La Farmacia-Museo Sansone e la Stele daunia "del mostro"
a Mattinata (FG)
(Marisa Uberti)
Contestualmente alla visita della Necropoli Dauna del Monte Saraceno, sopra Mattinata, è d’obbligo fare una tappa presso la Farmacia- Museo Sansone, situata lungo il centralissimo Corso Matino (al civico 114) della cittadina[i]. Un pannello informativo informa fin dall’ingresso di cosa si tratta: è una regolare Farmacia ma ha la caratteristica di avere, in tutta l’ala destra, una Collezione di 4.000 reperti riferibili alla storia millenaria del promontorio del Gargano[ii]. Regolarmente autorizzata dalla Soprintendenza, questa straordinaria raccolta si deve al dr. Matteo Sansone (1916-1992), che si definiva “archeologo per passione e farmacista per necessità”. Nativo della vicina Monte Sant’Angelo, fin da piccolo gli venne trasmesso l’amore per la storia del proprio territorio, dal prozio arciprete Giuseppantonio Azzarone che, sul finire del XIX secolo, aveva creato il primo spazio museale a Mattinata (l’embrione dell’attuale Museo Civico).
In cinquant’anni, Matteo si dedicò con passione sia alla sua professione di “speziale” ma al contempo a quella di ricercatore storico, conseguendo consensi da parte di archeologi illustri. Venne nominato Ispettore Onorario alle Antichità, membro dell’Istituto Italiano della Preistoria di Firenze, Socio Ordinario della Società di Storia Patria della Puglia. Ha lasciato anche diverse pubblicazioni sul panorama archeologico e storico garganico, oltre ad una Carta Archeologica dei complessi rupestri e abbaziali del Gargano. In particolare, ci interessa il suo contributo nell’ambito della necropoli dauna del Monte Saraceno. Sapendo delle scoperte che l’archeologia stava effettuando sull’altura, partecipò volontariamente agli scavi, scoprendo l’area dove si trovavano alcune stele daunie[iii] e ne diede immediata segnalazione. Una di esse venne chiamata proprio “Stele Sansone”, in onore del dr. Matteo, ed è conservata nella Farmacia-Museo (che è portata avanti dai suoi eredi). E’ una delle stele più interessanti ed enigmatiche prodotte dal popolo Dauno che, stando all’archeologia, non scriveva. Esprimeva concetti e idee attraverso un sistema ideografico, basato cioè sulla raffigurazione di scene e immagini che incideva sulle stele istoriate. La Stele Sansone è detta anche “del Mostro”, per la presenza di un grosso animale, identificato come tale.
Ma andiamo a vedere da vicino questo reperto, che è mantenuto in verticale su un supporto metallico, consentendo di apprezzarne i due lati principali (fronte- dorso) e quello laterale destro. E’ mancante della testa.
Si tratta di una statua di tipo maschile[iv], rappresentando con ogni probabilità un dio-guerriero o un eroe mitico, dato che troviamo incisa un’arma e (sulla parte posteriore) uno scudo (così viene interpretato). Dobbiamo considerare che il corpo sia ricoperto da un’armatura (ideografica) ed è su quella che sono presenti una serie di soggetti incisi. Appena sotto il collo, da spalla a spalla, in quella che potremmo definire una “pettorina”, troviamo tre figure geometriche rettangolari, contenenti disegni apparentemente astratti. Poco al di sotto, da ambo le parti, una serie di tre “dischetti” concentrici scende al di sotto della suddetta “pettorina”, alla quale sono attaccati (vedi foto):
Lateralmente si osservano elementi “decorativi”, riconducibili forse a simboli solari (pseudo-svastiche) mentre la parte centrale è occupata da diversi elementi: le due mani, posate sull’addome, anzitutto (la destra tenuta in posizione leggermente inferiore rispetto all’altra). Sono ben curate, il pollice in entrambe è aperto verso l’esterno mentre le altre quattro dita sono chiuse (e affusolate). Forse il polso destro porta un bracciale. Tra le due mani troviamo un elemento vagamente cilindrico che contiene, al centro, un “Fiore della Vita” inscritto in un doppio cerchio concentrico. Il dettaglio mostra dei fori in corrispondenza del centro e degli apici dei petali. Questo elemento nel suo insieme costituisce il “salvacuore” dell’armatura.
Sotto troviamo altri “dischetti” e una grande spada, messa orizzontalmente.
