Palazzo Terzi a Bergamo, un gioiello in Città Alta
(a cura di duepassinelmistero)
Palazzo Terzi[1] sorge in un quartiere storico di Bergamo Alta. Per il visitatore che vi giunge, magari dopo avere visitato i principali monumenti di Piazza Vecchia, è facile arrivarvi a piedi e si ritrova in una piazzetta su cui prospetta la facciata d’ingresso da un lato e, dall’altro, una bellissima nicchia sormontata da una balaustra. Entro la nicchia si erge la statua dell’Architettura, progettata dall’architetto Filippo Alessandri (1747) e realizzata dallo scultore Giovanni Antonio Sanz (che fu per anni collaboratore dell’Alessandri). Al di sopra trovano posto due puttini raffiguranti l’allegoria della Primavera e dell’Estate, E Autunno e Inverno dove sono? Basta girarsi verso l’ingresso di Palazzo Terzi ed eccoli: sopra il portale, sul balconcino, li vediamo, simmetrici ai precedenti descritti.
Al tempo della realizzazione della ricca dimora, la situazione urbanistica era molto diversa da quella odierna. Il fatto è che ci troviamo sullo sperone occidentale di Città Alta, sul colle Aureo, nella Bergamo più antica e la conformazione del terreno non era pianeggiante[2]. Alla fine del 1500 sul colle esisteva una contrada denominata "Rizzolo", ancora in parte percorribile nei sotterranei del Palazzo e che saliva da via San Giacomo fino alla contrada di san Cassiano (ora via Donizetti); lungo il tragitto vi erano vecchi edifici abitativi e commerciali che vennero inglobati nelle fondamenta del palazzo stesso. Fu il committente, Luigi Terzi, a compiere varie acquisizioni per realizzare la propria dimora barocca, destinata a diventare il più importante edificio del genere di Bergamo Alta. L’operazione fu mastodontica perché si trattò di incamerare proprietà del 1400-1500 lungo tutto lo sperone che si estendeva dal monastero delle suore di Rosate (dove ora sorge il liceo classico Sarpi, di costruzione ottocentesca), procedendo con la demolizione sistematica per formare i tre stabili che avrebbero dato successivamente vita al palazzo come oggi lo vediamo. “Nei sotterranei dell' edificio si osservano muraglioni con archi a sesto acuto e murature romaniche in pietra ben sagomate che con molta probabilità sostenevano i terrapieni attui alla funzione di sostenimento dell' antico monastero che sorgeva in piazza Rosate”[3].
La prima fase della costruzione del palazzo, che coincise con le nozze fra il marchese Luigi Terzi e la giovanissima Paola Roncalli (1631), interessò la facciata e l'ala meridionale della dimora. Nel XVII secolo qui si trovava ancora uno stretto vicolo, che rendeva difficile il transito delle carrozze e non avrebbe mai potuto adattarsi al ruolo che il palazzo doveva avere. Fu con una seconda fase di lavori, preceduta da una serie di acquisizioni immobiliari corrispondenti alla parte settentrionale dell'edificio, che si potè realizzare una piazzetta davanti all’ingresso. Ciò ebbe inizio in occasione del matrimonio tra il marchese Gerolamo Terzi e Giulia Alessandri (1747). Per l’occasione G.B. Caniana progettò l’ampliamento del vicolo e, alla sua morte, fu l'architetto Filippo Alessandri, fratello di Giulia, a continuare i lavori. Decise di asportare diversi metri cubi di terra e di roccia, scavando parte del giardino del conte Ricuperati, che incombeva con il suo terrapieno su Palazzo Terzi. Nacque così la splendida Piazza Terzi , uno spazio che suscitò l’ammirazione, tra i molti, di un giovane Stendhal e di Herman Hesse. Ammiriamo la facciata, senza colore ma di raffinata eleganza: notiamo i busti degli imperatori romani inseriti nel timpano spezzato delle finestre rettangolari del primo piano; al secondo piano vi sono timpani diritti senza ornamenti e al terzo piano finestre quadrate bordate di pietra di Sarnico.
