La chiesa di Santa Maria di Ancaèlle
nella frazione di Sant’Arcangelo sul Trasimeno (comune di Magione, PG)
(a cura di Marisa Uberti)
Nell’agosto 2020 abbiamo trascorso le vacanze estive sul Lago Trasimeno, il quarto più grande in Italia. Al di là delle dimensioni e delle classifiche, possiamo dire che la nostra scelta è stata più che soddisfacente, avendo ricavato autentiche sorprese dalle nostre visite sia dei bellissimi borghi lacustri, sia di quelli accoccolati sulle dolci colline che punteggiano lo specchio d’acqua. Una storia antichissima li accomuna, tra cui spicca quella etrusca. Partendo dal nostro luogo di soggiorno (Castiglione del Lago) in direzione di Magione, alcuni giorni prima di Ferragosto abbiamo imboccato la Strada Statale 599 Rivierasca notando sulla destra, dopo qualche chilometro, un’affascinante chiesa romanica, S. Maria di Ancaèlle, di cui avevamo soltanto letto qualche notizia degna di attenzione sugli opuscoli informativi. A posteriori possiamo affermare che questa visita ci ha arricchito con tante e inaspettate scoperte.
E' l’edificio di culto più antico di Sant’Arcangelo[1], frazione di Magione (PG), se non di tutto il Trasimeno, custode di una venerata icona mariana duecentesca. Secondo alcune teorie sarebbe appartenuta ai Cavalieri Templari; siccome quest'ultima affermazione è abbastanza frequente da trovare ma spesso è mancante di documentazione, abbiamo voluto conoscerla meglio. Quel giorno abbiamo trovato l'edificio chiuso, come del resto lo è per tutto l’anno (tranne in un paio di occasioni), potendola apprezzare soltanto dall’esterno. Un avviso però informava che avrebbe aperto per una S. Messa il giorno dell'Assunzione (15 agosto), al mattino. Ci siamo quindi ripromessi di tornare nella data di apertura e, nel frattempo, abbiamo scambiato qualche parola con un paio di gentili persone residenti nel podere in cui la chiesa si trova.
Il luogo ha subito esercitato un notevole fascino su di noi, che abbiamo iniziato ad osservarlo con curiosa attenzione. L'orientamento astronomico della chiesa è sull'asse Est-Ovest (con ingresso a ponente). La facciata, esageratamente larga, è coperta da due grossi alberi frondosi; la tipologia "a capanna" ha un ingresso centrale e presenta tre finestre: una sopra il portale e due laterali. Un tempo vi era un rosone, centralmente, chiuso nel 1751 (data impressa su una mattonella murata sopra l'attuale finestra centrale). L'aspetto odierno dell'edificio è frutto di una profonda ristrutturazione che risale agli anni centrali del XVIII secolo. Il fianco meridionale è privo di aperture, salvo la parte nascosta dietro un annesso che dà su un cortiletto confinante con la retrostante casa colonica. La parte absidale è occultata da una costruzione civile. I testi riportano la presenza di un fregio, murato esternamente all'abside, di incerta datazione. Non abbiamo rilevato segni o simboli esterni; il tutto è di una semplicità disarmante ma non per questo priva di fascino, anzi!
Il lato nord presenta un finestrone rettangolare e un grande arco tamponato: qui si trovava un ingresso dalla parte del lago, che poi venne chiuso perchè proprio il lago ha costituito un problema, nei secoli, allagando la chiesa a più riprese con le sue inondazioni e determinando un costante grado di umidità che si è rivelata deleteria per gli affreschi parietali, che datano tra il XIII e il XVI secolo. Il piano di calpestio della chiesa è situato ad un livello più basso di quello del piazzale esterno che, con piogge forti e prolungate, è spesso stato interessato da allagamenti, con conseguente formazione di pozzanghere che inevitabilmente hanno causato infiltrazioni d'acqua all'interno della chiesa. Da una visita pastorale del 1782 sappiamo che sul lato a tramontana era posto un cimitero, che forse a quel tempo non era già più in uso perchè nel 1762 si verificò una disastrosa alluvione in seguito alla quale il vescovo di Perugia vietò le sepolture ad Ancaèlle, ordinando di trasferire la pratica nella chiesa di Sant'Arcangelo.
