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ET IN ARCADIA EGO:
ermetismo tra classicità e romanticismo
(Massimo Centini)
L’accostamento arte/esoterismo è sempre rischioso: il pericolo di allontanarsi dai binari della filologia è in agguato ovunque, anche perché il mito sa adularci come le sirene di Omero. Per cercare di superare indenni questo pericolo, possiamo legarci all’albero del nostro fragile vascello e tentare di avventurarci nell’oceano mare in cui arte, iconografia, allegoria ed esoterismo convivono e si uniscono in una simbiosi problematica.
In questo capitolo proveremo quindi a guardare un’opera d’arte emblematica per i cui cultori dell’esoterismo: “Pastori d’Arcadia” (nota anche come “Et in Arcadia Ego II”), di Nicolas Poussin (1594-1665) (1).
Fig. 1: N. Poussin "Et in Arcadia ego II"
Si tratta di una tela di indubbio fascino, forse meno importante di altre opere del pittore francese, che svolge però un ruolo molto attivo nella tradizione esoterica, nella quale hanno un posto d’onore simboli come il Graal, i misteri di Rennes-le-Château, fino al Priorato di Sion.
Influenzato dal Manierismo e da Raffaello, Poussin trasse spunti fondamentali per la sua formazione nella cultura artistica italiana; svolsero inoltre un ruolo determinante per le scelte dei soggetti la tradizione biblica e la mitologia greco-romana. Anche quando si orientò verso il piccolo e medio formato, seppe sempre assegnare alla composizione un notevole dinamismo, che si concretizza in un ritmo serrato e trascinante. Poussin cercò, per quanto possibile, di sottrarsi alle incombenze determinate da incarichi anche prestigiosi – fu “premier peintre du Roi” incaricato di dipingere la grande galleria del Louvre – e trascorse molto tempo a Roma (dove morì): qui ebbe modo di dipingere i soggetti a lui cari, peraltro molto apprezzati, come confermano le numerose committenze che l’impegnarono fino alla fine.
Se pur incline a orientare la sua poetica in direzione di tematiche che potremmo definire “classiche”, in cui prevale l’attenzione per l’universo del sacro, l’artista francese ebbe comunque la capacità di sorreggere la sua ricerca con una profonda analisi intellettuale, finalizzata a spingersi oltre il limite delle apparenze. Realtà e fantasia, così come natura e storia, si sintetizzano in un linguaggio rigoroso, scandito da una tecnica impeccabile, adagiata su un’intelaiatura prospettica precisa.
Come altri artisti – per esempio il Guercino (1591-1666) – anche Poussin fu particolarmente attratto dalla frase “In Arcadia Ego”: come già indicato, la pose nella sua opera “Pastori d’Arcadia” che, dal romanticismo, è diventata una sorta di cult per gli appassionati di esoterismo. Cerchiano di capire quali possono essere le ragioni di tale attenzione per un dipinto in fondo meno attraente di altri.
Luogo povero e abitato solo da pastori, l’Arcadia era una regione della Grecia idealizzata nelle Bucoliche di Virgilio, in cui è descritta come un universo caratterizzato dalla primavera eterna e da una rigogliosa vegetazione. Di fatto un mondo che tende ad assumere connotazioni simili a quelle che la mitologia attribuiva all’Età dell’oro.
La tomba in Arcadia, che è destinata a diventare un topos letterario e artistico, ha il suo incipit in quella di Dafne (2), che incarna il giusto equilibrio tra la bellezza esteriore e quella interiore.
All’inizio del XVII secolo, si diffuse un tema iconografico caratterizzato da un sepolcro e/o un teschio accompagnato dal motto: “Et in Arcadia ego”. Tema che, come abbiamo già indicato, incontrò l’attenzione di altri artisti; Poussin lo volle però enfatizzare nella sua opera, fino a farne il punto focale e suggerendo così una prospettiva di lettura che si orientava in direzione dell’esoterismo.