Fin dall’ingresso, se il portone è aperto, si può godere di una meravigliosa vista sul porticato e sulla balaustra, limite estremo che affaccia sulla città bassa e sulla pianura. Autore del porticato d’ingresso è sempre Filippo Alessandri: sei colonne binate formano tre archi paralleli. Lo spazio del cortile pensile è racchiuso ai lati da due corpi di fabbrica che sono protesi verso città bassa; sul terzo lato, quello di fronte a chi entra, lo spazio è delimitato da una scenografica balaustra, impreziosita da due grandi statue raffiguranti la Pittura e la Scultura (opere di G. A. Sanz), rivolte verso la pianura e che fanno "pendant" con la statua dell'Architettura nella nicchia della piazzetta, all'esterno. Affacciandosi e guardando in basso si vedrà il giardino digradante su tre livelli (raggiunge Via San Giacomo).
L’occasione di potere entrare a visitare il Palazzo è data da alcune aperture straordinarie, essendo la dimora tutt’ora abitata dai discendenti. Dopo aver familiarizzato con la guida, un giovane erede dei Terzi con un grande rispetto per le origini di questo palazzo di cui racconta la storia e i personaggi, è il momento di entrare negli ambienti interni, tanto decantati da chi li ha visti. E adesso capiamo bene perché! Le sale, i loro arredi e soprattutto gli affreschi denotano lo “status” sociale a cui la famiglia apparteneva. In quel secolo (XVII) famiglie emergenti come i Moroni e i Terzi, appunto, entrarono a far parte del prestigioso Consiglio di Reggenza della Basilica di S. Maria Maggiore (MIA). Questo ci fa contestualizzare i personaggi e la vita di quel tempo nella città di Bergamo.
Mentre Palazzo Moroni (da noi visitato pochi mesi prima di questo), pur splendido anch’esso, ha assunto più l’aspetto odierno di una dimora-museo, Palazzo Terzi profuma di vita vissuta ancora oggi, infatti è tutt’oggi abitato.
Il salone principale e i locali adiacenti sono tutti situati nell’ala destra dell’edificio e hanno come denominatore comune meravigliosi affreschi, sia sulle pareti che sui soffitti. I pavimenti, dov’è stato possibile mantenerli, sono originali; l’illuminazione non prevede elettricità e non c’è riscaldamento. Vi è l’illuminazione naturale data dalle grandi finestre nel Salone d’onore e candele inserite in grandi candelabri settecenteschi. Porte e finestre sono pure settecentesche, insieme alle loro decorazioni. Mobili, quadri, suppellettili sono quelli usati dalla famiglia Terzi nel corso del tempo. Dal portico attraversiamo un piccolo ma elegante locale, probabilmente un vestibolo, ma non è una vera e propria anticamera allo splendido Salone, che infatti ci si presenta senza accorgerci, impressionandoci subito. Il primo elemento che colpisce è il grande camino sulla parete di fronte all’ingresso. L’autore è rimasto ignoto[4] e fu realizzato con due materiali diversi: la prima è in marmo bianco di Zandobbio, la seconda –che sale fino alla volta- è in stucco. Il maestoso camino viene datato a fine 1500, quindi è uno degli elementi più antichi del Palazzo, in cui venne reimpiegato (o lo portarono da una loro residenza o lo trovarono già in situ nella dimora che si trovava in quest’area e che i Terzi acquistarono). La parte in stucco è della prima metà del 1700 ed è un rifacimento in stucco. Abbiamo già accennato al fatto che l’Alessandri fosse architetto ed egli quindi capì l’importanza di alleggerire il salone perché sotto vi sono altri due piani: quello immediatamente al di sotto veniva usato come ambiente di piacere, ballo diletto e gioco; inferiormente vi erano invece le scuderie.
L’architrave del camino è sorretta da due leoni, al di sopra lo stemma della famiglia Terzi: la parte più antica è quella centrale (aquilotto)[5]. Sormonta il tutto la corona marchionale (i Terzi erano avevano il titolo di marchesi e avevano la possibilità di passare il titolo alle figlie femmine[6]). La decorazione del maestoso camino allude alla prosperità: tra festoni le melograne si nota anche quella che a noi è parsa una mammella (sarebbe interessante approfondire).Alzando lo sguardo si viene rapiti dall’ Olimpo e dai quattro riquadri che lo incorniciano: Minerva che con Marte guida le truppe; Orfeo che incanta gli animali; Giuseppe che guida le Furie; Flora con cornucopia. Le decorazioni datano al 1640 e furono una creazione del pittore Gian Giacomo Barbello, che venne coadiuvato dal quadraturista Domenico Ghislandi.