Dallo spiovente sinistro del tetto si staglia un bellissimo campanile a vela ad una sola campana, sulla quale è incisa la data 1268 e anche quella di una riparazione avvenuta nel 1547. Sul timpano del campanilino è invece presente un'altra data, 1757 (probabilmente riferibile ad un restauro).
Nel campo di fronte alla facciata della chiesa si trova un cippo in pietra con croce greca devozionale. Ha un'altezza di 2 metri e, attorno ad esso, si svolge ancora oggi un rituale religioso il mattino dell'Ascensione: si compie un giro processionale per tre volte, in preghiera (Rogazioni). Abbiamo chiesto ad una signora del posto quando fosse stata piantata la croce ma non ha saputo dirlo, limitandosi a riferirci di averlo sempre visto lì. Siamo però fortunati perchè una fonte documentale ci fornisce una risposta certa. In un registro dei Battesimi conservato nell'Archivio Parrocchiale, relativo agli anni 1770-1823, il parroco di Sant'Arcangelo sul Trasimeno, don Girolamo Tramontani, annotò la cerimonia della posa della croce, avvenuta il 12 Aprile 1801, alla presenza di gran concorso di popolo e dei confratelli della SS. Concezione.
La croce nel campo antistante la chiesa, a circa trenta m sulla direttrice della porta, benedetta e consacrata il 12 aprile 1801
- Una posizione strategica
Sant’Arcangelo non ha sempre avuto questo nome, infatti non pare esistesse prima del XV secolo. Si identificava nel Medioevo con il toponimo “Badia” per la presenza dell’Abbazia benedettina che sorse ad opera dei potenti monaci nel punto più alto (colle Marzolana). Il paese occupa una posizione strategica, in una fertile vallata a meridione del lago e ai piedi di boscosi colli, distendendosi per circa tre km lungo la strada che conduce da Castiglione del Lago a Magione e quindi a Chiusi. Siamo in un territorio che evoca atmosfere medievali animate da monaci-cavalieri, pellegrini e viandanti, che percorrevano la strada regale o del Chiugi che da Chiusi conduceva al lago Trasimeno. Una direttrice antichissima, di origine etrusco-romana, che ha costituito per secoli e secoli un passaggio obbligato[2] lungo il quale sorgevano are votive, templi, necropoli, ipogei. Alla stessa maniera, in epoca cristiana lungo questo percorso sorsero edicole, chiesette e importanti abbazie. L’attuale strada Perugia-Chiusi è relativamente recente (1872) e, con poche varianti, ripercorre l’antico tracciato che, in località la Frusta, si concludeva [3]. La chiesa abbaziale di San Michele Arcangelo sorse nell’XI secolo (cripta del secolo precedente) ma è giunta ai giorni nostri molto rimaneggiata (l’intero complesso è privato; il convento è stato trasformato in abitazioni di prestigio). Dopo essere passata agli Olivetani, nel 1430 non abitandovi più alcun monaco, fu assegnata come fonte di rendita per la costituzione a Perugia del Collegio della Sapienza Nuova o Casa di San Girolamo, che ancora oggi detiene la proprietà della chiesa di Santa Maria di Ancaèlle.
Come abbiamo già accennato, il primo nucleo religioso si deve collocare nel vocabolo [4]Frusta, esattamente dove sorge la chiesa di S. Maria di Ancaèlle, le cui radici affondano quindi nel passato remoto. Da Perugia era la strada più breve per raggiungere il lago: valicando le colline di Solomeo, poi quelle di Agello ci si inoltrava tra la fitta vegetazione della costa sopra il Trasimeno. Il tratto di strada che scendeva da Montebuono era chiamato "Sferracavallo" perchè qui i cavalli perdevano spesso i loro ferri, a causa del fango e della terra argillosa. Dopo il valico di Montebuono, ci si trovava immediatamente in prossimità della chiesa di Santa Maria di Ancaèlle davanti al porticciolo, dal quale ci si imbarcava per l'Isola Polvese.
