Il Parco Gola del Tinazzo a Castro (BG)

(di Marisa Uberti)
 
  • Prologo

 

In un nostro recente articolo ci siamo occupati del torrente Borlezza e di come esso, "scavando" il proprio letto tra Sovere e Pianico, abbia inciso la piana esponendo spettacolari pareti che hanno messo in luce i depositi di un antichissimo lago fossile, sul fondo del quale si depositarono sedimenti per quasi 50 mila anni formando un eccezionale archivio di strati. Un’escursione da non perdere (seguite il nostro articolo e potrete farlo in autonomia) ma quella che proponiamo oggi non è da meno: ci consente infatti di seguire il percorso del Borlezza e di giungere alla sua foce, presso Castro, nel lago d’Iseo (Alto Sebino). La particolarità è che questo torrente si incunea, nelle sue ultime centinaia di metri, in una profonda gola, che seguiva- fino all’inizio del XX secolo – un percorso abbastanza lineare. Per le esigenze che vedremo, ad un certo punto sorse la necessità di deviarne il corso, realizzando una “curva a gomito” che portasse l’acqua torrentizia a gettarsi nel lago evitando di passare nell’ultima parte della gola che, da allora, divenne “fossile”. E’ proprio questa forra fossile che si può visitare, in un itinerario rigorosamente guidato e affascinante.

 

  • Un torrente con quattro nomi

 

Il Borlezza (che ha una lunghezza di circa 25 chilometri in totale) scaturisce con il nome di torrente Gera a 1690 m di altitudine, a monte del comune di Castione della Presolana; assume successivamente il nome Valleggia, quindi Borlezza e infine Tinazzo. Ecco spiegato il motivo per cui la forra fossile si trova nel Parco della Gola del Tinazzo: perché qui il Borlezza assume questa denominazione e qui è è possibile ammirare lo spettacolare risultato dell'incessante lavoro di erosione che l'acqua ha prodotto nel corso dei millenni sulle pareti rocciose. Dove prima scorreva impetuosa l’acqua, oggi camminiamo, seppure per un tragitto di 100 metri. Ma prima di vedere ammirati visitatori, la forra è stata per decenni una … discarica! Persone incivili, dall’alto, hanno continuamente gettato immondizia di ogni genere (comprese lavatrici e altri elettrodomestici!) nella caverna non più percorsa dal torrente. Per ripulirla ci sono voluti otto lunghi anni di lavoro volontario da parte dei membri di Lega Ambiente Alto Sebino. Nonostante ciò, alcuni incivili continuano a buttare i loro rifiuti nella forra, atto severamente deprecabile e punito dalla legge.

 

  • Meccanismo di formazione della forra

 