Stupendo soffitto affrescato del Salone d'Onore
Per la prima volta, in questo Salone Ghislandi si inventa una quadratura nella quale a mutare è l'idea stessa di spazio. Non più statico e ripiegato su se stesso entro i limiti fisici dell'architettura, ma uno spazio che attraverso le aperture illusioniste fa affiorare brani "del grande paesaggio" esterno, di un Creato vastissimo di cui si colgono alcuni passaggi, alcuni frammenti. Inoltre è documentato da studi di metà XVII secolo conservati negli archivi della famiglia Terzi che la conformazione delle volte venne accuratamente studiata per conferire un’acustica perfetta alla grande sala.
La guida ci fa notare una bellissima figura affrescata che tiene in braccio un furetto (?) e mostra il palmo della mano destra, nel cui centro vi è un occhio. Ci dice che è l’allegoria della Furbizia, intesa come elemento moralizzante, da intendersi come “accortezza”, “lungimiranza” (vederci lungo), la capacità di sapersi districare negli affari e nella vita, cosa indispensabile cui veniva preparata la prole fin da tenera età.
Tra i curiosi pilastri rastremati a calice si aprono, negli angoli della volta, quattro finestre vere e quattro fine. Se osserviamo bene, da queste ultime si affacciano quattro personaggi realmente esistiti e appartenuti alla famiglia: troviamo Paola Roncalli (moglie di Luigi Terzi, sposato nel 1631) , il loro figlio primogenito Luigi, la sorella di questi, Giulia e infine una figura femminile che si chiamava Apollonia, la quale tiene in braccio un gatto.
Nella foto si vede, a sinistra, una finestra vera e, a destra, una finta: nel riquadro inferiore destro è dipinta una figura femminile che sembra affacciarsi sul Salone
Notiamo che, ai lati del camino, vi sono due bellissimi quadri, realizzati tenendo conto dell’ingombro del camino stesso: sono opera di Cristoforo (Joseph) Storer , un pittore di Costanza formatosi presso la bottega milanese di Ercole Procaccini il giovane. Subì la Controriforma e i suoi temi sono improntati sull’Antico Testamento. Egli è l’autore di tutti i quadri presenti nel Salone e, come vedremo, anche di altri affreschi nella dimora. Anzi, per prima cosa realizzò gli affreschi del soffitto del Salottino degli Specchi e, piaciuto ai committenti, gli fecero eseguire anche altri lavori, come quelli che vediamo nel Salone. La quadreria del palazzo è interessante perché essendo il maniero rimasto sempre alla stessa famiglia, nel tempo i membri si sono adoperati per recuperare e riacquistare i dipinti che erano usciti ed erano finiti altrove (per questione di sicurezza o per vendite, aste, ecc.) e recentemente è stata operata anche una ricostruzione della loro storia. Alcune opere sono ancora in via di ritrovamento.
Il più grande quadro del Salone è il Convitto di Assuero in cui al centro vi è Ester che sta danzando, musicanti, una scena di banchetto e tutti indossano abiti seicenteschi. Lo Storer cercò infatti di inserire, in una scena veterotestamentaria, un episodio che poteva avvenire nel palazzo normalmente. La tela è scura, non solo perché l’artista tedesco impiegava tinte scuri ma perché il Salone veniva riscaldato con il camino (poi stufette) e illuminato da candele, che hanno annerito i colori. La grande tela è firmata e datata (1657).
I quadri sopra le porte sono di Giovanni Cotta, incisore amico dello Storer. I mobili sono databili tra il XVII e il XVIII secolo, con qualche aggiunta ottocentesca. Nelle vetrine situate ai lati del camino si trova dell’oggettistica (medaglie, un set da viaggio appartenuto ad una bambina di 5-6 anni, ceramiche e porcellane).
