo secondo la quale l’anima immortale al momento della morte del corpo si rincarna in un altro corpo.
Platone asserisce che vi sono delle idee che sono fuori dal mondo dei fenomeni, esse sono incorruttibili, eterne e non soggette a mutamento.
Le anime hanno la possibilità, se si affrancano dai corpi, di entrare in questa realtà per capire progressivamente la Verità dell’Essere eterno.
Egli afferma che più l’anima si lega al corpo infangandosi nel mondo dei desideri, più scende nella gerarchia esistenziale.
Quando l’anima torna a riprendere coscienza della sua Natura eterna riacquista la capacità di vivere da sola e può tornare all’originaria Casa divina.
Egli spiega, non lasciando dubbi in proposito, che per affacciarsi nel mondo intelligibile non si può usare la mente profana o sensibile, perché essa non è adatta in quanto fornisce solo idee e opinioni. Per l’uomo rimane una aspirazione irraggiungibile fino a quando ricerca questo ideale con la dialettica.
Giordano Bruno dice: “ Per parlare di cose divine non è sufficiente usare il raziocinio, ma è necessario anche l’intuizione e l’immaginazione ”.
Per accedere nel mondo delle Cause prime è indispensabile risvegliare la mente noetica, che con la sintesi rivolge il suo interesse all’anima immortale, al Divino.
Nel Fedone si legge che per realizzare questa aspirazione occorre una “Rivelazione divina”.
Quindi necessita la ricerca filosofica che egli identifica con Eros, l’impulso di sapere e di penetrare nel fondo delle cose.
Egli dichiara che la Verità si trova nell’idea del Bene, che è la chiave per accedere al mondo intellegibile.
Platone chiarì definitivamente la differenza fra immanenza e trascendenza, tra sensibile e soprasensibile, tra Spirito e materia.
L’immanenza è ogni realtà che non trascende la sfera di un’altra realtà, essa è la non trascendenza, essa è necessaria al pensiero delle forme e della ragione ristretta nei limiti della conoscenza razionale possibile.
La trascendenza ossia l’azione di trascendere oltrepassare, montare sopra, è la concetto di ciò che trascende, supera la nostra esperienza sensibile.
La trascendenza è la tecnica rivolta al soprasensibile, al mondo delle Cause prime, a Dio non qualificato e non al mondo manifestato.
La filosofia metafisica poggia le sue radici nell’universale e conduce il pensiero verso l’unità e la sintesi, essa è fuori da qualsiasi ragionamento dialettico e culturale.
Quando si parla di Archetipi non vi è spazio per elucubrazioni mentali o esposizioni di erudizione manifestate con ragionamenti finalizzati ad imporre la propria opinione.
La conoscenza-sapienza è catartica e conduce verso una trasformazione profonda della coscienza che produce nel nostro essere un diverso modo di pensare, di sentire e di vivere.
L’unico strumento che ha l’uomo per accostarsi agli Archetipi, all’Uno, è quello d’usare l’Intuizione superiore, ossia quella mente rettificata che non si interessa più delle brame del mondo, ma è concentrata, è rivolta al mondo Intellegibile.
La filosofia metafisica è indicata per persone che hanno già una coscienza pronta, poi gradualmente con le tecniche della rettifica delle passioni e degli istinti, superati i miraggi che la vita terrena ci pone sotto gli occhi, con l’introspezione e la pratica della meditazione, si risveglia l’intuizione e la conoscenza ci fa ascendere verso l’Essere che realmente siamo.
Se la mente è affollata da tutto ciò che produce l’io egoico, manca la serenità per ascoltare la Musica delle sfere, che è sempre in onda ma che pochi sono capaci d’ascoltare.
Musica universale, prodotta dal sole, dalla luna e dai pianeti, non udibile dall’orecchio dell’uomo comune.
Pitagora riteneva che questa musica consisteva in concetti armonico-matematici.
Di conseguenza la qualità della vita sulla terra sarebbe influenzata da questi suoni celesti.
Plutarco dice: (La mente non ha bisogno di essere riempita come un vaso, ma di una scintilla che l’accende).
Il simbolo della ruota ci aiuta a comprendere che se restiamo sulla sua circonferenza che ruota vorticosamente saremo frastornati dal turbinio della vita terrena, invece percorrendo uno dei raggi (vie di realizzazione) si perviene al mozzo, al centro, dove regna il silenzio, condizione essenziale per accedere al mondo soprasensibile.
Platone insegna che l’allievo deve avere l’ardire di superare l’abisso senza rimpianti.
Il mondo delle ombre dove vive il nostro essere psicofisico va gradatamente superato e la mente rettificata deve rivolgere la sua attenzione a quel “Quid” immortale, che alberga in noi ed è della stessa natura dell’ Uno-Bene.
La filosofia metafisica di Platone spesso viene insegnata in modo riduttivo, il concetto di Bene incondizionato lo si colloca sul piano dell’etica, della morale, diviene un esercizio mentale, culturale e si cade nel mondo delle opinioni.