La roccia che costituisce la gola (“Formazione di Castro”) si formò circa 200 milioni di anni fa su un fondale marino di una barriera corallina intensamente “abitata”. A causa di movimenti tettonici, si sono succeduti fenomeni di avvicinamento e allontanamento che hanno determinato deformazioni gravitative profonde di versante (chiamate in gergo tecnico DGPV).  Esse – in conseguenza delle glaciazioni pleistoceniche – bloccarono il corso del torrente, che si scavò uno stretto pertugio attraverso cui passare. Si calcola che attorno a sei milioni di anni fa il Borlezza, nel suo scorrere impetuoso, abbia scavato la stretta e affascinante gola, sempre più verso il basso, tanto che oggi le vertiginose pareti hanno un’altezza di oltre 40 m, con una larghezza variabile da uno a quattro metri. Nel compiere il suo viaggio incessante, l’acqua ha portato con sé milioni di metri cubi di detriti che, giungendo al lago, sono stati depositati formando un delta: su di esso sorge l’attuale stabilimento della Lucchini RS. Se da un lato la presenza del torrente ha sempre permesso, nei secoli, il suo sfruttamento per l’energia atta ad azionare mulini e fucine per la lavorazione del ferro delle valli, dall’altro ha rappresentato una costante minaccia e una fonte di calamità perché in occasione di violenti nubifragi, “l’acqua trascinava grandi quantità di detriti vegetali che impuntandosi nello stretto ingresso della forra, creavano una diga di tronchi che alzava anche di una decina di metri il livello del retrostante torrente. Quando la diga cedeva, l’effetto era devastante: l’acqua entrava con un assordante rombo nella forra e si scaricava a lago, lambendo il paese di Castro”. Gli annali sono pieni di descrizioni in tal senso e rendono l’idea dei disastri che avvenivano. Probabilmente nel XVI secolo fu eretto il muro di contenimento (che si può vedere ancora oggi lungo il percorso che conduce alla forra fossile). Senza dilungarci troppo (vi spiegherà tutto la guida se andrete a visitarla), si deve sapere che nel 1855 furono impiantate le basi di quella che sarebbe diventata la grossa industria siderurgica nota in tutto il mondo (Lucchini) ma anch’essa dovette fare i conti con le devastanti alluvioni. Fu così che nel 1915 fu decisa e autorizzata una ciclopica impresa: deviare il corso del torrente costruendo una diga nella forra del Tinazzo e scavando un canale artificiale e una galleria che sfocia a lago poco prima del Bőgn (Orrido) di Castro. Questa diga divise in due la forra, esattamente come vediamo oggi: una è attiva e continua ad accogliere l’incessante passaggio delle acque, l’altra è diventata asciutta e “fossile”. Da alcuni anni, dopo il gravoso impegno di liberarla dall’immondizia, è stata recuperata, valorizzata e resa visitabile grazie ad un’intesa tra la Lucchini (proprietaria dell’area) e Lega Ambiente Alto Sebino.

  • Il percorso di visita

Inizia con una necessaria descrizione del contesto e la visuale del canale artificiale che si butta nel lago; a vederlo è invitante, cristallino ma attenzione: il torrente è inquinato ed è vietato fare il bagno alla sua foce! Si sale poi verso la “casetta di Bigio”, un “centro visite” dove alcuni pannelli illustrano i diversi aspetti storici e ambientali. Si vedrà un simpatico animaletto: è la mascotte del parco, la Salamandra pezzata. Normalmente questo anfibio si può anche vedere nel parco, se siete fortunati: non quando fa caldo però! I percorsi in realtà possono articolarsi su tre punti: quello naturalistico, quello storico e quello dell’energia. La guida cerca di riassumerli e di far notare gli elementi salienti di ciascuno di essi, in maniera tale che alla fine dell’intera esplorazione, abbiamo ricavato un buon quadro d’insieme, che prima ignoravamo. Certamente anche la curiosità personale gioca un ruolo fondamentale. Si parte quindi alla volta del bosco di forra (proteggersi da insetti, perché è il loro regno!), molto umido e ombroso; capirete che si è sviluppata una flora tipica di questo ambiente naturale (carpino nero, felci) ma ci sono anche prati aridi e orchidee selvatiche. Parallelamente vi si trova una fauna variegata: da quella prealpina delle zone boscate (molti tipi di uccelli, ghiro, scoiattolo, lepre; volpe, tasso, faina e capriolo) a quella costituita dai rettili e molte specie di farfalle (nelle zone prative terrazzate ricche di muri a secco e soleggiate); la presenza di sorgenti e acqua ha favorito la colonizzazione di anfibi come la già citata salamandra ma anche il raro gambero di fiume. Il sentiero boschivo scende per un certo tratto per poi stabilizzarsi in piano;  in alcuni punti è simile a una "foresta amazzonica".  A destra si vedono gli impianti della ditta Lucchini. Atmosfera da avventura quando ci si ritrova al cospetto dell'ingresso della forra, tra pareti gigantesche lavorate dalla forza dell'acqua per millenni. Sono visibili le "marmitte dei giganti" (una visibile da molto vicino all'interno della Forra fossile, altre si vedono dall'alto sulle pareti della Forra attiva). Il percorso in grotta, di modesta lunghezza, si interrompe al cospetto di una frana che ha causato il crollo delle pareti.  Stare all’interno è un’emozione: breve ma particolare! Le pareti vertiginose sono aperte in cima: da piccole fessure a crateri di discreta dimensione entra la luce naturale e non ci si ritrova mai completamente al buio. Ci si sente bagnare da grosse gocce d’acqua che scende dalla roccia; in un passaggio si ha un effetto “aerosol” (gocce vaporizzate) che d’estate è godibile. L’acqua deriva da sorgenti naturali.