- Il curioso toponimo - breve profilo storico
Molto curiosa l’intitolazione della chiesa: che cosa significa “Ancaèlle”? Sono state avanzate alcune teorie sull'origine del nome:
a) derivazione da un culto alla dea etrusca della fertilità Ancaria, il cui tempio sarebbe qui esistito prima della chiesa cristiana (la più accreditata);
b) da Ancharius o Ancarius, nome del proprietario delle strutture produttive di epoca etrusca che qui dovevano esistere[5];
c) da “ancille” (ancelle); è attestata la presenza, dal 2 Settembre 1588, di una Confraternita di serve “ancillae Virginis”[6]
Alla luce delle attuali conoscenze, si può ipotizzare quindi una continuità con un eventuale tempietto pagano in loco, sostituito da una prima chiesa paleocristiana, alla quale succedette più tardi una costruzione romanica. La prima citazione della chiesa risale al 1014 come “Ecclesia Sancte Marie de Ancaialla cum tota villa”, il che fa capire che il toponimo identificava non solo la chiesa ma anche le case circostanti, il piccolo villaggio (derivazione del pagus di epoca romana) o villa[7], appunto. Nel 1072 una citazione contenuta nella Cartula offersionis a favore dell'Abbazia benedettina di S. Salvatore del Monte Amiata nomina “Villa Ankaianla” ("due petie de aqua, quod vulgo duo torali di(cu)n(tu)r, ubicate in lacu Peruscino, infra plebem sancti Rufini, in villa que dicitur Ankaianla"). Nel 1333 si trova “Ecclesia S. Maria de Anchaièlla”, denominazione che già virava verso una pronuncia locale con i conseguenti adattamenti. Nel 1335 si trova Anchaiello e, per concrezione dell’articolo, Lanchaiello. Nelle visite pastorali, a partire dal 1564, troviamo la chiesa appellata “S. Maria in Coelis”; successivamente, nel 1572, “S. Maria in caèlle”; dal 1584 e fino al XVIII secolo “S. Maria in Caellis”. Nel XVIII secolo "Anchaelle" o "Ancaèlle", dal XVIII secolo in poi la denominazione è quella che conosciamo oggi.
Dopo quanto riassunto[8] molto brevemente, possiamo chiederci: se fino al XV secolo il borgo di Sant'Arcangelo non esisteva ancora, la piccola comunità di Ancaèlle, a chi faceva riferimento, amministrativamente? Secondo G. Riganelli (v. nota 5) si deve intendere l'insediamento di Ancaèlle come sviluppato da quella che in epoca tardo antica era la massa de Ancagianula, una struttura di produzione agricola che nella seconda metà del secolo XI apparteneva alla Chiesa di Roma, e nel XIII secolo era dotata di una propria autonomia. In un raro censimento del giugno 1282 le famiglie presenti erano 29 (ridottesi a 22 nel dicembre di quello stesso anno, ma ignoriamo il perchè), per un totale di 110-145 persone. Nella prima metà del 1300 l'abitato era una contrada del distretto castrense di Agello, cui rimase unita fino all’inizio dell’età moderna, quando il territorio agellese entrò a far parte di quello di Sant' Arcangelo (v. Riganelli, nota 5). A livello ecclesiastico la chiesa inizialmente sarebbe dipesa dalla Pieve di San Rufino di Ripola; successivamente (1238) sarebbe stata posta alle dipendenze dei monaci di Farneta in Val di Chiana (Cortona, AR), e quindi a quelle dirette dell'abbazia di S. Michele Arcangelo. Quest'ultima fu data in commenda nel 1430 a Benedetto Guidalotti, vescovo di Recanati fondatore del Collegio Perugino della Sapienza Nuova, e divenne chiesa parrocchiale della frazione di Sant'Arcangelo fino alla costruzione di quella nuova nel 1966. S. Maria di Ancaèlle venne posta alle dipendenze dirette del Collegio Pio della Sapienza con Bolla di papa Paolo II del 1471 ed è ancora oggi in Diocesi di Perugia.
