7. Chiesa dei Filippini, la composizione di ossa e l’encefalo incorrotto
[Speciale Chioggia]
Marisa Uberti
Questa chiesa si trova di fronte al Ponte Filippini, che si imbocca dalla scenografia Piazzetta XXII Settembre, uno slargo del Corso del Popolo. La chiesa sorge proprio all’inzio della Calle Ponte Filippini e si presenta con una facciata settecentesca; fu infatti realizzata nel 1768 su progetto di Giuseppe Canner e finanziata dal conte Lodovico Manin di Venezia. L’interno dell’edificio è molto interessante, con notevoli opere d’arte. Colpisce in particolare la Cappella delle Reliquie, sulla quale è bene spendere qualche parola per la sua particolarità: al posto della pala d’altare e di tele alle pareti, troviamo una composizione di reliquie (per lo più ossa) voluta da G.B. Battiati nel 1862. Eleganti motivi geometrici e floreali a stucco decorano le pareti e la volta, formando delle cornici per le teche contenenti le reliquie. Sembra la celebrazione della morte; pur se molto in piccolo, ci ha ricordato la Cappella-ossario della Chiesa di San Bernardino alle Ossa di Milano. Sotto la mensa è conservato il corpo di S. Prospero, nell’urna a sinistra si conserva il corpo di San Feliciano martire mentre in quella di destra si trova il corpo di Santa Vincenza martire. Le composizioni di ossa nelle teche possono sembrare un po’ macabre e chissà quale fu lo spunto che ispirò al Battiati tale operazione, ma il visitatore un poco distratto potrebbe nemmeno accorgersi di cosa si tratta, scambiando le teche per geometrici quadretti. Solo avvicinandosi adeguatamente si scoprono frammenti di ossa rigorosamente inquadrati in strutture geometriche quasi maniacali: in perfetta fila entro cornici quadrate, rettangolari, circolari o esagonali di varia dimensione. Alcune ossa sono sistemate entro appositi telini preziosamente ricamati e forniti di apposite aperture, da dove vederle. Nella maggior parte dei casi, per quanto abbiamo potuto notare, ogni reliquia è provvista di un cartellino identificativo che corrisponde al supposto santo di provenienza; ciò induce a riflettere quanto lavoro dev’essere costato al Battiati.
Una piccola cripta, dalla parte opposta della chiesa, è riservata alla tomba di un padre filippino che è stato molto importante per l’ordine: Raimondo Calcagno (1888-1964), nato e morto a Chioggia. La sua vita fu costellata di opere pie, fondò in città l’Oratorio-ricreatorio di S.Filippo Neri, e diresse il patronato San Gerolamo Emiliani, divenendo educatore di molti giovani poveri, orfani e abbandonati, utilizzando il gioco, il canto, le fiabe, il teatro, il dialetto. Fu un esempio di santità per tutti, soprattutto della gioventù. Tanto fu esemplare nel suo apostolato che nel 1991 è stata avviata una causa di canonizzazione per l’attribuzione della sua Venerabilità (attualmente sottoposta a verifica della Commissione Teologica Vaticana pendente presso la Congregazione delle Cause dei Santi a Roma). Tra le singolarità che riguardano padre Raimondo Calcagno ce n’è una che riguarda la sua salma: dopo trent’anni dalla sua morte, la tomba venne aperta per una ricognizione e mentre del corpo restavano solo resti, il cervello era misteriosamente incorrotto.
Una collezione privata di arte sacra, un piccolo ma significativo tesoro, ha preso vita dal 7 dicembre 1997 sopra la Sagrestia e la Cappellina della chiesa dei Filippini. Si tratta di due ampi vani chiamati localmente “camaroni”, che dopo adeguato risanamento sono stati adibiti ad esposizione museale dove, tra i numerosi reperti interessanti, si trova una pergamena del 1293, offerta ai Padri dell’Oratorio dall’ultimo Cancelliere Grande di Chioggia nel 1828. La pergamena è un documento importante per la città perché è il diploma con cui il doge Gradenigo autenticava un antico patto fra Veneziani e Chioggiotti, risalente al 1135 e chiamato Pactum Clugiae, che è stato restaurato di recente dai monaci benedettini dell’abbazia di Praglia. Nel documento è ribadita la piena sovranità alla città di Chioggia, ponendo fine ai litigi e ai frequenti ricorsi che si verificavano da parte dei veneziani. L’autonomia giuridica di Chioggia era così specificata: dal porto al fiume Adige, dall’Adige alle Bebbe, dalle Bebbe a Conche e da Conche al porto. Su questo territorio i chioggiotti avevano diritto di lavorare nella vigna e nelle saline, pescare, costruire case e chiese, trovare ricovero, e qualsiasi altra cosa possa l’uomo immaginare di fare su detta terra, avendone piena proprietà e podestà perpetua; la pergamena prevdeva anche una multa per chi non avesse riconosciuto come originale il nuovo documento
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