Il Bene di Platone è quello che restituisce le ali all’anima e consente di rimpadronirsi della propria Natura divina.
Il Maestro nella lettera 7, 314 ci dice: ( Ma io non ritengo che una discussione su questi argomenti possa essere un bene per gli uomini, se non per quei pochi che sono capaci dopo poche indicazioni di trovare da soli la Verità; degli altri, alcuni gonfierebbero di un ingiustificato disprezzo, ciò che non è bene, altri di una superbia e vuota fiducia, come se avessero appreso qualcosa di sublime ).
La parabola del carro tirato da un cavallo bianco che tira verso il cielo, verso il Sacro ed uno nero che tira verso la terra, è la migliore rappresentazione della condizione umana schiava della dualità.
Fino a quando la nostra mente è prigioniera della dualità non ci è consentito camminare speditamente in nessuna delle due direzioni. Dobbiamo scegliere il cavallo che vogliamo seguire, quale aspirazione realmente arde in noi e finalmente prendere la strada che abbiamo scelto.
Un graduale distacco dal mondo, dalla materia, è indispensabile se vogliamo comprendere l’Uno-Bene enunciato da Platone.
Esso risiede nella dimensione non condizionata dal tempo e dallo spazio, dove non si conoscono nascita e morte.
Sappiamo che Platone è stato iniziato ai grandi Misteri dell’esoterismo egiziano e greco.
Nella scuola egiziana l’Uno veniva chiamato Tem o Atem che scindendosi in due produce la dualità, Tum la luce e NU le tenebre.
L’Orfismo descrive la Notte come Realtà assoluta, non qualificata, senza forma, da questa Unità nasce Urano (il cielo) e Gea (la terra), che rappresentano le polarità maschile e femminile.
Da questa dualità nasce il mondo delle idee e da esse si arriva al Demiurgo ossia Dionisio, il quale uscì dall’Uovo cosmico o Uovo d’oro e da esso nacquero gli immortali e i mortali.
Anche nell’Orfismo è ben radicato il concetto che l’anima immortale è caduta nel mondo delle forme rimanendo sepolta come in una tomba.
La catarsi orfica insegna una progressiva salita dal mondo sensibile fino al mondo celeste e sprona l’adepto ad operare su se stesso perché ciò che è Divino nell’uomo deve tornare a casa, deve reintegrarsi con il Divino.
Una massima orfica afferma: ( Colui il quale arriva all’Ade senza essere iniziato e senza essersi purificato, giacerà in mezzo al fango; invece chi si è iniziato e si è purificato, giungendo colà abiterà con gli Dei ).
L’esperienza egiziana, quella orfica e quella pitagorica hanno influenzato la conoscenza di Platone, che poi nella sua maturità ha codificato la filosofia metafisica.
Secondo Platone l’Uno-Bene genera la manifestazione, esso è il centro, il motore dal quale nascono i vari livelli di conoscenza, da esso affluiscono verso la circonferenza i diversi livelli d’Essere nella manifestazione.
Il Bene di Platone non ha nessun riferimento con la morale se non di riflesso, esso è l’Intellegibile, è la Realtà assoluta priva di modificazioni spazio temporali che egli chiama Uno-Uno.
Egli seguì una via iniziatica misterica. Tante cose che ha scritto sono adattate alla comprensione dei non iniziati, mentre con i suoi allievi avrà raggiunto livelli elevatissimi di contemplazione della Natura divina.
Il Maestro alla domanda quali sono per te i veri filosofi risponde: ( Quelli feci io, che amano contemplare la verità … coloro che riescono ad arrivare a ciò che è sempre permanente invariabilmente costante … Chi è capace di vedere l’Intero è filosofo, chi no, no ).
La parola filosofia per i greci e per Platone in particolare significava “Amico di Sophia” ossia essere amico della conoscenza, della sapienza.
Platone conduce l’uomo, che possiede le qualificazioni, dal mondo sensibile a quello Intelligibile ed lo affranca dal conflitto, dal dolore, riportandolo in quella realtà dove regna la Libertà.
All’inizio di questo percorso il pensiero intuitivo è misto al pensiero delle idee, delle ipotesi, ma quando si procede nell’acquisizione della conoscenza il pensiero si sposta su un livello più solido fino ad arrivare al senza tempo, al senza spazio, all’Intellegibile.
Plotino nell’Enneadi 6-9-4, ci ricorda che: ( Il Magistero non va oltre questo limite, di additare cioè la via ed il viaggio: ma la visione è già tutta un’opera personale di colui che ha voluto contemplare ).
Il platonismo intende la Sophia come conoscenza, sapienza, essa deriva dal divino, l’ignoranza appartiene all’uomo che è totalmente privo di sapienza.
L’uomo che cerca il sapere pur non possedendolo è come l’amante che cerca l’amata.
Questa è la via che viene indicata a colui che aspira divenire sapiente, ci viene ricordato che: ( Il Bello è lo splendore del Vero ).
Platone spiega che il filosofo desidera tanto la conoscenza della Verità perché non la possiede, è la ricerca socratica di “sapere di non sapere”.