- Visita dell'interno
I pochi giorni trascorsi tra la "scoperta" dell'esistenza della chiesa e l'attesa apertura di ferragosto hanno contribuito ad acuire la nostra curiosità culturale: in particolare avevamo letto di interessanti testimonianze nella parte più antica, l'abside, che normalmente è nascosta ai fedeli perchè situata nella parte retrostante l'altare maggiore (locale adibito a sacrestia). Non sapevamo se avremmo avuto la possibilità di vederla ma ci siamo recati puntuali il 15 Agosto in loco, prima che iniziasse la S. Messa. La chiesa era aperta e vi erano alcune persone presenti, oltre al gentile signor Aldo Chiappini, che con simpatia e competenza ci ha indirizzato verso i tesori di questo antico edificio. E' grazie a lui se oggi possiamo scrivere questo report che, seppure conciso, può contribuire alla conoscenza di questo monumento, che è fragile ma sfida i secoli.
Entrando si rimane colpiti dall'equilibrata proporzione dell'aula (rispetto alla sensazione di eccessiva larghezza dell'esterno). E' evidente che lo stile non rispecchi più quello originario e nemmeno quello romanico-medievale (che troviamo solo nell'abside), essendo intervenuti molti rimaneggiamenti nel corso del tempo. Lo spazio è diviso in tre navate. Le stesse sono divise da due arconi molto caratteristici; la copertura è a travatura lignea. In fondo alla navata centrale si staglia un bellissimo altare fiancheggiato da due colonne in pietra serena e arricchito di dipinti e di particolari, di cui tra poco diremo.
Accanto all'ingresso, a destra, è situata la pila per l'acqua benedetta, la quale riutilizza una base monolitica attribuita ad epoca etrusca. Una notizia interessante riguarda lo spazio compreso tra questa acquasantiera e il fonte battesimale (chiuso da un'anta lignea e recante la data del 1527 [9]); si tramanda che sotto la grande lastra di pietra del pavimento sia sepolta una donna morta assassinata sulla soglia di questa chiesa, appena dopo la celebrazione delle nozze. Sarebbe stata pugnalata per gelosia. Ma chi era la donzella e quando sarebbe avvenuto il fatto? Forse si tratta della figlia di tale Tommaso Cricchi che, nel 1661, aveva devoluto per testamentoi onori e oneri alla chiesa di Santa Maria di Ancaèlle, tra cui l'erezione di un altare del SS. Rosario, a meridione, con cappellania [10]. Abbiamo notizia che un erede di Tommaso, Sebastiano Papalini, fu costituito nel 1729 erede universale di tale Cappelania e sua dotazione proprio per avere sposato una Cricchi, che si ritiene sia la giovane uccisa sulla porta della chiesa.
- L'abside: il fallo etrusco, l'Agnus Dei, gli affreschi, la croce Templare e il Fiore della Vita
L'abside è ciò che resta della chiesa medievale del XII-XIII secolo ed è giusto cominciare la visita da qui. Si tratta di un piccolo ambiente di impronta romanica, celato dietro le tende poste ai lati dell'altare maggiore, dove è stata ricavata la sagrestia. Presenta una monofora tamponata al centro del catino. Le pareti - molto deteriorate- narrano di antiche storie sovrapposte, a partire da un singolare manufatto murato nella parete destra: secondo G. Cialini (v. nota 8) sarebbe la rappresentazione di un fallo di epoca etrusca. Oggettivamente si tratta di un pilastrino cilindrico in pietra arenaria parzialmente murato, terminante in un manufatto appuntito che probabilmente è un adattamento di epoca cinquecentesca (si provvide a ricollocarlo in situ?). Secondo lo storico Cialini va riconosciuto, nel manufatto, un simbolismo fallico proveniente dall'epoca etrusca, quando qui sorgeva un tempio pagano consacrato alla dea dell'agricoltura Ancaria, che presiedeva anche alla fertilità.