Pensare che poco più di cent’anni fa qui passavano milioni di metri cubi d’acqua ci… rinfresca in questa giornata estiva molto calda! La marmitta dei giganti ha una forma caratteristica che è data dal continuo “vorticare” delle acque che, sbattendo contro la parete di roccia, hanno prodotto una escavazione e levigatura. Le pareti esterne di questa “marmitta” paiono gigantesche dita (e non lo notiamo solo noi!).

  • La leggenda

Si racconta che nel momento in cui il centurione Longino trafisse il costato di Gesù crocifisso (in Plaestina), qui dove ci troviamo un terremoto incredibile diede forma al Tinazzo, dividendo in due le rocce granitiche tra Sovere, Castro e Lovere. Cosa geologicamente priva di fondamento!

  • La visita alla forra attiva e fossile dall’alto

E’ importante completare la visita portandosi in località Poltragno per vedere dall'alto la Forra Fossile e la Gola attiva. Questo può avvenire in sicurezza stando su passerelle e una balconata. Nel 2023 è stato infatti concluso e aperto al pubblico il "Percorso panoramico Luar-Pons Terraneus", che nel suo tratto iniziale è costituito proprio da uno scenografico percorso "a sbalzo" sulla forra, che restituisce una vista emozionante sull' Orrido. La forra attiva mostra sul fondo l’acqua torrentizia che “curva” artificialmente verso la galleria e il canale artificiale: la Galleria, terminata nel 1919, fu chiamata “Vittoria” (in onore della I Guerra Mondiale, vinta dall’Italia con i suoi alleati). Il livello del torrente è mediamente di 40 cm ma in caso di piene può salire vertiginosamente e nell’arco di poche ore (è pericoloso risalire i canali, semmai a qualcuno venga l’inopportuna idea!). Sulle pareti si vedono bene le “marmitte dei giganti”.  

E’ stato importante capire la topografia, l'inquadramento storico e la sistemazione urbana recente, per poter ragionare sull'assetto viario antico, quando la Forra del Tinazzo costituiva un forte ostacolo naturale al passaggio dalla Val Cavallina alla Valcamonica. Al tempo di Roma Imperiale era il confine tra la tribù Voturia e la Quirina e, nel Medioevo, tra le contee di Bergamo e Brescia. Un tempo le pareti della Forra, nel tratto iniziale, quasi si toccavano creando un ponte naturale, chiamato "pons Terraneus" ed era questo che consentiva comunque di passare: la strada si chiamava "via vallis" e fu percorsa da eserciti e imperatori: certamente dal Barbarossa nel 1166, Ludovico il Bavaro (1327), Carlo IV (1355), Massimiliano d'Asburgo (1516). Per avere le "Strade Nuove" di comunicazione si attese il XX secolo e soltanto dal 2010 vi è l'attuale rotatoria. Nella Forra, purtroppo non protetta fino a pochi anni fa, sono precipitate alcune persone (accidentalmente ma anche volontariamente).  Un’altra fonte di conoscenza sono i pannelli didattici dislocati lungo il percorso panoramico Luar-Pons Terraneus (sempre visitabile). Oltre a indicare come doveva essere l’area in passato, consente di osservare un tratto di parete di conglomerato di Poltragno (ceppo), utilizzato da almento duemila anni per la costruzione di molti edifici (non solo locali ma di Milano e Bergamo). E’ visibile anche una linea di frattura che percorre la roccia in senso longitudinale. Torneremo prossimamente per altri sopralluoghi a monte delle due forre.