Il maestro aggiunge che si può desiderare soltanto quello che non si possiede più, perché l’anima dimentica la Verità nel momento che si incarna in un corpo.
Il non essere, osserva Platone, esiste solo in relazione al corpo, se invece si riesce ad osservare al di sopra del mondo mortale si ritorna gradualmente alla Verità, alla Costante.
Partendo da questa convinzione nasce il distacco di Platone per il corpo che più volte lo chiama cadavere.
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L’Eros indirizzato al divino, al soprasensibile, è capace di risvegliare l’anima e riportarla a contemplare ciò che è di sua pertinenza, distogliendola dalla schiavitù del mondo materiale, dal mondo delle forme, dalle tentazioni terrene.
Platone spiega che l’amore e la conoscenza possono aiutare il ricercatore a superare la dualità che costringe l’uomo nella sofferenza.
Nel platonismo l’Amore è considerato un’essenza intermediaria, che rende possibile transitare dal mondo mortale all’Immortale.
Ma se l’Amore e la conoscenza sono mezzi è necessario non usarli male.
Essi devono essere utilizzati per portare il pensiero alla sintesi, facendo tacere la dualità ciarliera e dialettica.
L’Amore e la Conoscenza per colui che procede nella giusta direzione, sono la soluzione concreta che conduce l’Anima nella sua primigenia abitazione.
E’ necessario non errare, se si rivolge quest’essenza chiamata Amore verso le brame del possesso, dell’appropriazione, verso l’oggetto perduto, si cade nella disarmonia, nell’irrequietezza, nell’egoismo e a volte nella disperazione.
Quando comprenderemo che l’Amore è quel fuoco potente che riaccende la conoscenza, acquisiremo le chiavi per pervenire al Paradiso, come ci ha insegnato Dante.
La Scintilla divina che vive in noi e che è una infinitesima parte del Fuoco universale, può essere risvegliata e quando si separerà dal corpo può riunirsi al grande Focolare.
L’Amore è paragonabile al calore e la conoscenza alla Luce. La combinazione delle due energie serve ad illuminare e risvegliare la coscienza oscurata dall’ignoranza. In tutta la filosofia di Platone affiora l’idea catartica dell’Amore.
Dante dice davanti alla Luce perenne che è Dio, davanti a quella Luce che è: (L’Amore che muove il sole e l’altre stelle) … ( O Luce eterna che sola in te sidi. Sola t’intendi, e da te intelletta. Ed intendente te ami e arridi ).
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Platone nell’apologia di Socrate ci dice: ( Una vita senza ricerca non è degna d’essere vissuta ).
Nell’antichità compare spesso il mito dell’Androgino ed anche il Maestro ne parla.
Il concetto dell’unione del maschile con il femminile, o dei contrari rappresenta simbolicamente “l’Uno”, questa unità riconquistata rappresenta il traguardo finale del Bello, del Vero, del Bene.
Raphael dice: ( Un giusto rapporto integrato nel Vero non può che produrre Bene ).
La contemplazione della verità è possibile se la nostra anima purificata riesce a percepire l’Anima universale ed esprimerla nel mondo della materia, divenendo un magnete ordinatore che porta in manifestazione “il Bene”.
Platone considera l’uomo una divinità che ha dimenticato la sua vera natura. La via che indica consente di vedere oltre i veli dell’ignoranza, conoscere nel senso di risvegliare la propria autentica natura, è una operazione demiurgica che restituisce la vista ai non vedenti.
La conoscenza indicata dal Maestro è una “Visione completa” che proviene dall’interno e non dal mondo sensibile, è una intuizione al più alto livello che attraverso la riscoperta della Realtà noetica ci restituisce il sommo Bene, ci riporta in quella dimensione che Platone definisce Uno-Uno.
Platone chiede a chi ha raggiunto l’illuminazione d’impegnarsi per il miglioramento dell’umanità, operando con misura sulle coscienze qualificate per indirizzarle verso la via dell’Ordine, dell’Armonia, del Bello, della Giustizia e dell’Amore.
Nella metafisica di Platone non ha senso parlare di morte perché il corpo è visto come un veicolo terreno che finito il suo compito va abbandonato senza rimpianti.
Il solo vero scopo della vita terrena è quello di riprendere coscienza della nostra Natura eterna che da sempre dimora in noi, ma che non ne siamo consapevoli.
Dante, fedele d’amore, arriva a questa sublime identità con Dio quando finalmente a confronto con la “Visione della Centralità cosmica” ha appena la forza di bisbigliare:( Mi parve pinta della nostra effige ).
Quando l’anima riacquista memoria della sua origine, non desidera altro che tornare alla sua Casa eterna.
Fedro 30, 250, ci dice:
( Ma la Bellezza brillava allora intera ai nostri occhi, quando insieme con il coro dei Beati……… godevamo d’una vista e d’uno spettacolo beatificante e ci iniziavamo alla più beata, è ben lecito dirlo, delle Iniziazioni che celebravamo, allorché perfetti e immuni dai mali che ci attendevano nell’avvenire, iniziati ai più profondi Misteri, godevamo di quelle visioni perfette, semplici, calme, felici, in una luce pura, puri noi stessi e non sepolti in questa tomba, che chiamiamo corpo e che trasciniamo con noi, imprigionati in esso come ostriche nel proprio guscio ).