Il presunto fallo etrusco murato nella parete destra dell'abside/sacrestia
Su un ripiano è situato un blocco litico (una chiave di volta?) che reca scolpito un arcaico "Agnus Dei". Fu rinvenuto durante i lavori eseguiti all'inizio del 1990 e viene attribuito alla fase romanica della chiesa
Sulla parete sinistra dell'absidiola si trova una "croce patente" (Templare?) inscritta in un cerchio e, tangente a questo, un Fiore della Vita. Sono emersi con i restauri e purtroppo le tinte sono completamente sbiadite rispetto a quelle originarie
Lacerti di una "Crocifissione" e "Deposizione" affrescate sulla parete settentrionale dell'abside. Illeggibili sono le storie della Passione di Cristo che decoravano il catino absidale e la parete sud
Bellissimo volto attribuito a S. Sebastiano, che ancora si distingue nel catino absidale. La sua datazione è ascritta al XV secolo e l'autore è stato messo in relazione con il "Maestro di San Cristoforo" (Santanicchia, 2008), attivo in altri paesi del lago (Passignano, Magione, Monte del Lago)
Una particolare croce di consacrazione è dipinta (miracolosamente ancora in rosso) su una pezza d'intonaco sovrapposta agli affreschi della parete nord
Gli affreschi più antichi sono stati ricondotti ad un pittore attivo poco dopo il 1280, di influenza cimabuesca, forse il "Maestro di Montelabate" (dove affrescò la Sala Capitolare dell'abbazia), che era anche miniatore. Secondo un'altra teoria l'autore sarebbe Alberto Sotio, spoletino, attivo tra il XII e il XIII secolo.
- La Madonna di Ancaèlle
Torniamo nell'aula e proseguiamo la visita, che ci ha riservato molte altre sorprese. Ripetuti interventi edilizi hanno interessato l'edificio, sia per i già citati problemi di infiltrazioni d'acqua (quindi di statica dell'abside) sia perchè la comunità è andata ingrandendosi, nel tempo, richiedendo spazi maggiori. I muri perimetrali risalgono ad epoca quattro-cinquecentesca; il pavimento è stato rifatto negli anni'50 del XX secolo, come il tetto. Nel pavimento è stato posto un drenaggio per lo scolo dell'acqua che ristagnava sotto la chiesa.
I pellegrini affluivano copiosi nel tempio dedicato alla Madonna (che facilmente -per sincretismo religioso- prese il posto della dea pagana Ancaria), la cui icona campeggia in un bellissimo affresco medievale conservato in una nicchia sull'altare maggiore. Siamo stati fortunati perchè l'immagine viene esposta all'osservazione dei fedeli in rarissime occasioni e normalmente è protetta da un armadietto blindato a scopo conservativo e di tutela. Ma essendo la festa dell'Assunta [12], in questo giorno è eccezionalmente visibile! Datato al XIII secolo, il dipinto eseguito a tempera su tavola (111,5 cm x41,5 cm) raffigura la Madre di Dio seduta in trono con in braccio il Bambino, di cui tocca teneramente il piedino destro. Denota un'influenza bizantineggiante nelle dita affusolate e porta la corona sul capo, qualificandosi come Regina Mundi. Sul manto, a livello della spalla sinistra, è effigiata una stella (simbolo di veriginità incorrotta). L'autore, ignoto, è stato collegato al "Maestro del Trittico di Perugia" (seguace della "maniera greca"), attivo nella seconda metà del 1200 nella chiesa di San Matteo degli Armeni a Perugia. Un restauro è stato eseguito nel 1956.
Altare maggiore
Dotata un tempo di diversi altari [11], oggi rimane solo quello centrale, lo splendido altare maggiore incorniciato da un'edicola in pietra serena e delimitato da due eleganti colonne scanalate del XVI secolo, sormontate da capitelli scolpiti e lavorati. La trabeazione reca un fregio ionico e una lunetta con un sottarco a lacunari. Si ammirano sei motivi floreali tutti diversi. Nella lunetta campeggia Dio Padre, emergente dal sole raggiato, che regge con la mano sinistra il globo crucifero ed è circondato da figure angeliche. Al di sotto corre una fascia, sempre in pietra arenaria, con elementi alberiformi che si ripetono alternandosi nel verso. Sopra i pulvini dei capitelli vi sono dei plinti che mostrano, sul fronte, un'arma (stemma) per parte: quello di sinistra mostra sette martelli e l'altro è costituito da una sbarra diagonale con tre stelle.
Molto interessante ci è parsa anche la parete di fondo su cui appoggia l'edicola, dipinta con motivi geometrici, interrotti da due tondi (uno per parte) in cui è illustrata un' Annunciazione.
Ai lati dell'icona mariana stanno, due per parte, quattro santi, che guardano in direzione della Madonna con Bambino, fulcro centrale dell'altare e della chiesa. Si tratta, da sinistra, di San Michele Arcangelo, S. Giovanni Battista, S. Giuseppe e S. Rocco. L'esecutore di questi affreschi fu il pittore perugino Giovan Battista Caporali (1475-1560), che fu anche architetto, letterato e miniatore. Figlio del noto Bartolomeo, fu allievo di Perugino e del Signorelli e collaborò anche con PInturicchio.