Da una porta sulla sinistra si accede ad un’altra bellissima stanza, la Sala Rossa, perché interamente tappezzata da pregiate e rare stoffe damascate color porpora. Il soffitto fu realizzato da Giacomo Barbello che ebbe il problema di trovarsi da una stanza (il Salone) alta due piani a questo ambiente molto più basso. Si doveva evitare il senso di schiacciamento che poteva evidenziarsi per gli ospiti, forse per questo si aggiunsero dei giganti di colore bianco, con snelle colonne proiettate verso scorci di cielo turchino, che davano maggiore slancio visivo e schiarivano l’apparato pittorico. Il tema dell’affresco sulla volta è sempre l’Olimpo, entro una finta apertura, mentre nei quattro cartigli laterali troviamo narrata la Storia di Imeneo (o Imene)[7], protettore del matrimonio nell’antichità. Leggendo i cartigli si capisce da dove parte la storia e la si segue benissimo, aiutati dalla nostra guida. La narrazione, a lieto fine, era simbolo di buon auspicio; attraverso essa la famiglia Terzi si racconta; la stanza era il cuore del Palazzo, dove si vivevano intimamente le vicissitudini familiari.
Il meraviglioso soffitto della Sala Rossa: l'Olimpo
Particolare di uno dei Giganti, nelle quadrature
La tappezzeria in damascato rosso fu indicata da Filippo Alessandri nel XVIII secolo e suoi anche i sovra porta. Il mobilio è tutto originale settecentesco, comprese le due consolle della bottega dei Fantoni, i marmi, i vasi cinesi; poche le aggiunte ottocentesche. Il camino è seicentesco, tutto composto da pietre provenienti dal nord-Africa. Il pavimento è originale ma attualmente è coperto da moquette, non incollata; la guida ci ha informato che è a piastrelle bianche e nere, che bene si abbinano ai colori del soffitto. Sulla Sala Rossa si aprono tre lussuosi ambienti: il Salottino degli Specchi, un salottino raccolto chiamato “Sala del Soprarizzo” e una camera da letto (sul lato opposto agli altri due appena citati).
E’ giunto il momento di visitare il magnifico Salottino degli Specchi, che presenta un pavimento originale in legno del 1738 e per tale motivo da preservare, senza farvi salire i partecipanti alle visite guidate (che possono ammirarlo dalla soglia). Il pavimento a parquet fu opera di Caniana (poco prima della morte), che impiegò tarsie policrome di legni rari; la decorazione presenta una doppia fascia stellata che racchiude un rosone centrale e alcuni motivi a grata. Erano le donne della famiglia Caniana ad eseguire i disegni preparatori per questo tipo di lavori, si è scoperto recentemente. I mobili provengono dal Teatro Sociale di Bergamo (fondato nel 1809 da poche famiglie aristocratiche di Città Alta): erano parte di uno dei palchi che era appartenuto alla famiglia Terzi.
La famiglia chiese all’architetto Alessandri di realizzare una stanza che celebrasse il potere economico e lo status sociale della loro casata. L’architetto mantenne il meraviglioso soffitto seicentesco dello Storer, che incorniciò in una applique di specchi, coprì gli affreschi delle pareti (che avevano quadrature originali del bergamasco Domenico Ghislandi) rivestendoli di specchi e legno dorato con foglia d’oro! All’epoca, gli specchi avevano costi altissimi, folli, monopolio della Serenissima (sotto cui Bergamo era posta). I Terzi, avendo un palazzo anche a Venezia, essendo nobili e certamente ammanicati con alte sfere della Repubblica Veneta, riuscirono ad avere questa specchiatura e a montarla (vi sono tutte le ricevute). E’ uno dei Salottini più antichi della Lombardia, a dispetto di quanto ne dicano i milanesi….
Al centro vi è l’Astronomia, ai lati i Quattro Elementi (Aria, Acqua, Terra e Fuoco) e agli angoli i 4 continenti allora conosciuti (Africa, Asia, Europa e l’America). Immaginiamo come dovesse essere questo ambiente di rappresentanza in quel periodo e in determinate condizioni, magari quando le porte a scrigno (che già esistevano) venivano chiuse, le porte a vetri chiuse, le candele accese riflesse negli specchi … Quale atmosfera vi regnava! Che riverbero di luce magica! L'Astronomia smbra librarsi lggerissima nel cielo, misurando la fascia dello Zodiaco, visto che nella mano destra regge un compasso e, nella sinistra, una sfera armillare. Intorno, un cielo trapunto di stelle. Il tondo è incastonato in una splendida composizione di specchi con cornici dorate, intagliati con forme sfaccettate da sembrare gemme preziose. Alla luce calda delle fiammelle questo soffitto iniziava a luccicare e ciò che era in basso era anche in alto; i presenti si sentivano trasportati in una dimensione trasognante. Questo, almeno, è ciò che immaginiamo...Sublime!
