I segni sulle colonne della cripta del Duomo Vecchio di Brescia

(di Marisa Uberti)
 
 
In un precedente articolo risalente a svariati anni fa, avevamo trattato del Duomo Vecchio di Brescia, gioiello medievale della cittò, dalla forma circolare e per questo chiamato "Rotonda". Sorge nell'attuale piazza Paolo VI, adiacente al Duomo Nuovo e, un tempo, costituiva la cattedrale dei bresciani. A pochi metri si ergeva il Battistero, di cui non resta traccia, purtroppo.
Al di sotto della Rotonda, in cui si respira immediatamente un'aria particolare che rimanda ad epoche molto lontane nel tempo, si trova la cripta di San Filastrio che, al tempo del nostro precedente articolo, non era usualmente aperta al pubblico (attraverso una cancellata la si poteva vedere talvolta allagata), mentre oggi la si può normalmente visitare durante gli orari di apertura del duomo vecchio. La cripta costituisce la parte inferiore del monumento ed è la parte più antica, costruita per contenere le spoglie del martire Filastrio che vi erano state portate nell' 838, togliendole dalla vecchia chiesa di Sant'Andrea, ove erano conservate. Filastrio (o Filastro, secondo alcuni) fu vescovo di Brescia e promosse la costruzione delle due cattedrali di San Pietro de Dom e Santa Maria Maggiore. Quest'ultima, eretta in epoca paleocristiana, fu trasformata nella forma circolare (Rotonda)  in età romanica (probabilmente in coincidenza delle Crociate e del culto verso il Santo Sepolcro) e in tale periodo venne sicuramente modificata anche la sottostante cripta dell'VIII -IX secolo. Si sa che l'aspetto originario era semianulare, con corridoi ad angolo retto che consentivano ai fedeli di girare intorno al sarcofago marmoreo contenente le spoglie del martire Filastrio. Fu verosimilmente in seguito alle trasformazioni romaniche che dell'arca si persero le tracce; fu infatti ritrovata sotto l'altare soltanto nel 1456.
Nel 1572 il vescovo Bollani fece togliere le reliquie di S. Filastrio dall'altare del sacello e le fece deporre nella cappella della SS. Trinità nella chiesa superiore. Di fatto fece chiudere la cripta, fece murare uno dei due ingressi e ne vietò il culto, sulla spinta della Controriforma e per il fatto che l'ambiente fosse umido, buio, privo di aria e malsano. Privato anche del suo altare, lo scurolo divenne un deposito temporaneo per i defunti vescovi e il clero. Studi moderni hanno appurato che prima di essere luogo di culto cristiano, la cripta fu edificio pagano: lo testimoniano le suspensurae pertinenti forse a una domus romana com impianto termale (o forse erano collocate qui le terme occidentali della Brixia romana?). Tali elementi, usati negli impianti di riscaldamento romani per mantenere il pavimento sopraelevato e permettere all’aria calda (generata da bracieri o da una stanza adibita a fornace) di circolare riscaldando l’ambiente, furono riutilizzati come riempimento del paramento murario della cripta cristiana.
1871. La cripta venne nuovamente riaperta dal vecovo Verzieri, che la fece svuotare di tutti i detriti accumulatisi e fece eseguire un primo restauro. Non era ancora stato ritrovato, tuttavia, il secondo passaggio, quello che era stato tamponato tre secoli prima. Tuttavia, con i restauri dell'arch. Arcioni (conclusisi tra il 1894 e il 1895) vennero ripristinate entrambe le scalette che scendono in cripta, rese più ripide e più corte.
Dobbiamo pertanto considerare quanti cambiamenti siano occorsi nel corso dei secoli ma, nonostante tutto questo, l'atmosfera mistica che vi si respira è palpabile.
  • La cripta

La cripta si raggiunge dal deambulatorio superiore della Rotonda, scendendo una rampa di scale; le rampe -come già detto - sono due, speculari. Arrivando all'interno si è colti da una certa emozione: è il passato che torna a noi dal tunnel del tempo e ci propone una lettura non sempre immediata ma assai affascinante. L'ambiente ipogeo è diviso in cinque navate da tre file di colonnette di marmo, di varie proporzioni, forse per adattarle al luogo e probabilmente impiegando materiale riciclato che gli esperti fanno risalire al massimo al IX secolo e ciò permette di datare la cripta al periodo del vescovo Ramperto e alla traslazione delle reliquie di S. Filastrio (838 d.C.). La sistemazione originaria delle colonne potrebbe tuttavia aver subito modifiche con la costruzione della Rotonda romanica. A dire il vero le navate principali sono tre; le altre due sono due vani estremi più corti che costituivano in origine la continuazione delle scale di discesa e risalita. Queste due navatelle accolgono i pilastri del presbiterio superiore.