A sinistra, l'Arcangelo Michele che pesa le anime (Psicostasia) e San Giovanni Battista; al centro l'icona mariana, eccezionalmente esposta alla vista dei fedeli
San Giusepe e San Rocco, a destra dell'icona della Vergine con Bambino
- San Giuseppe e l'anello pronubo o Santo Anello
La nostra guida ci fa notare che il pittore mise in evidenza un interessante dettaglio che riguarda la figura di San Giuseppe: dalla sua mano destra penzola un anello. Rimaniamo sorpresi: si tratta di un episodio sospeso tra storia e leggenda e che è molto diffuso nel perugino. L'anello, in onice (ecco perchè il suo colore è bianco), sarebbe quello dello sposalizio tra Giuseppe e Maria. Prima di morire, la Vergine lo avrebbe affidato all'apostolo Giovanni. Il monile sarebbe giunto a Roma nel 985 d.C. dall'Oriente per opera di un mercante ebreo che si diceva avesse portato con sè oro, gioielli e pietre preziose. A quel tempo viveva a Chiusi (SI) un esperto orefice, Ainerio (o, secondo altri, Ranieri), uomo di fiducia dei nobili di quella città, che si rivolgevano a lui quando dovevano acquistare monili preziosi. Venuto a sapere dell'arrivo a Roma di quel mercante, Ainerio lo riferì a Giuditta, nipote di Ottone III e sposa del duca di Toscana Ugo di Tuscia. La nobildonna lo spedì di corsa a Roma perchè comprasse dell'ottima merce e fu così che l'orefice acquistò tutto ciò che poteva con i soldi che aveva a disposizione. Il mercante, per omaggiarlo, aggiunse agli acquisti un dono, un anello di onice di modesta fattura, che sulle prime non entusiasmò per nulla Ainerio. L'uomo però gli raccontò una strana storia, che era l'anello matrimoniale donato da Giuseppe a Maria di Nazareth, che era sempre stato presso i suoi avi che lo conservavano con devozione, nonostante non fossero cristiani.
Ora era giunto il momento di donarlo a dei cristiani e aveva scelto proprio Ainerio. Gli raccomandò di tenerlo con cura e di essergli devoto perchè tutti coloro che non lo facevano o ne avessero abusato, sarebbero stati puniti. Ainerio, tornato a Chiusi, non badò alle parole del mercante; estrasse l'anello dalla tasca e lo ripose in una anonima cassetta, dimenticandosene fino a quando morì suo figlio, fatto che lo gettò nella disperazione. Il giorno del funerale, affranto dal dolore, Ainerio si trovava in chiesa insieme alla folla commossa per l'accaduto quando si verificò un prodigio: il ragazzo si levò dalla bara dicendo di essere arrivato alle porte del Paradiso, dove la Madonna gli comandò di tornare da suo padre per ricordargli che teneva nascosto qualcosa che doveva essere invece venerata. Era l'anello di onice! La Vergine, per bocca del fanciullo, disse anche di custodirlo con grande venerazione nella chiesa della vergine Santa Mustiola. Effettivamente, dal 989, l'anello fu conservato in quella chiesa fino al suo trasferimento nella Cattedrale di San Secondiano nel 1251, per questioni di sicurezza. L'oggetto aveva infatti acquisito un' enorme importanza per la cristianità, era divenuto una vera e propria reliquia. Per ordine del vescovo Pietro Paolo Bertini, nella Pasqua del 1420 fu traslato nella chiesa di San Francesco e vi rimase per 53 anni. Successe però che un frate francescano, Wintherio da Magonza, ospite nel convento dei frati minori di Chiusi dov'era custodito l'anello, lo rubò. Era il 23 luglio 1473. Da quel momento, dopo cinque secoli, la reliquia sparì da Chiusi e finì a Perugia, dove ancora oggi è conservato nella Cattedrale di San Lorenzo [13].