Tornando però alla parte centrale, noteremo che le mani e il “salva cuore” determinano, per così dire, quattro spazi in cui –in tre su quattro- si trovano raffigurate delle scenette che, verosimilmente, riguardano episodi importanti, mitici o realmente accaduti nella vita del Guerriero o di colui che la statua rappresentava (o per il quale era stata commissionata). E' un' ipotesi accettabile? La lettura dei "fumetti" è sequenziale? E da dove inizia? Vi è un protagonista fisso in ciascuna?
Abbiamo trovato interessante l’interpretazione che ne ha fornito la d.ssa M. Laura Leone[v] la quale, in modo originale, ha dato una propria interpretazione delle Stele Daunie in generale (e anche di quella Sansone), confutando la tesi avanzata dal prof. Ferri negli anni ’60 del XX secolo, cioè che tali manufatti avessero funzione funeraria, interpretando le scene raffigurate in chiave esclusivamente omerica (i personaggi sarebbero stati i protagonisti de L’Iliade). Per una serie di ragioni[vi], la Leoni non considera valida la mera funzione funeraria delle Stele e si è chiesta dove il popolo Dauno rappresentasse il proprio pantheon divino, giungendo alla conclusione che lo facesse proprio sulle Stele. Che andrebbero quindi inquadrate come “simulacri votivi, in origine dipinti, infissi nella terra o nella sabbia, concentrati in alcuni santuari dell’ex-laguna tra Siponto, Arpi e Salapia, offerte dai devoti per ingraziarsi le autorità del culto”. Quel che appare più sorprendente nella sua teoria è che i Dauni giungessero al Trascendente attraverso l’uso di sostanze psicotrope, nella fattispecie il Papaver Somniferum, da cui si ricavano oppiacei[vii]. Ciò sarebbe dimostrato anche dalle scene impresse sulla Stele Sansone. Naturalmente anche altre culture (quelle che basavano il loro culto sui cosiddetti "Misteri") fecero uso di tali "bevande divine", come nel caso di Eleusi e il "Ciceone".
La prima scenetta (posta sopra la mano destra) è purtroppo di parziale lettura poiché vi è una profonda scalfittura nel manufatto. I personaggi dovevano essere tre ed è proprio il primo a non vedersi più (restano solo i piedi e parte inferiore dello scudo); costui comunque, munito di lancia e scudo, colpisce un avversario (privo di difesa?), mentre –poco sotto- un terzo uomo tende una fionda (?).
Nella seconda scena (posta sopra la mano sinistra)- dunque stiamo leggendo i “fumetti” in ordine orario – osserviamo una raffigurazione che non è inusuale da trovare sulle Stele Daunie, ma che per noi è nuova: due personaggi sono seduti di fronte, come ai lati di un tavolino; il primo uomo ha un copricapo conico (che lo qualifica come un mago, uno sciamano, un sacerdote) e l’altro potrebbe essere uno dei tre della scena precedente, che è in evidente colloquio con il “saggio” della tribù. Da notare un cane, ai piedi della sedia e, sotto di esso, un grosso pesce[viii] (le cui pinne sono quasi a contatto con il pollice della mano del guerriero). Il sacerdote- mago porge una tazza al convenuto, che secondo la Leone potrebbe contenere una sostanza psico-attiva, che viene bevuta. Lo sciamano (o chi per esso, sicuramente qualcuno di importante per via del copricapo), starebbe in effetti praticando un rituale magico-terapeutico, forse in connessione con la scenetta precedente: colui che ha ucciso l’avversario potrebbe sentire il bisogno di “consultare gli inferi, espiare una colpa, conoscere l’esito della sua azione coraggiosa o oltraggiosa” (scrive la studiosa). Solo andando in uno stato alterato di coscienza potrà valicare il confine della realtà e trovare una risposta a ciò che sta cercando.
Nella terza scena, quella al di sotto della mano sinistra (siamo dunque scesi in basso, nel senso della lettura, sempre in senso orario), lo stesso uomo che ha bevuto dalla tazza è raffigurato seduto al cospetto di un gigantesco animale, che ha l’aspetto di un canide[ix]. E’ quello che viene definito “mostro”, donde la denominazione della Stele. Ma non pare, a nostro avviso, avere l’aria di essere pericoloso: è seduto sulle zampe posteriori, quelle anteriori appoggiate sul piano, la coda (la cui parte terminale è a punta di freccia) è tenuta in posizione verticale (potrebbe essere un dettaglio importante); le orecchie dritte, l’occhio spalancato, le fauci semiaperte (come se la bestia stesse parlando al personaggio).