I maestri muratori ebbero cura di creare armonia e simmetria nella disposizione delle colonne, anche se diverse tra loro. Le tre navate centrali terminano in altrettante absidi, forse ricollegabili alla struttura primitiva. In quella centrale residuano lacerti di affreschi  di epoca incerta. Alzando lo sguardo si incontra una scenografica volta a crociera in cui campeggiano S. Michele Arcangelo  e tre vescovi bresciani (tra cui Filastrio e Apollonio) tutti databili al XIII secolo. Nelle due absidi laterali, sull'asse di ogni comparto, si trovano piccole nicchie.

Da qualche tempo (forse dal 2018) chi scende nella cripta può trovare un pannello informativo (che i più non considerano, ma non sanno che si perdono) che dà un tocco di maggiore fascino a questo luogo millenario: attesta infatti la presenza di "segni" incisi su alcune colonne (lettere/ marchi di costruttori), oltre alle croci, ben riconoscibili. Tali segni non si trovano tutti negli stessi punti sulle colonne, ma possono trovarsi sui piedistalli o sulle basi, lungo il fusto o sul capitello. E possono trovarsi ad uno dei quattro punti cardinali, non nella stessa posizione. Una vera e propria caccia al tesoro! Da fare con rispetto, mi raccomando.

A facilitare le cose, seppure il pannello sia esaustivo,  è disponibile in rete un ebook scritto da Simone Agnetti nel 2017 "Segni e simboli nella cripta di San Filastrio a Brescia" (l'autore scoprì casualmente le incisioni durante lavori di preparazione per una video-installazione). Lo si scarica dai comuni e-store (costa pochi euro).
Il suggerimento è però quello di mettere alla prova la vostra capacità di indagine senza sbirciare o cercare subito aiutini: noi stessi ci siamo accorti della presenza di alcune lettere su determinate colonne senza avere prima letto nemmeno il pannello situato appena scesi in cripta (a destra o a sinistra a seconda della scala che scegliete di fare). Ma per rintracciarle tutte, l'aiuto del volumetto di Simone è stato decisivo.
 
Per praticità, abbiamo conservato il senso di lettura illustrato sul pannello nella cripta (nonchè di S. Agnetti nella sua monografia). Il disegno sopra è nostro e serve per far comprendere ciò che verrà detto nel prosieguo del testo: scendendo dalla scala sinistra, prenderemo in considerazione tutte le colonne e i pilastrini (20 manufatti). Partendo dalla prima a sinistra procederemo, tramite una numerazione fittizia da 1 a 20, esaminandole una per una (alcune non hanno segni ma le citeremo comunque). Seguiremo il senso illustrato dalle frecce, per poi risalire dalla scala destra
 