Prima di tentare un’esegesi dell’opera, soffermiamoci sull’iscrizione:
Et in Arcadia ego (Anche in Arcadia io): “et” per “etiam” (anche), si sottintende “sum” (sono presente) o “eram” (ero). Si delinea quindi una doppia interpretazione:
la morte è onnipresente: sum, anche in Arcadia
la caducità della gloria umana al cospetto della morte: io ero (eram) in Arcadia.
Insomma, una celebrazione del potere della morte sull’uomo e la conferma che la nostra vanagloria umana è, prima o poi, destinata a essere cancellata dalla caducità della nostra esistenza.
Poussin fu quindi particolarmente colpito dalla forza di Et in Arcadia ego: poche parole che probabilmente visse con intensità; ricordiamo che fu sempre tormentato da problematiche di salute, rifuggì i fasti scegliendo una vita ritirata e privilegiando la riflessione. Sembra quindi che la consapevolezza della vanità delle cose terrene avesse una parte importante nella quotidianità dell’artista che, tra il 1627 3 e il 1628, realizzò la prima versione di “Pastori d’Arcadia” (indicata con “Et in Arcadia Ego I”) (3).
N. Poussin "Et in Arcadia ego I"
Adottò gli stessi elementi che caratterizzano “Et in Arcadia Ego” del Guercino, dipinta alcuni anni prima (4), in cui hanno un ruolo preminente un teschio e due pastori di età diversa.
Fig. 3: Guercino "Et in Arcadia ego"
Mentre nell’opera del Guercino il testo si trova su un semplice piedestallo in mattoni, nella tela di Poussin il teschio e l’iscrizione sono presenti su una struttura più complessa, una tomba. Ma qui c’è dell’altro: alla sinistra dei pastori è presente una giovinetta vestita di bianco e alla destra una figura maschile seduta e posta di tre quarti, che nasconde il volto. Questo personaggio, più anziano di tutti gli altri, viene interpretato come la rappresentazione dell’Alfeo, fiume dell’Arcadia e per la maggior parte sotterraneo: per tale motivazione il volto dell’uomo non sarebbe visibile. Ne risulta che le altre tre figure rappresenterebbero altrettante età della vita, secondo una struttura non insolita nell’arte e che avrebbe ascendenze di ordine esoterico.
L’artista francese, a differenza del Guercino, raffigura i pastori nell’atto di leggere con attenzione l’iscrizione, quello di destra segue con il dito le lettere, quasi a enfatizzare il contenuto del testo. La scena è resa particolarmente dinamica dall’atteggiamento dei pastori, che scoprendo la tomba di fatto scoprono la morte nella fase di maturità della vita, posta cioè tra fanciullezza e vecchiaia (la giovane a sinistra e il vecchio a destra).
Poco più di un decennio dopo, Poussin eseguì un a seconda versione di quella singolare opera (“Et in Arcadia Ego II”), che si presenta decisamente più articolata della precedente, sviluppata in orizzontale, a differenza dell’altra che è in verticale, con un paesaggio maggiormente descritto e curato.
Qui il sepolcro troneggia al centro della composizione, in “Arcadia I” è visibile parzialmente, confuso tra gli alberi: intorno a esso i quattro personaggi sembrano meno stupiti e forse impegnati nel tentativo di trarre i significati della scritta.
Il pastore di sinistra appoggia il braccio sulla pietra, mentre osserva il personaggio con la barba, quello a lui più vicino, inginocchiato, indica con il dito l’iscrizione e pare leggerla; al suo fianco l’altro pastore, semipiegato, indica anch’esso il motto.
All’estrema destra vi è una donna con abbigliamento ricercato, che ricorda quello delle matrone (forse la raffigurazione dell’Arcadia). Non vi è più il teschio, ma significativamente un’ombra che ricorda la falce della morte.
Il dipinto poussiniano, nella sua quieta e misteriosa atmosfera, ha fortemente condizionato la cultura del suo tempo, divenendo un modello per copie di tombe realizzate in cimiteri e come memento mori in parchi e giardini (5).
Senza dubbio, la presenza all’interno di una sola tela di un’iscrizione che interagisce con le figure, costituisce un’occasione colma di fascino per gli studiosi di iconologia, ma anche per quanti ricercano messaggi criptografici dai quali trarre informazioni che non traspaiono dalla superficie della rappresentazione.