Vediamo più una scena in cui l’animale (che forse rappresenta la parte istintuale dell’individuo) sta ascoltando il personaggio, che francamente è raffigurato in una maniera alquanto strana (vedi la forma della testa), con le braccia portate in avanti. Non si riesce a capire bene cosa stia facendo (o porgendo?) all’animalone. Oppure sta acquisendone i poteri (animale totemico?), in una sorta di trasformazione psico-indotta? Riassumendo: il personaggio è sprofondato nel mondo ctonio (come il pesce va nelle profondità degli abissi), nel suo subconscio in realtà, tramite la bevanda allucinogena (il supposto Papaver Somniferum di cui ipotizza la Leone). In questa “dimensione”, l’individuo si trova al cospetto di un’entità che deve avere un ruolo importante nella narrazione (viste soprattutto le sue dimensioni, rispetto al resto). La discesa agli inferi sembra essere un passaggio obbligato per molti eroi delle culture antiche e delle religioni.
Ma come andava a finire questa narrazione? Se proseguiamo il senso della lettura e ci portiamo ad osservare lo spazio sotto la mano destra, non vediamo altre scenette ma una "chiazza" biancastra.
Tuttavia la stele prosegue, nella sua lunghezza, seppure spezzata e riassemblata. Purtroppo questo frammento è molto più deteriorato di quello superiore e la lettura delle scene incise è compromessa. Comunque lateralmente vi sono gli stessi simboli decorativi; a destra si riconoscono tre figure umane, di cui una sembra la stessa del primo “fumetto”, colui che tiene tesa, al di sopra del capo, la supposta fionda (sembra anche abbigliato alla medesima maniera). Il resto dello spazio è occupato da incisioni di animali, di cui uno si intravvede la sagoma, molto grande, forse anche più di quella del “canide” della terza scenetta. Si rilevano anche segmenti verticali (frangia della cintura?).
Vediamo dunque che questa Stele cela ancora dei misteri, dei significati che per il momento sono ancora incerti o, perlomeno, non completamente esplorati.
Nella parte posteriore, il manufatto è ricco di incisioni; purtroppo, però, non siamo riusciti a fotografarla adeguatamente per ricavarne un’analisi a posteriori. Inoltre, forse il pezzo giaceva su questo lato, quando fu scoperto, e probabilmente lo fu per secoli, perché è più macchiato (forse ha assorbito maggiore umidità). Da quanto è dato osservare, si notano gli analoghi disegni geometrici decorativi lateralmente all’armatura; centralmente vi è un grande scudo, il cui profilo esterno è costituito da 4 cerchi (una corona circolare è intervallata, a distanze regolari, da piccoli segmenti); al centro diparte una raggiera sinuosa, le cui estremità toccano il cerchio più interno. Sotto lo scudo si ravvisa chiaramente un cavaliere (uomo a cavallo), forse al cospetto di uno sciamano seduto (pare di vedere il copricapo conico), o di una divinità, mentre un ennesimo individuo è in piedi, sulla destra (per chi guarda). Forse invece è soltanto una lettura scorretta (la parte posteriore della statua non è ben illuminata come quella anteriore, nel locale) e c'è una "caccia al cervo", tema frequente nell'iconografia di queste Stele.
Al di sopra dello scudo ci è sembrato di riconoscere ancora il personaggio armato di fionda (tesa sopra il capo) mentre il resto è alquanto nebuloso. Per la sua ricorrente presenza, l’uomo con la fionda potrebbe essere chiave, per la coerente lettura delle varie "scenette"?
Un'ultima considerazione va fatta sulle due parti laterali del manufatto dove, su un lato, abbiamo notato alcuni motivi decorativi geometrici simili a quelli che sono incisi fronte- retro della statua, ma vi è anche una serie di lettere. Chi le ha lasciate? Dato che i Dauni non scrivevano e questi sembrerebbero caratteri latini, c'è stato forse un riutilizzo? Ci piacerebbe avere una risposta, da chi può darla, naturalmente
Abbiamo cercato di sondare alcuni enigmi di questo bellissimo reperto e di gettare uno sguardo allargato sulle Stele Daunie, che sicuramente celano ancora parte dei loro segreti, anche se molto è stato fatto per comprenderne il messaggio. Esse meritano una valorizzazione crescente, affinchè la memoria del popolo che le ha lasciate possa rimanere viva. Come insegna l’esempio del dr. Sansone.