- La Filosofia Metafisica Orientale
In oriente la filosofia metafisica prende il nome di Advaita Vedanta, essa ha inizio con il maestro Gaudapada anche se era già contenuta nei testi Vedici.
Il Vedanta deriva dalle Upanishad, il significato etimologico della parola Upanishad è l’insegnamento destinato a distruggere l’ignoranza.
Le Upanishad sono le fonti ispiratrici della religiosità indiana e sono contenute nei Veda.
I Veda comprendono quattro grandi raccolte di scritture spirituali che costituiscono la tradizione indiana. Questi testi provengono dal 4 e dal 3 millennio a.C.
Advaita significa senza secondo, non dualità, di conseguenza Advaita Vedanta è un sentiero o punto di vista metafisico che nega la dualità.
I maggiori interpreti dell’Advaita Vedanta sono stati Gaudapada, Samkara, Hstamalaka, Suresvara, Vidyaranya e Sadananda.
Gaudapada fu il maestro spirituale di Samkara e quest’ultimo ebbe il pregio di codificare l’insegnamento dell’Advaita rendendolo maggiormente comprensibile.
La data di nascita di Samkara è incerta sembra essere nato nel 788 d. C.
Egli fu considerato un Avatara, che significa “Incarnazione della Divinità nell’uomo, discesa del Divino.”
Avatara è un realizzato inviato sulla terra per volontà del Supremo Principio divino con l’intento di far conoscere la sola ed unica verità esistente.
Indubbiamente la sua vita non rientra nei canoni tradizionali, ad otto anni conosceva già le quattro raccolte dei Veda, a dodici era padrone di tutti i testi sacri, a sedici terminò il suo commento al Brahmasutra che può essere considerato il massimo contributo perché contiene tutta la filosofia del Vedanta.
Samkara da bambino fu allievo del guru Kula, poi fu accettato dal maestro Govinda che gli fece conoscere l’insegnamento del suo Maestro Gaudapada.
Samkara chiarì che l’Advaita non si contrappone alle altre scuole di pensiero.
Egli insegnò il senso e lo spirito dell’Uno o Unità, ossia la non dualità di Brahma che si sintetizza con l’affermazione che la Realtà è una, ma ad essa gli uomini danno nomi diversi.
Samkara morì all’età di trentadue anni, in così poco tempo codificò l’Advaita Vedanta, commentò i maggiori testi vedici, fondò quattro centri realizzativi nei quattro punti cardinali dell’India.
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La realizzazione spirituale Advaita non comporta modificazioni del corpo, chi si risveglia rimane fisicamente soggetto alle leggi della maya, ma non ne dipende più psicologicamente.
L’Advaita Vedanta è “Conoscere ed Essere” attraverso il risveglio a ciò che si è realmente, che rappresenta il principio fondamentale della Metafisica tradizionale.
Questo tipo di conoscenza, di sapienza, è catartica porta alla metanoia, ad un profondo cambiamento del modo di pensare e di vivere.
Esiste una chiara differenza tra conoscenza ed erudizione.
Da un punto di vista metafisico, l’erudizione è una espansione dell’io profano e produce una ignoranza erudita.
La conoscenza è il frutto del lavoro iniziatico che determina il risveglio del Se.
Come si può discernere fra erudizione e conoscenza?
L’erudito ostenta il suo sapere, abile nel parlare e nello scrivere, saranno le sue azioni a tradirlo.
Parlare di verità è una cosa, essere nella Verità è tutt’altra cosa. Conoscere equivale ad Essere.
La Realtà suprema che viene chiamata “l’Unico Essere” prende il nome di Brahma, l’Assoluto incondizionato sempre identico a se stesso ed uguale all’Atman presente in tutti gli esseri.
Gaudapada insegnò che l’anima non nasce, affermò che in realtà non nasce nulla e non vi è dualità.
L’universo dei nomi e delle forme è solo un’apparenza, la distinzione fra soggetto e oggetto sono l’inganno della maya, la dualità è una verità relativa, la non dualità è la Verità assoluta.
Il nome Samkara significa “Dispensatore di felicità”. La quintessenza del suo pensiero si può riassumere con queste parole: ( Brahma è reale, il mondo è una apparenza, l’anima individuale è lo stesso Brahma e null’altro ).
Brahma e l’Atman non possono essere classificati in nessuna categoria, perciò nelle Upanishad si preferisce dire cosa non sono.
In alcuni casi per definire Brahma e l’Atman si usano parole come beatitudine, realtà, infinito ed assoluto, perché non si possono definire con i concetti o con le qualità.
Samkara chiarisce che non vi è nulla di reale all’infuori di Brahma, ma per renderlo comprensibile a chi è ancora legato al mondo empirico lo fa apparire come “Isvara,” Dio persona.