Il gianiforme messaggio di certo è l’artefice della problematicità semantica della tela di Poussin (6): molte le interpretazioni che si sono susseguite e sorrette dalla certezza che quel motto in realtà fosse un enigma linguistico, all’interno del quale si celerebbero significati accessibili a pochissime persone.
Le motivazioni di tale segretezza sarebbero determinate dal fatto che la tomba raffigurata dovrebbe essere addirittura quella di Cristo. Insomma il quadro illustrerebbe il luogo – noto a Poussin a pochi altri – in cui era situata la “vera” tomba di Gesù, contenente i suoi resti mortali… Qualcuno la pone vicino a Rennes-le-Château!
Fantasia e desiderio di mistero si amalgamano indissolubilmente, creando tutti i presupposti per dare largo spazio a vicende che appartengono a quella tradizione esoterica che sorregge, per esempio, Il codice da Vinci, ecc.
Questa nostra rapida panoramica ci ha concesso di constatare che i “messaggi” esoterici di un’opera d’arte possono essere di tre tipi:
ü inseriti dall’autore (per propria volontà, per richiesta della committenza, ecc.)
ü individuati dai fruitori – però non inseriti dall’autore – e “scoperti” sulla base delle conoscenze e soprattutto delle istanze di chi osserva quell’opera
ü inseriti dall’autore, ma interpretati dal fruitore in modo del tutto diverso dai fruitori.
Per quanto riguarda “Et in Arcadia Ego II”, entra in gioco la prima tipologia: i riferimenti voluti da Poussin potrebbero essere la testimonianza oggettiva della caducità delle cose terrene, l’uso dell’allegoria delle tre età sarebbe l’espressione dell’inesorabile scorrere del tempo.
Naturalmente il discorso può essere approfondito in chiave esoterica: ma, per quanto ci riguarda, si tratta di un’avventura iconologica abbastanza rischiosa. Ricordiamo che il legame tra l'arte e la dimensione che definiamo, anche arbitrariamente, esoterica ha un'origine molto antica: è soprattutto a partire dal Rinascimento che ha trovato però la sua massima affermazione.
Nelle tavole di Giorgione o di Bosch, negli affreschi di palazzo Schifanoia o nel complesso dedalo iconografico della Cappella Sistina, come in tante altre opere di artisti di ogni tempo, gli studiosi hanno scorto tutta una serie di singolari rimandi esoterici.
L'indagine iconologica effettuata da Erwin Panofsky (1939), che riprese le tesi di Cesare Ripa, autore, quattro secoli prima, di un'Iconologia (1593) in cui si indicava la strada per considerare l'arte un “ragionamento per immagini”, ha puntato molto sul valore magico-esoterico dell'arte. Infatti, dovendo essere un metodo di interpretazione storico che superi gli aspetti puramente descrittivi e classificatori dell'analisi, l'iconologia risulta lo strumento più idoneo per guardare oltre l'apparenza, oltre la rappresentazione in sé.
Questa chiave di lettura è quella che ha permesso agli studiosi di scorgere, per esempio, solidi legami tra il Parmigianino e l'alchimia, tra Rembrandt e il satanismo, tra Leonardo e la magia sessuale, e avanti fino a Pollock, passando per Duchamp, De Chirico, Magritte.
NOTE
1) L’opera è un olio su tela (87x120 cm) del 1640, attualmente si trova al Museo del Louvre.
2) Virgilio, Bucoliche, V,42.
3) Olio su tela (101x82 cm) Chatsworth, Devonshire Collection.
4) Olio su tela (82x91 cm) Roma, Palazzo Barberini.
5) Sul modello de “Pastori d’Arcadia” è stato realizzato il rilievo in marmo dello Shepherd's Monument (XVIII secolo), conservato all’interno della Tenuta di Shugborough Hall nello Staffordshire in Inghilterra. Un altro rilievo analogo venne scolpito nel 1832 a Roma, per segnalare la tomba di Poussin.
6) Cfr. E. Panofsky, Il significato delle arti visive, Torino 1999.
Argomento: Et in Arcadia Ego
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