(Autrice: Marisa Uberti. Le foto e il testo non possono essere riprodotti senza autorizzazione e la citazione delle fonti).
[i] Per circa quindici anni la farmacia-museo è stata ospitata nei locali in Via Poccia sottostanti Villa Pignataro. Dalla metà degli anni ’90 si trova nell’attuale sede in Corso Matino (verso porta Vieste).
[ii] I reperti provengono da diversi distretti: Mattinatella, Coppa del Principe, Tor di Lupo, e altre aree garganiche. Vi si trovano ceramiche geometriche daune e ceramiche del IV- III sec. a.C., un busto dell’imperatore romano Flavio, vasi di ogni epoca, bronzi, arredi, monili d’oro e d’argento, statuette artigianali di San Michele e la raccolta etnografica proveniente da Monte Sant’Angelo e Mattinata, che testimonia il culto verso L’Arcangelo.
[iii] “Le statue-stele daunie sono lastre, ricavate da un calcare garganico, con l’aspetto di una figura slanciata, dalle spalle diritte o appena accennate o anche molto rialzate. Hanno un collo sul quale, in origine, s’innestava, direttamente o tramite un perno, una testa che poteva essere arricchita con occhi, naso e bocca, a seconda della tipologia del monumento. Le loro dimensioni, rilevate su un campione di esemplari pressoché integri, oscillano tra cm. 31,5 e 125,7 in altezza, cm. 23,7 e 52,8 in larghezza, cm. 4,5 e 11 in spessore. I soli elementi anatomici riportati sulla superficie sono braccia e mani. Il corpo è ricoperto da un costume, che riproduce l’armatura, per le stele maschili, ed una specie di tunica cerimoniale per le stele femminili. E anche ricoperto da mobili, armi e grafemi sferoidali, importanti attributi simbolici da ricondurre allo status dell’entità raffigurata. Negli spazi liberi tra questi oggetti s’inseriscono scenette, popolate da personaggi e animali, eseguite ad incisione e spesso ricoperte da colore (rosso- violaceo-rosa e nero-marrone), che, in origine, ebbero la funzione di riprodurre pittoricamente anche alcuni degli oggetti oggi scomparsi […]”, tratto dall’interessante elaborato di Laura Leone Ancora sulle “Stele Daune”. L’epoca della maggior produzione di stele da parte dei Dauni oscilla tra il VII e il Vi secolo a.C. Ad oggi ne sono state censite circa 1.500.
[iv] Le Stele maschili hanno raffigurata l’armatura e presentano scene di battaglia, caccia, pesca, ecc. Quelle femminili indossano vesti, monili e presentano scene con donne che si pettinano, chiacchierano, sfilano in processioni, portano offerte, compiono rituali magico-terapeutici. Uno studio interessante, corredato di alcune immagini, è quello della d.ssa Maria Luisa Nava “Le sculture della Daunia e lo sviluppo dell’ethos indigeno”, Atti del XXVIII Convegno Nazionale sulla Preistoria-Protostoria-Storia della Daunia, San Severo, 25-26 Novembre 2007, a cura di Armando Gravina, Archeoclub d’Italia (sede di Sansevero), pubblicato nel 2008 e disponibile in formato digitalizzato,
[vi] Leoni, 2010 “Stele Daunie; semata funerari o statue votive? Archeo-botanica sacra del Papaver Somniferum”, p. 3
[vii] Soprattutto sulle Stele femminili, secondo la Leone, vi sarebbe un esplicito riferimento a questa pianta, da individuarsi negli immancabili “oscillum”, interpretati a lungo come semplici elementi apotropaici. Sarebbero invece metafora botanica del Papaver Somniferum, appannaggio di sacerdotesse, donne-medico, ma anche iniziatrici rituali, intermediarie tra i vivi e il mondo ctonio, regine o dee dei papaveri (Maria Laura Leone, op. cit., 2010)
[viii] Correlati al mondo del profondo e ctonio
[ix] E se fosse un lupo?
Argomento: La Stele Sansone dei Dauni
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