Meraviglioso affresco dello Storer raffigurante l'Astronomia, sul soffitto del Salottino degli Specchi
Una porta scorrevole munita di specchi verso l'interno di questa stanza e con solo legno verso la stanza attigua, detta "Soprarizzo", faceva comunicare i due ambienti (ancora oggi). Il termine “Soprarizzo” è rivolto alla decorazione delle pareti, un velluto che veniva montato sull’intelaiatura distante circa 20 cm dalla parete in muratura; era anche pensato con uno scopo di isolamento. Il velluto è genovese ed è originale (è qui da quando fu posato, è perfettamente conservato grazie ad un microclima idoneo, probabilmente). Il soffitto è opera di Carpoforo Tencalla: al centro vi è l’Aurora accompagnata da due putti che reggono una fiamma in mano, simboleggiante la luce mattutina. Con l’arrivo dell’Aurora e della luce mattutina si risvegliano i personaggi che si stroppicciano gli occhi e si stiracchiano e questo fa capire che la stanza fu usata come camera da letto (fermo restando che vi possa individuare una duplice chiave di lettura).
Il camino ottocentesco stride un po’ con il resto ma è proprio in questo ambiente che fu ospitato un personaggio illustre, anzi due: nel 1816 Francesco I d’Austria e nel 1838 Ferdinando I (imperatore d’Austria e re d’Ungheria) che, tornando da Milano, decise di fermarsi qui alcuni giorni. Arrivò con la moglie Maria Anna Carolina Pia di Savoia e con tutto il loro seguito, ma gli imperatori dormirono in questa stanza. Leggenda narra (ma è documentato) che l’imperatore si lamentò di avere freddo e per quel motivo fu realizzato il camino in una sola notte, quello che vediamo ancora oggi (per fortuna al di sopra vi è il tetto, così gli operai poterono fare una canna fumaria corta). Nel frattempo l’imperatore venne accolto al primo piano dove si trovava l’ala residenziale ben riscaldata e i Terzi gli offrirono una delle loro camere.
Nel palazzo Terzi soggiornò anche Stendhal, dal 2 Maggio al 24 Giugno 1801, come recita la lapide che abbiamo visto sul muro in facciata (ma non sappiamo in quale stanza dormisse). La presenza di questi personaggi fa ben capire il rango che questo edificio avesse raggiunto nella considerazione delle autorità pubbliche: era la dimora che più delle altre era considerata degna di far bene figurare la città stessa agli occhi delle illustri figure che visitavano Bergamo. Come si dice oggi, un ottimo biglietto da visita!
Vi è un’ulteriore curiosità relativa alla stanza del Soprarizzo: dietro la tappezzeria la famiglia Terzi vi aveva nascosta la bandiera tricolore della Guardia Nazionale di Bergamo Alta![8]. Doveva però mostrarsi filo-imperiale e fare buona cera quindi Ferdinando I non seppe mai di dormire con la bandiera “avversaria” vicino! I Terzi vennero sospettati di parteggiare per gli insurrezionisti che volevano l’Unità d’Italia. Il Tricolore venne cercato dalla polizia imperiale ma non fu trovato. Luigi Terzi morì nel 1860, non riuscendo a vedere compiuto il sogno di unità. Era molto amico di Gabriele Camozzi (che diventò il primo sindaco di Bergamo dopo l’unificazione), con cui fondò la Guardia Nazionale a Bergamo. Entrambi avevano speso molto denaro personale per la causa unitaria e quando Camozzi divenne anche deputato, riuscì ad avere un rimborso. Luigi Terzi intentò sei cause per cercare di riavere indietro il denaro speso ma morì appunto nel 1860. Alla sua morte lasciò moglie e sei figli (il più grande di 17 anni) che non richiesero mai indietro i soldi e non proseguirono le cause intraprese dal padre. Luigi quindi non ebbe nulla, non è ricordato come patriota, non gli furono intitolate strade, a differenza del Camozzi. Nel 1862 la vedova di Luigi, marchesa Maria Terzi Caumont de la Force, consegnò il tricolore all'allora Sindaco della città, che era appunto il Camozzi. La Bandiera venne in seguito donata al Museo del Risorgimento di Bergamo (allestito nella Rocca sul colle di Sant’Eufemia) ma attualmente non ve ne è più traccia … Eppure è un cimelio importante perché tra i più antichi del genere. Di Luigi Terzi è conservato un ritratto sulle pareti della Sala Rossa, che accoglie anche fotografie di altri membri della casata.