Isvara abbraccia tutta la manifestazione, la realtà grossolana, sottile e causale, sia nel microcosmo che nel macrocosmo, è causa del mondo ed è dotato di attributi.
La causa dell’incapacità di vedere Brahma come Realtà assoluta è causata dalla maya, che con l’avidyà (ignoranza) vela la comprensione e imprigiona l’anima nel mondo della materia.
Per un realizzato spiegare la creazione del mondo è impossibile, si procede verso il fallimento perché essa è una apparenza.
Samkara non nega la realtà empirica del mondo, egli afferma che esso sembra reale fino a quando non si è realizzata la realtà non duale di “Brahma.”
Gaudapada spiega che i testi della creazione contenuti nelle Upanishad servono solo a spiegare la non dualità.
Samkara insegna che l’anima non è stata creata, ciò che hanno una nascita ed una morte sono il corpo e la mente.
A causa dell’avidyà quando ci si identifica con il corpo, l’anima viene asservita e cade nella reincarnazione, nella trasmigrazione da un corpo all’altro.
L’Advaita asserisce che l’unica possibilità che ha l’anima di liberarsi dalla sua prigione è la “Conoscenza” la comprensione, tramite la quale avviene il reintegro in Brahma non duale senza attributi.
Tanto per Gaudapada che per Samkara il mondo non è reale in assoluto, ma assomiglia al sogno.
Quando si vive in modo empirico si vedono il mondo, l’anima e Dio creatore. Con la conoscenza gradatamente si comprende che la manifestazione fenomenica è un’apparenza di Brahma.
Gaudapada dice: ( Il supremo Se è la sola realtà. Non vi è schiavitù ne liberazione, non vi è ricerca ne acquisizione, non vi è divenire ne cambiamento in realtà ).
Samkara afferma: ( La maya è ciò che in verità non esiste è un nome per il non esistente ).
Il risvegliato è colui che svela l’Atman cioè l’Assoluto in se, egli è distaccato dal mondo pur vivendo nel mondo, non contribuisce a creare movimento e frastuono, ma irradia la quiete e la Luce che emana dal proprio Essere reale.
Stabilizzare la coscienza nella Realtà interiore silenziosa significa riportarsi consapevolmente in ciò che realmente siamo.
La pace, l’armonia, la saggezza, è un traguardo che si consegue nel silenzio interiore. Quando siamo capaci di praticare la meditazione, che ci porta nel profondo della coscienza e con la mente stabilizzata nell’Unità e nell’Amore riusciamo a percepire la “Verità,” avviene il salto dell’abisso che determina il reintegro dell’anima nella sua Fonte eterna.
Questa è la via del ritorno che ci fa percorrere un sentiero che va dall’io chiuso nel corpo con tutti i condizionamenti che ne conseguono, al risveglio dell’eterno e assoluto Essere in noi l’Atman-Brahma.
Il messaggio della via Metafisica o della Non-dualità è il più alto insegnamento spirituale che si conosca. L’Advaita Vedanta parla di Risveglio, non di divenire.
L’oblio della nostra vera Natura è determinato dal sogno esistenziale, causato dall’identificazione con quello che in realtà non siamo.
La verità è che già siamo e non quello che crediamo di dover divenire.
Questo oblio può protrarsi per un tempo indeterminato, ma nonostante ciò il Risveglio può avvenire in ogni momento della vita a condizione che la nostra vera Natura sia ricercata più di qualsiasi altra cosa di questo mondo.
Per l’Advaita pensare di realizzarsi, di dover ottenere una condizione che prima non c’era è pura illusione.
Quando si staziona in questa condizione di ignoranza metafisica inizia l’illusoria ricerca della realizzazione. L’insegnamento afferma: ( Chi crede di divenire sta sognando ).
Se siamo capaci di non identificarci più con il corpo e con le proiezioni della mente, il sogno termina e nel silenzio della nostra coscienza purificata ed unificata avviene il Risveglio alla nostra Natura eterna.
Conoscere equivale ad Essere. La coscienza priva di dualità torna ad essere Brahma.
Samkara ha insegnato che la Realtà Brahma Nirguna, è l’Essere ineffabile senza attributi, occultato dalla manifestazione alla coscienza degli uomini.
Chi tramite la conoscenza, la rettifica della propria coscienza, la meditazione, riesce a sollevare il velo della maya, dell’ignoranza, riesce a vedere Brahma in tutte le cose dell’universo, egli è diventato un Liberato, è ritornato nella dimensione di Coloro che sono.
C’è una frase della Religione universale che dice:(Dove è Dio? Dio è in cielo, in terra ed in ogni luogo).
La filosofia perenne è presente in tutte le vere tradizioni ed ai diversi livelli di consapevolezza e di conoscenza è a disposizione di tutti coloro che amano la comprensione. Essa può sensibilizzare anche l’animo di un bambino.
Per rendere più comprensibili i concetti finora esposti si evidenziano alcuni cardini fondamentali dell’Advaita Vedanta.