Fu forse un furto su commissione, chissà...oppure il frate intendeva portarlo nella sua città, a Magonza ma si narra che nei pressi di Perugia fu colto da una nebbia imprevista (era luglio!) e decise di lasciare l'anello in quella città (conosceva bene le "doti" dell'oggetto). Il frate fu individuato e incarcerato ma il Santo Anello, giunto nelle mani del vescovo di Perugia, non venne mai più restituito ai chiugini.
Per tornare al nostro affresco: perchè il pittore raffigurò l'anello nella chiesa di S. Maria di Ancaèlle? C'è un motivo preciso, a parte il fatto che l'episodio del furto doveva essersi fissato nella memoria collettiva. Fra' Winterio, per raggiungere Perugia, dovette passare sicuramente lungo la strada del Chiugi che, transitando da Ancaèlle, risaliva al passo di Montebuono. Non è da escludere che, fermatosi proprio ad Ancaèlle, il frate abbia offerto l'Anello al Rettore della chiesa, nel tentativo di donarlo alla venerata Madonna secolare e magari ottenerne delle grazie. Non si sa come mai il Rettore abbia rifiutato il dono ma l'affresco del Caporali può essere indicativo del fatto che l'Anello venne effettivamente offerto a Santa Maria di Ancaèlle, prima di intraprendere la sua fuga verso Perugia.
- Il resto della chiesa
Molto interessante è una piccola ma significativa acquasantiera murata sul lato destro: è di fattura arcaica, essendo infatti pre-romanica e proveniente alla primitiva chiesa (Cialini, 1991). All'interno è scolpito un uccello (forse una civetta o un barbagianni), cosa che non avevamo mai osservato altrove. Secondo il Cialini sarebbe un antropomorfo, ma questa interpretazione non ci convince (valuti il lettore).
Ai lati dell'edicola dell'altare maggiore sono presenti due affreschi, che corrispondevano ad altrettanti altari. A sinistra vi era quello dedicato all'Annunciazione della Beata Vergine Maria (SS. Annunziata, gestito dalla Società della SS. Concezione fin dal 1588). L'altare era attorniato dall'affresco, tutt'oggi esistente, dell'Annunciazione, chiuso entro "una cornice ad uso di colonna quadra a muro fatta di pietra serena con i suoi capitelli e cornicioni in parte dorati e, sotto il cornicione, vi sono tre teste a rilievo della medesima pietra" (dalla relazione del parroco don Girolamo Tramontani in occasione dlla visita pastorale del vescovo Alessandro Maria Odoardi del 1782). Lateralmente all'affresco si trovano due stemmi araldici in pietra serena: a destra un Leone con un libro in mano (Arma della Sapienza Nuova o Collegio Pio della Sapienza di Perugia, ma in precedenza era l'Arma di Mons. Guidalotti, fondatore della Sapienza Nuova). A sinistra vi è il Grifone, simbolo della città di Perugia. L'opera è attribuita a G. Battista Caporali.
Affresco incorniciato in pietra serena e stemmi laterali. Rappresenta un'insolita Annunciazione ed è visibilmente deteriorato in alcune parti
Se ci portiamo a destra dell'altare maggiore, cioè nella navata meridionale, troviamo un affresco frammentario che era appannaggio dell'Altare di San Sebastiano. Il dipinto presenta una Madonna del Latte; sopra la testa del Bambino vi sta la Colomba dello Spirito Santo con quattro Serafini da una parte e dall'altra tre (consunti). A destra della Vergine sono raffigurati S. Sebastiano e S. Rocco, a sinistra S.Antonio Abate e San Pietro.
Il Fonte Battesimale, chiuso da un' anta lignea, reca la data 1527, coincidente con il rinnovamento della chiesa, con l'arrivo del Caporali e di un nuovo fervore religioso e culturale.
Ci auguriamo che il lettore come noi forestiero della zona possa avere trovato interessante conoscere quante sorprese ci ha riservato questa chiesetta plurisecolare, la sua storia, le vicende che ha attraversato e i segreti che ancora conserva. Il monumento dovrebbe aprire il prossimo 29 settembre, in occasione della festa del patrono della frazione, San Michele Arcangelo. Si consiglia di informarsi preventivamente presso la Proloco di Sant'Arcangelo sul Trasimeno (Via della Sapienza, 19, 06063 Magione PG, Tel. 075 848381- cell. 345 854 2613)
- Si ringrazia vivamente il sig. Aldo Chiappini per la disponibilità dimostrata e a lui dobbiamo molte delle informazioni contenute in questo articolo. Per la bibliografia rimandiamo alle singole note.