Riattraversiamo la Sala Rossa per portarci nella Camera da letto, il cui soffitto fu affrescato dallo Storer con i suoi temi religiosi dell’Antico Testamento ma qui il tema è curioso, seppure sia stato molto rappresentato nella storia dell'arte: vediamo il casto Giuseppe che fugge dalle avances della moglie di Putifarre, un dignitario del faraone d'Egitto. Osserviamo gli occhi della donna, straordinari, la mano di lui, che quasi esce dall’affresco. Abbassando lo sguardo si nota il pavimento ligneo del Caniana, sul quale appoggia il letto, di dimensioni non eccezionali (dormivano semi-seduti). Una porticina celata tra la decorazione parietale collega la stanza al bagno privato. Accanto al letto, su un manichino, vi è una divisa di Ciambellano di Sua Maestà che appartenne a Giuseppe Terzi. Dalla stanza da letto ci si affaccia su un delizioso giardino d’inverno, che un tempo doveva essere bellissimo. Nel XIX secolo fu coperto, ma in origine era un giardino vero e proprio (pensile e interno al palazzo!). Nel corso del 1800 al posto delle piante vere si dipingono sulle pareti. Dove ci troviamo è la parte più antica del palazzo perché il muro apparteneva al convento di Rosate (di cui si è detto all’inizio), Con l’arrivo di Napoleone fu raso al suolo e al suo posto fu costruito il Ginnasio. Questo muro di Palazzo Terzi rappresenta quindi una vestigia superstite del più grande e potente monastero che Bergamo abbia mai avuto.
Soffitto della Camera da letto: particolare dell'affresco dello Storer
Scorcio sul Giardino d'Inverno (oggi riadattato), che comunicava con la Camera da letto
Muro medievale superstite
Molto affascinati da tutto questo, ci dirigiamo ora in un’altra ala del palazzo. Riattraversiamo la Sala Rossa e il Salone che abbiamo visto per primo e arriviamo nel Salottino della Musica, di gusto Rococò, ricco di smboli legati al mondo musicale. Si tratta di uno degli ultimi lavori eseguiti nel Palazzo, affidati ai fratelli Camuzio, ticinesi. E’ un piccolo locale, sacrificato tra il Salone e il vicolo esterno; ha una forma irregolare e non si sa esattamente a cosa servisse (vi si tenevano forse gli strumenti musicali o venivano impartite delle lezioni ai fanciulli, ma l’acustica è pessima, quindi si dubita di questa ipotesi). I Camuzio inserirono, nella decorazione di questa saletta, gli Elementi Naturali (la Terra simboleggiata dai suoi prodotti e dagli strumenti per coltivare; il Fuoco con la Fenice; l’Acqua, simboleggiata dalla balena, dai pesci, dalle reti e dal Tridente; infine l’Aria, con i putti che soffiano e suonano strumenti a fiato e la regina dei cieli, l’Aquila).
La sala accanto è denominata Sala del Tiepolo, per via di una tela sul soffitto che a lungo si è creduto appunto di Giovan Battista Tiepolo, mentre studi recenti lo attribuiscono ad un suo allievo, il Cappella. Non si tratta di un affresco ma proprio di una tela, che mostra apparentemente due mani divers: la parte alta molto più delicata e raffinata, quella inferiore più grossolana. E’ un’ opera celebre perché per un periodo fu in copertina delle Pagine Bianche. Rappresenta Venere trainata da un cocchio di pavoni.
Nella sala si trova anche un’icona russa della seconda metà del 1400 (forse di Andrea Rizzos, italianizzato Andrea Rizzo); è giunta a Palazzo Terzi per una parentela con la famiglia russa Galitzin o Golicyn[9], nata dal matrimonio tra Giuseppe Terzi ed Elizaveta Golicyn.
Arriviamo adesso nell’ultima sala del percorso di visita, la Sala da pranzo, dove si trovano il ritratto della madre di Giuseppe Terzi, Maria Malabaila di Canale[10], e del fratello Pietro, disperso in Russia durante la Campagna napoleonica del 1812 (dove entrambi i fratelli erano arruolati). Se si osserva il dipinto, eseguito da Giuseppe stesso, si nota che non fu terminato per la prematura dipartita del giovane ma la signora tiene in mano un tricolore (notare che l’opera è datata alla prima metà del 1800).