E’ reale tutto ciò che è permanente ed eterno, quindi non soggetto ad un inizio ed una fine; non è reale tutto quello che è transitorio perché ha un inizio e una fine, nasce e muore.
L’intero universo, a tutti i livelli esistenziali di ogni ordine e grado, denominato Isvara, non è reale perché appartiene al mondo della transitorietà, quindi non è reale.
La Realtà è assenza di manifestazione, è Silenzio.
Tra il percipiente ed il percepito, quello che è eterno e di conseguenza reale è il percipiente.
Il percepito non può essere reale perché è visto, è una proiezione della mente individuale o universale.
La Conoscenza Advaita, gradatamente rende la mente quiescente. Quando non ci sono più pensieri allora resta la consapevolezza o coscienza silenziosa.
Questo Essere silenzioso ed essenziale è la Realtà. Essa esiste ed è presente ed identico in tutti gli esseri, ma pochi riescono ad averne coscienza perché il silenzio interiore non viene stabilizzato.
Nel silenzio interiore stabilizzato viene sperimentata prima l’Unità della vita, poi l’eterna Non-dualità dell’Essere.
L’Advaita insegna che la Realtà è assoluta assenza di manifestazione.
Quello che è proiettato dalla mente, è solo sogno esistenziale.
Il Supremo Mantra dell’Advaita Vedanta “Tu sei quello”. Ciò vuol dire che ognuno di noi, nella propria vera identità è l’Essere eterno.
Il dolore, il conflitto, viene prodotto dal desiderio e dall’attaccamento perché procurano dipendenza psicologica.
Il desiderio, l’attaccamento verso qualunque oggetto della manifestazione universale è conflitto, sofferenza e dolore.
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Questa verità metafisica considera transitoria, non reale, l’intera manifestazione universale a tutti i livelli esistenziali.
Viene considerato reale tutto quello che non appartiene alla manifestazione che possiamo osservare con i nostri sensi, ma ciò che appartiene alla dimensione spirituale e vive in eterno nel silenzio.
Fra i due termini a confronto tra il percepiente ed il percepito, quello che è eterno e di conseguenza reale è il percepiente.
Il percepito non può essere reale perché è visto, è una proiezione della mente individuale o universale.
Questa suprema realtà non può essere osservata quando siamo immersi nel turbinio della manifestazione.
L’Advaita Vedanta insegna a fermare la mente e quando non ci sono più pensieri allora inizia a palesarsi la consapevolezza o coscienza silenziosa.
Questa realtà, questo Essere silenzioso ed essenziale esiste ed èpresente ed identico in tutti gli esseri, ma pochi riescono ad averne coscienza.
Chi riesce a ritrovare in se l’esperienza dell’Unità della vita, prima o poi si risveglierà all’esperienza della non dualità dell’Essere.
L’Advaita ci insegna che solo quello Stato non duale esiste, tutto il resto viene proiettato dalla mente in un sogno esistenziale, questo è il Supremo Mantra dell’Advaita Vedanta “Tu sei Quello”.
Il dolore, il conflitto viene prodotto dal desiderio e attaccamento perché producono una dipendenza psicologica. “Om”.
Samkara non si limitò a diffondere l’Advaita Vedanta ma fu prodico nell’insegnare a vivere ed agire in società per il bene di tutti e non solo per se stessi.
Disse che le azioni che compiamo devono essere eseguite con distacco in modo impersonale.
Egli come altri maestri dell’oriente e dell’ occidente ammoniva di dare ad ogni persona il suo, quello che in quel momento gli necessità.
Insegnò anche di non fare ad altri ciò che non vuoi venga fatto a te stesso.
Ammonì di accettare gioia e dolore con lo stesso animo equanime, senza essere esaltato dal successo o avvilito dal fallimento.
La poesia il “Se” di Kipling, che esalta questa equanimità, può senz’altro essere frutto di questa filosofia, considerando che l’autore visse molto tempo in India.
Quando si sono stabilizzati il Distacco, la Conoscenza e l’Amore per tutte le creature viventi, si può dare a ogni persona che entra in contatto con noi la parola, l’insegnamento, che può determinare la chiave di volta del suo Risveglio.
Quando un uomo termina di sognare avviene l’apertura del duro guscio mentale che impedisce la vista della “Realtà” che alberga nell’uomo, ma che è così ben occultata che può passare una intera vita senza averne coscienza.
Samkara dice che quando siamo ragazzi si è attaccati al giuoco, in gioventù si è attaccati ai piaceri sensoriali, nella vecchiaia si è attaccati alle preoccupazioni, ma nessuno ahimè è attaccato alla suprema Verità Brahma.
Le buone azioni servono a purificare la mente, ma non a comprendere la Verità. Per comprendere e vivere la Verità necessitano una mente purificata e la conoscenza diretta.
Samkara insegna a realizzare l’Amore universale e a non limitare l’interesse e l’affetto alla propria razza, alle persone vicine, a lui stesso, ma a vedere l’intera terra come un luogo dove vive un'unica famiglia.
Chi ha raggiunto questa verità ha conseguito la maturità, la conoscenza, la nobiltà d’animo; egli viene chiamato un Jnani ossia colui che vive la Conoscenza ultima.