- Autrice: testo e foto sono di Marisa Uberti. Vietata la riproduzione senza autorizzazione e/o citazione delle fonti. Pubblicato in questo sito il 06/092020
[1] Secondo una leggenda il paese sarebbe stato fondato da gitani in fuga, mentre altri parlano di viandanti che - di ritorno da Roma – avrebbero preso possesso delle terre lasciate incolte e avrebbero costruito piccole case
[2] La strada (chiamata Amerina e originatasi nel Lazio), uscita da Perugia e attraversata l’area di Fontivegge, procedeva verso Ferro di Cavallo fino ad arrivare all’altezza di Chiugiana, qui la via Amerina virava e proseguiva dritta verso ovest-sud-ovest in direzione Chiusi, distaccandosi dalla strada diretta a Cortona. Attraversata Valle Lupina, subito a nord di Agello, la via doveva inerpicarsi per un breve tratto attraversando l’attuale vocabolo Gracinesche, per ridiscendere poi a mezza costa il Monte Ulivo, dove riprendeva il suo cammino fino a Monte Buono, e di lì verso Chiusi, costeggiando il lago (Renzetti, Alessio "L'antica strada Perugia-Chiusi in Vocabolo Gracinesche e dintorni", in Magione Cultura, Beni Archeologici)
[3] La Frusta (Ancaèlle), dai primi anni del 1300, era una delle otto poste gabelliere del Trasimeno per il controllo della pesca e per daziare il pescato gestita da un ministro gabelliere
[4] Il termine locale "vocabolo" indica la stratificazione della frazione di S. Arcangelo in singoli borghi eppure distinti
[5] Riganelli, Giovanni “Chiesa e nucleo abitato di Santa Maria d’Ancaèlle”, in Magione Cultura, Percorsi tra Storia, Arte e Cultura)
[6] Società della SS. Concezione di Maria aggregata, nel 1722, all'arciconfraternita di San Lorenzo in Damaso a Roma. La società includeva confratelli uomini
[7] Insediamento non fortificato, contrapposto al castrum
[8] Per un approfondimento si veda Cialini, Gianfranco “ Memoria storico-artistica della Chiesa di Santa Maria di Ancaèlle”, Università degli Studi di Perugia, Collegio Pio della Sapienza, aprile 1991, il quale fornisce una buona e variegata bibliografia correlata
[9] Nella chiesa si celebrarono i battesimi fino al 1471 (cessò di essere parrocchia il 30 marzo, sotto il pontefice Paolo II che la unì al monastero di Sant'Arcangelo con tutti i suoi beni, la cui chiesa era divenuta nel frattempo essa stessa parrocchia, dopo aver cessato di essere abbaziale nel 1430)
[10] Citiamo questo personaggio perchè ancora oggi l'officiatura dell'altare Cricchi della chiesa di Ancaèlle è stata trasferita nella chiesa parrocchiale dove le famiglie discendenti do Tommaso fanno celebrare, l'ultima domenica di ottobre, cinque S. Messe in onore della Madonna del Rosario
[11] Quello dell'Annunciazione, di San Sebastiano, della Madonna del Rosario, di cui abbiamo ancora testimonianza nella relazione della visita pastorale del 1819; furono demoliti probabilmente tra il 1940-'50
[12] La festa della Regina assunta in Cielo (15 Agosto) è sempre stata solennemente celebrata dalle comunità rurali, ponendosi al culmine di una stagione che, dopo il raccolto delle biade, prelude ai frutti dell'autunno. Così la chiesa di S. Maria di Ancaèlle si anima per l'occasione
[13] L’anello, in calcedonio, è custodito in un reliquiario in rame e argento, incluso in una cassaforte, posta a otto metri di altezza. Per aprirla sono necessarie 14 chiavi, sette delle quali sono custodite dal Consiglio Comunale, quattro dai canonici della Cattedrale, una dall’Arcivescovo e una dalla Camera di Commercio di Perugia.