Il ritratto di Maria Malabaila di Canal, opera di suo figlio Giuseppe Terzi, effigiato nella stampa a destra (presente nella Sala Rossa)
Ricordi della presenza della principessa russa Elizaveta, moglie di Giuseppe, oltre all'icona nella sala precedente, ne troviamo nei Samovar appoggiati su una bella credenza in questa sala da pranzo. Si tratta di contenitori metallici tradizionalmente usati nei paesi russi per scaldare l'acqua. Poiché l'acqua calda è normalmente usata per la preparazione del the, molti samovar presentano nella parte alta un alloggiamento atto a sostenere e scaldare una teiera di tè concentrato.
Il meraviglioso soffitto affrescato è opera di Giacomo Barbello, che raffigurò La Nascita della Via Lattea: il bambino Ercole (che Zeus aveva avuto da Alcmnea, moglie di Anfitrione) viene portato in braccio da Zeus al cospetto della moglie Hera per farglielo allattare (solo così, prendendo il latte da una dea, Ercole avrebbe ottenuto l’immortalità), approfittando del sonno di lei. Ma il piccolo, già pervaso da una forza soprannaturale, sugge troppo forte e la donna si sveglia, staccando da sé il piccolo e spargendo latte tutt’intorno. Si narra che le gocce di latte cadute a terra diedero vita ai gigli, mentre quelle perse in cielo originarono la Via Lattea. Le quadrature e gli effetti prospettici nei quali è inserita una balconata sono sempre opera di Andrea Ghislandi, che lavorava al fianco del Barbello. Ai quattro lati occhieggiano altrettanti putti che reggono in mano gli attributi distintivi di Giove (fuoco, mazza, globo, saette) e un cartiglio, diverso uno dall'altro.
Bellissimo soffitto della Sala da Pranzo: la Nascita della Via Lattea
Putto con il Fuoco
Putto con Saette
Uscendo da dove eravamo entrati, siamo più consapevoli di quanto si celi dietro la facciata di questo palazzo, fino a oggi rimasto a noi sconosciuto e sempre visto da fuori, irraggiungibile e remoto. Suggeriamo a tutti di fare questa esperienza, non solo per la bellezza, la raffinatezza e la preziosità delle sue sale, ma per la loro storia evolutiva, per i personaggi, per la simbologia che si ritrova puntualmente in ciascun ambiente. Palazzo Terzi fu una fabbrica dove si mossero architetti, intagliatori, pittori, ebanisti, lapicidi, marmorai, tappezzieri, e tante altre maestranze, una macchina da lavoro altamente preparata e perfettamente conscia che ciò che realizzò fosse destinato ad attraversare i secoli, ad assistere silenziosamente al cambio delle stagioni, dei personaggi, della storia e della politica, a partecipare alle gioie e ai dolori familiari, custodito da una committenza illuminata come quella dei Terzi di Bergamo.
Dimenticavamo i sotterranei! Ma...non sono attualmente compresi nel percorso di visita (speriamo lo siano, un giorno). Si narra siano vastissimi e che celerebbero segreti e misteri (quale palazzo non ne ha?). Auspichiamo possa presto essere argomento di un nuovo articolo!
Notizie attinte direttamente durante la nostra visita in loco (si ringrazia la guida, giovane rampollo della famiglia Terzi); inoltre sono state consultate altre fonti online:
- Palazzo Terzi in Lombardia Beni Culturali
- Palazzo Terzi, su Gluseum
- Cartoteca russo-bergamasca, voce Giuseppe Terzi su unibg.it
Palazzo Terzi è una residenza privata che aderisce al circuito Dimore Storiche di Bergamo. Non è normalmente aperto al pubblico, che può comunque usufruire delle aperture straordinarie effettuate durante l'anno. Per informazioni sulle visite e quant'altro consultate il sito ufficiale di Palazzo Terzi https://www.palazzoterzi.it/
Questo articolo è stato inserito il 07/11/2019; nessuna delle sue parti (testo e/o immagini) possono essere prelevate senza autorizzazione e citazione delle fonti.