Il maestro insegna che la liberazione dalle passioni deve avvenire senza forzature, la coscienza deve liberarsi dall’attaccamento alle cose del mondo per superamento, frutto di comprensione di come sono realmente le cose.
Nella nostra mente si possono trovare dei blocchi psicologici, dei coaguli energetici, dei pensieri non volontari, che prepotentemente invadono la nostra mente e rendono la persona soggiogata, alienata.
Si deve mettere in atto un osservatore distaccato, come se si osservasse da fuori, non si deve giudicare o giustificare quello che osserviamo nella nostra coscienza.
Con calma e determinazione e l’aiuto della Conoscenza si deve rallentare la forza del contenuto energetico che ci condiziona, non alimentandolo più con altri pensieri, allora quel pensiero involontario che ha invaso la nostra mente, gradatamente sparisce.
L’allievo gradatamente deve passare dal manas o mente individuata, alla Buddhi, mente universale, ragion pura, che gli consente d’indagare nel mondo soprasensibile.
La ripresa di coscienza del Se è sempre frutto d’ investigazione discriminante; il “neti-neti” dell’Advaita, che significa non è questo, non è questo, è una tecnica per comprendere e scindere tutto quello che nell’uomo e nell’universo ha una nascita ed una morte, da quello che è Eterno, fuori del tempo e dello spazio.
Samkara come Platone ha affermato che a governare il mondo dovrebbero essere deputati solo dei filosofi, dei risvegliati, perché solo loro possono farlo in modo imparziale, con animo equanime e disinteressato.
Samkara fu un grande riformatore della società, per primo ebbe l’intuizione che l’India doveva diventare una sola nazione e non una moltitudine di piccoli stati.
Egli riformò anche le religioni dando supremazia ai Veda, insegnò un tipo d’adorazione sattvica ossia improntata all’equilibrio interiore, all’armonia, alla Luce e alla purezza.
L’esistenza pura, serena di un uomo corrisponde alla Luce spirituale, all’Atman che ha risvegliato in se stesso.
Egli mise in secondo piano la religione tantrica, dottrina mistica che rivolge la sua attenzione all’energia latente nell’organismo umano.
Samkara insegnò che un rito è solo un mezzo e non è fine a se stesso, per pervenire a Brahma occorre la discriminazione fra io e Se e la capacità d’identificazione con il Divino.
Samkara affermò anche che la via dell’illuminazione è aperta a tutti indipendentemente dalla casta in cui si è nati.
Come si è detto in precedenza fondò quattro Matha, centri di realizzazione e di diffusione dell’Advaita Vedanta nei quattro punti cardinali dell’India, in modo che l’insegnamento della filosofia perenne potesse avere continuità e conformità su tutto il vasto territorio dell’India.
Samkara codificò, promosse, diffuse, rese più comprensibile l’Advaita Vedanta già contenuta nei Veda.
L’Advaita Vedanta al pari della filosofia greca di Platone insegna il superamento della dualità, e indirizza gli esseri che lo vogliono veramente verso l’ultima Realtà, verso Brahma, verso la Costante.
La Via metafisica insegna a liberarci dalle gabbie mentali, a trascendere il mondo dei fenomeni per essere completamente e definitivamente liberi.
Ogni uomo è libero di creare il proprio destino, restare nell’ignoranza della maya o riprendere coscienza dell’Atman, che é privo di mutazioni, é la Realtà assoluta che dimora nel nostro corpo, dobbiamo risvegliarci all’eterno Essere che siamo da sempre.
Per conoscere ed essere l’Atman si deve rendere silenziosa la mente. Soltanto nel completo silenzio interiore il soggetto assoluto, ossia l’Atman emerge in noi.
Per questa via oltre ad una mente informale, libera, si deve avere l’ardire di valicare l’abisso, cioè distaccarsi amorevolmente da tutto ciò che è transitorio.
Questa non è la via dei pavidi, se si posseggono queste qualità ognuno con i propri tempi di risveglio, inizierà a sentire il Sacro palpitare in se e si paleserà la Realtà assoluta.
Raphael, che ha donato l’Advaita Vedanta all’occidente, tramite la collana di libri Vidyà (conoscenza), nella “Triplice via del Fuoco” dice: (Non esitare, il dubbio appartiene all’io indigente. Il Fuoco di Eros ti darà la certezza dell’Eterno. Amo gli impavidi che saettano verso l’Infinito).
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Le analogie fra Platone e Samkara sono evidenti. Il primo distingue con l’Uno-Uno la Realtà Intelligibile e con l’essere mondo quello della manifestazione, il mondo delle idee.
Samkara parla di Brama Nirguna come Dio non qualificato, non antropomorfo e come Brama Saguna definisce il Dio del mondo delle nascite e delle morti, il mondo qualificato quello della maya.
Platone e Samkara sono arrivati alle stesse conclusioni. Essi ritengono che la manifestazione, i fenomeni appartengono al mondo delle apparenze, non hanno continuità vanno e vengono, nascono e muoiono, rappresentano il non-Essere.
