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5. Le streghe di Chioggia (di Uberti Marisa)
[Speciale Chioggia]
L’argomento tocca la città dal vivo; stregoneria, magia, esorcismo erano praticati fino almeno alla fine del XIX secolo. La sfera occulta sembra aver da sempre occupato una parte consistente della vita dei chioggiotti, complice il fatto che gli uomini doveva lottare quotidianamente contro le forze naturali in mare, dunque amuleti portafortuna o immagini sacre si riteneva potessero proteggerli. Le donne si ritrovavano a dover scongiurare incidenti per i loro mariti, figli, padri o fratelli, e lo facevano sia con le preghiere e la devozione verso la Madonna, Cristo e i Santi, ma anche con i cosiddetti “segni”, cioè “riti esorcizzanti”, praticati da persone reputate in grado di compierli. La superstizione popolare tendeva infatti ad attribuire la causa di eventuali incidenti, sfortune o possessioni all’opera di sortilegi, malefici, fatture, malocchio, che le “patocère” (fattucchiere) sapevano imbastire (magari su commissione di persone malevole). Le pratiche stregonesche e gli scongiuri, definiti in gergo “segni”, consistevano in caricature di rituali o esorcismi religiosi, un misto di preghiere tradizionali storpiate e volgarizzate e motti popolari. In genere un episodio evangelico veniva adattato alla realtà contemporanea e reso popolare attraverso formule e riti magici[1].
La Corte Taccheo era denominata anche la Corte delle Streghe. Era qui che c’era il classico “covo delle streghe”: calata la notte, la loro leader- che viveva in una catapecchia- riuniva le altre in cerchio con un fischietto e impartiva loro gli ordini, poi misteriosamente quelle donne si trasformavano in gatti! Una notte la capo-strega venne azzoppata dal colpo di un bastone sferratole da un ignoto sbucato dal nulla (non si sa poi quale sia stata la “vendetta” della donna), e rimase storpia per il resto della vita.
Oltrepassato il Ponte Scarpa (un tempo chiamato ponte del Mustacéti), nella Calle omonima, si trova un tenebroso palazzo “della strega”, perché un tempo era abitato da una maga o fattucchiera. In una nicchia del registro superiore dell’abitazione, dal lato ovest, si trova un’edicola contenente la statua di una Madonna che metterebbe in relazione il mondo delle streghe con quello delle icone.
Numerosissime sono le abitazioni del centro storico che presentano edicolette sacre, statue della Vergine, immagini del Cristo, forse proprio per tenere lontano il maligno o propiziare una buona sorte, per contrastare quell’aura occulta che impregnava ponti, calle, palazzi e chiese. Ma quanta concentrazione! Localmente queste piccole edicole religiose sono chiamate Capitèi, collocati in ogni calla generalmente nel punto più oscuro; servivano così anche ad illuminare la strada. I più interessanti ed antichi si trovano nell'angolo di Calle Fornetti, in Calle Vianelli, in Calle Ravagnan e in Calle Donaggio. Il Gruppo di Arte Popolare negli ultimi anni ha provveduto a valorizzarli, restaurandoli e integrandoli nei luoghi dove era spariti, a volte anche trafugati[2].
Ma torniamo alle streghe. Ora, non sappiamo la reale “competenza” di queste donne (nel Medioevo bastava poco ad una donna per essere tacciata di stregoneria, ad esempio saper riconoscere talune erbe per farne medicamenti o pozioni, ma di questo abbiamo parlato in altra sezione), tuttavia testimonianze ancora vive nelle anziane del posto informano di un clima di terrore verso la comparsa della Pagàna. Si temeva che questa potesse fare incursione nella stanza di una partoriente, o di una puerpera, facendo del male a lei, alla nutrice, al nascituro o al neonato. Questa Pagàna è descritta come “un essere misterioso e malefico contro il quale si mettevano in atto pratiche e rituali per scongiurare gli intenti omicidi”[3]. In alcuni casi si mettevano delle forbici con le punte aperte in direzione della porta e un pane come offerta, affinchè la Pagàna non si introducesse strangolando la paziente (!). Non era garantito che il pane venisse accettato in quanto un detto locale dice che solo le streghe lo rifiutano, per la sua sacralità. Negli Archivi Diocesani si trovano documenti relativi ai processi dell’Inquisizione contro maliarde e supposti guaritori; gli interrogatori erano condotti da un frate domenicano e se la strigaria veniva ritenuta colpevole poteva rischiare il rogo.
Note:
[1] “Processo e monito per strigarie e malie in Clugia”, spettacolo classico della contrada di Sant'Andrea del palio de la Marciliana, inserito nella rassegna Spettacoli di Mistero 2013, festival regionale veneto itinerante e annuale
[2] La Tradizione a Chioggia, vedi qui
[3] Bracchi, Remo “Nomi e volti della paura nelle Valli dell’Adda e della Mera”, Max Niemeyer Verlag, Tübingen, 2009, p. 341. Reperibile anche in “La concezione della donna dalle testimonianze dei processi bormini per stregoneria”, dello stesso autore, scaricabile qui