[1] La famiglia, di antichissima origine, era presente in Bergamo già alla fine del primo millennio diventando importante protagonista della vita della città, dove parteggiò per la fazione ghibellina
[2] Infatti, l'edificio sul fronte piazza risulta stretto da un lato dal parco di Palazzo Recuperati, mentre su quello opposto è condizionato dal limite della rocca sulla quale sorge la città Alta, al sommo di una pendenza parecchio scoscesa. Questa particolare ubicazione non impedì ai Terzi di predisporre nel tempo un giardino distribuito sui vari livelli del terreno (i progetti più recenti, e dei quali sussiste una traccia, sono quelli commissionati dal marchese Antonio Terzi a Simone Cantoni nel 1783), fonte Lombardia Beni Culturali
[4] Secondo gli studiosi, presenta significative affinità stilistiche con le opere degli stuccatori luganesi Sala, attivi in quegli anni nei principali cantieri cittadini seguiti, fra gli altri, dai Terzi (in particolare quello della MIA
[5] Nel 1300-1400 lo stemma del casato prevedeva uno scudo tripartito bianco e rosso, poi venne aggiunto l’aquilotto; nel 1600 venne quadripartito aggiungendovi l’aquila biteste (famiglia imperiale) e il leone rampante (comunicazione della guida in loco)
[6] Furono dapprima conti, marchesi e Cavalieri del Sacro Romano Impero
[7] Per approfondirne la storia e il culto presso i Romani vedasi qui
[8] Si trattava di una Bandiera di seta, a doppio drappo, colle iscrizioni a lettere d'oro, ricamate: "Battaglione dell'Alta città", da una parte, e dall'altra; "Dall'ordine, dall'unione, la forza". Sulle fasce di velluto rosso stanno le parole, nell'una "Guardia Nazionale", nell'altra "Battaglione Terzi". Fu la bandiera del battaglione della Guardia nazionale dell'Alta citta di Bergamo noi 1848, comandato del maggiore Terzi. Venne conservata dalla famiglia dei marchesi Terzi, la quale la tenne, fino al 1859, nascosta sotto la tappezzeria d' una sala del proprio palazzo. (Biblioteca civica di Bergamo). Fonte Risorgimento.it
[9] Tutto nacque quando un membro della famiglia Terzi, Giuseppe, fu fatto prigioniero dai russi durante la ritirata da Mosca (1812), nel’ambito della disastrosa Campagna indetta da Napoleone Bonaparte. Venne però tenuto agli “arresti domiciliari” presso una famiglia di Riga (una delle Repubbliche Baltiche) che lo curò e lo assistette. Nel frattempo i parenti di Bergamo allertarono l’architetto bergamasco Giacomo Quarenghi, che allora dimorava a San Pietroburgo perché lavorava per la zarina, che lo accolse in quella città. In breve Giuseppe riprese a dipingere, guadagnò fiducia e stima presso la potente e antica famiglia Galitzin (o Golicyn), in seno alla quale conobbe la principessa Elizaveta Michajlovna (1790-1861), la sposò nel 1814 e la condusse nel proprio palazzo di Bergamo. Giuseppe riprese a partecipare attivamente alla vita culturale della città, proseguendo la sua attività di pittore e venendo eletto primo Presidente dell’Ateneo di Bergamo. Rimasta preso vedova (Giuseppe morì a soli 29 anni), Elisaveta Golicyn-Terzi, dalla sua abitazione in Palazzo Terzi, mantenne stretti contatti con la madrepatria, compiendo diversi viaggi in Russia. Proprio grazie alla presenza della donna, il Palazzo divenne un vero e proprio “angolo di Russia” a Bergamo. Elizaveta non si convertì mai al cattolicesimo e si portò dalla Russia il pope Irinarch, addetto alla sua cappella privata, che fu la prima cappella di rito ortodosso a Bergamo (venne distrutta alla morte della principessa perché non era vista di buon occhio, in una città molto cattolica). Anche l’icona russa attualmente conservata nella Sala del Tiepolo fu portata da Elizaveta a Bergamo
[10] Contessa veneziana andata in sposa a Luigi Terzi nel 1769, di cui si racconta un aneddoto: prima di avere i due figli (Giuseppe e Pietro), partecipando ad un ballo in piazza Vecchia durante un Carnevale, ballò con il garzone del macellaio, suscitando inevitabile scandalo e le ire del vescovo. Lei si difese dicendo che il ragazzo ballava bene!