L’Uno-Uno di Platone e Brahma Nirguna di Samkara sono l’Essere che non conosce nascita e morte, sono la Realtà eterna, sempre identica a se stessa.
Le due vie indirizzano gli adepti all’Essenza, alla Verità che alberga in noi. Per ottenere questo risultato usano le tecniche della meditazione, dell’introspezione, della discriminazione, della purificazione, della Conoscenza e del Risveglio.
Teniamo presente che le passioni, la gelosia, la cupidigia, il desiderio smodato di affermazione in società, anche a danno di altri esseri umani, sono zavorra che ci impediscono di volare e superare l’abisso, ostacolano il passaggio dal mondo dell’io egoico a quello del Sè.
I due sommi Maestri indicano la via per riprendere coscienza della nostra vera identità di Essere.
Platone chiama Nous la nostra Natura divina, Samkara la denomina Atman, lo stato di risveglio che ci fa uscire definitivamente dalla sofferenza e ci riporta a casa dove regna la Conoscenza, l’Illuminazione, il Bene, il Bello, la Pace profonda e l’Amore.
Questa Filosofia perenne percorre come un grande fiume, sia l’oriente che l’occidente. Essa sopravvive alla millenaria storia dell’uomo perché è Eterna, rimane sempre viva ed attuale per gli uomini di buona volontà che sanno comprendere e trascendere la propria natura individuale.
Dobbiamo continuare a vivere con la consapevolezza di “essere nel mondo ma non del mondo”.
Sia nella filosofia di Platone che in quella di Samkara, la morte del corpo non rappresenta la fine, ma un passaggio, si transita in un’altra dimensione, in un altro stato di Essere.
Il corpo si abbandona come un contenitore, un vestito divenuto logoro, si attua l’ineffabile “Morte dei filosofi,”che riporta il nostro Atman a Brahma.
Dobbiamo imparare a morire a tutto ciò che abbiamo posseduto nel mondo, comprendere che non ci serve più nascere e morire in linea orizzontale e come Gesù morire ed ascendere in linea verticale.
Il Nazareno è asceso al Padre. Chi segue la Via metafisica, discepolo della Liberazione, deve trascendere tutti gli stati condizionati dalla dualità e tornare in quella dimensione che Platone chiama Uno-Uno e che Samkara definisce Brahma Nirguna.
Concludendo dobbiamo soltanto riprendere coscienza di Quello che realmente siamo da sempre, perciò morire diviene un rinascere, un risvegliarsi nell’Assoluto, infinito ed eterno Se.
Om.
Si riportano alcuni brani di Raphael, tratti da due libri della collana Vidya.
Fuoco dei Filosofi:
( Si diventa ciò che si pensa nel cuore; se pensiamo d’essere l’Essere supremo saremo l’Essere, perché in potenza già lo siamo, se pensiamo d’essere umani individuati saremo tali……… La potenza del pensiero cuore ci offre le ali per volare negli svariati mondi grossolani o sottili; o ancora, per uscire e ascendere completamente verso Dio non qualificato e senza forma.
E’ quest’ultimo evento rappresenta la vera autentica ed ultima morte resurrezione ).
La Triplice Via del Fuoco:
( Raggiungi la dimora di “Coloro che sono” e non più divengono, la Cittadella degli Svegliati, il luogo senza confini.
Solo la potenza del Fuoco può trascendere il fascino dispersivo del fuoco ).
(Autore: prof. Alberto Canfarini)
Argomento: La Vita oltre la Morte
La vita dopo la morte
Alberto Canfarini | 16.07.2014
vita oltre la morte
gabriel | 15.06.2014
come sempre ,dopo aver parlato con te o dopo aver letto alcuni tuoi pensieri,trovo piu ' chiaro il mio sentiero in salita.Ciao a presto e grazie per la chiacchierata sotto la pioggia.
R: vita oltre la morte
Alberto Canfarini | 16.07.2014
Caro Gabriel, per parlare di cose sacre sono sempre a disposizione, non ci faremo condizionare da un pò d'acqua.
Fino a quando indosserò questo vestito sono a tua disposizione.
Alberto
Vita oltre la morte
Paola | 24.10.2013
Io ho avuto un'esperienza che mi consente di affermare che c'è una luce oltre l'attimo di buio. Complimenti è un articolo bellissimo.
R: Vita oltre la morte
Pietro | 25.11.2013
Mi aggiungo ai complimenti, compito non facile fare una panoramica delle diverse tradizioni post-mortem. Rimane per me un mistero che interpreto a livello del tutto personale. Preferisco non crearmi aspettative.
R: R: Vita oltre la morte
Alberto Canfarini | 30.03.2014
Caro Pietro pur non creandoti aspettative, puoi riflettere su quello che ci attende, una vita senza ricerca non merita d'essere vissuta.
R: Vita oltre la morte
Alberto Canfarini | 30.03.2014
Cara Paola solo chi ha varcato la porta può comprendere lo splendore che ci attende, sia felice della sua esperienza.