Si inizia da sinistra e ammirando le colonne che compongono la prima fila ci si accorgerà che sulla prima non vi sono segni; sulla successiva, inferiormente, ecco il primo (ma non sveliamo com'è); sulla terza i segni sono due, uno sul fusto e uno sul capitello mentre sulla quarta colonna inutile cercare, ne è priva. Si arriva così al quinto pilastrino, all'angolo dell'absidiola di sinistra; conserva un bellissimo capitello in cui risaltano due croci particolari (sono sormontate da corone). Queste non si possono annoverare tra i segni o marchi essendo scolpite con intento simbolico sacro.
Proseguendo la numerazione così come proposta dall'Agnetti e sul pannello (onde evitare confusione nei lettori), ci spostiamo al pilastrino successivo, n. 6 (compartecipante l'absidiola sinistra e l'abside centrale) ma potete guardarlo finchè volete che di segni non ne rivelerà ( a meno che siate più acuti o fortunati, chissà...). Ora procediamo guardando verso l'uscita: la colonna n. 7 ha una lettera sulla base (una O) mentre quella successiva (rinforzata da un anello di ferro) reca due degli enigmatici segni, uno sulla base e uno sul capitello (forse entrambe sono due lettere, una I e una D), ma in direzioni opposte.
Avanti ancora e incontriamo la colonna n. 9; occhi in basso, curvatevi e sulla base, direzione sud, troverete un altro segno! Siamo ora arrivati contro il muro e alla nostra destra c'è la rampa di uscita; guardiamo la colonna situata proprio in questa posizione, la n. 10, che però è priva di segni. Ci spostiamo di pochi passi, tanti ne servono per andare al cospetto della colonna n.11 (di lato alla rampa opposta), dove troviamo - lungo il fusto- un segno più piccolo rispetto agli altri (una sorta di O), ma ben visibile. Continuiamo il percorso dirigendoci verso le absidi; incontriamo la colonna n.12 che reca (lungo il fusto) un segno analogo a quello della colonna 9. Procediamo e sulla colonna successiva documentiamo la presenza di due segni incisi: uno sul fusto e uno sulla base (molto simili tra loro ma collocati verso punti cardinali opposti). La colonna n. 14 è una vera e propria miniera di segni incisi, ben 4, oltre a una bellissima croce (forse di consacrazione?): uno si trova sulla base, uno lungo il fusto e due sono incisi sul capitello. Nella parte inferiore del fusto, in direzione nord, è incisa la bellissima croce. Perchè lasciare tanti "marchi" su un unico manufatto? La spiegazione potrebbe essere che 1) la base non fosse originariamente pertinente all'attuale colonna; 2) sul fusto verrebbe a trovarsi solo la I, se ritenessimo la bella croce un simbolo di consacrazione del luogo (il fusto, in origine, poteva essere al rovescio e dunque la croce poteva trovarsi in alto e non in basso come la vediamo oggi). Resterebbero da spiegare i due marchi (diversi tra loro, una V rovesciata e una sorta di N inversa) sullo stesso capitello. Ma se trovassimo una spiegazione per ogni cosa, che due passi nel mistero sarebbero?
Siamo adesso giunti nuovamente alle absidi e il pilastrino n. 15 si trova tra l'abside centrale e l'absidiola destra; su di esso è opportuno soffermare l'attenzione perchè troviamo due lettere o segni incisi: uno sulla base e uno lungo il fusto, sulla stessa direzione (ovest) e sono simili tra loro. Pochi passi e raggiungiamo il pilastrino n. 16, tra l'absidiola destra e il muro perimetrale.
Sul capitello troviamo due croci scolpite sormontate dalla stessa coroncina (una verso ovest e l'altra verso nord). Procediamo lungo il muro perimetrale, dove troviamo le colonne dal 17 al 20, dove si concluderà la "cerca" (anche perchè colonne e pilastri sono finiti). Alla colonna n. 17 non emerge nessun segno; sulla successiva, n. 18, lungo il fusto in direzione nord, spicca una bellissima incisione (forse una lettera L sdraiata e apicata). Non si deve avere fretta di proseguire perchè, prestando attenzione, sul pavimento del gradino accanto alla colonna si noterà un'altra lettera (una M?) o marchio dei costruttori. Le lastre pavimentali sono molto consunte e i segni di usura possono ingannare, ritenendoli a torto intenzionali?
Alla successiva colonna andiamo via senza troppo indugiare perchè priva di ciò che stiamo cercando (sia bene inteso che -come opere d'arte- vanno tutte ammirate e contestualizzate nella loro diversità).
Siamo arrivati alla n. 20, l'ultima e la più scura di tutte, ubicata a ridosso  del muro (abbiamo la rampa alla nostra destra). Essa presenta due segni incisi: lungo il fusto, in direzione sud, fa bella mostra di sè una A rovesciata (o marchio) mentre una croce è visibile sul lato sud della colonna, sempre lungo il fusto. E' una croce incisa con tratto fine, che si differenzia nettamente da quella della colonna 14.
Chi ha lasciato questi segni? I pellegrini? Forse quest'ultima croce sì ma gli altri somigliano troppo ai marchi dei lapicidi che abbiamo incontrato in molti nostri sopralluoghi. Abbiamo confrontato il "corpus" di quelli catalogati nella cripta di San Filastrio con quelli che siamo riusciti a catalogare nella fortezza francese di Aigues Mortes (caratterizzata da una impressionante presenza di questi marchi; ne sono stati censiti oltre 600, ripetuti su quasi ogni pietra), trovando una corrispondenza per alcuni. Allo stesso modo abbiamo comparato i segni di questa cripta con alcuni trovati sulla facciata "bugnata" del Gesù Nuovo a Napoli, trovando un paio di corrispondenze. Questo significa che una determinata famiglia o gilda di costruttori itineranti poteva usare lo stesso segno di generazione in generazione e a distanze geografiche e/o cronologiche diverse.
Sulle colonne si possono notare anche altri graffiti, ma non aventi caratteristica di "marchi" come invece hanno quelli descritti fino ad ora: sono probabilmente stati lasciati dai pellegrini o da qualcuno in epoche imprecisate. Sappiamo che la cripta fu chiusa per tre secoli (dal 1572 al 1871. In quel periodo nessuno poteva scendere nello scurolo, anche perchè si era via via riempito di detriti. Dopo i restauri di fine XIX secolo, la cripta assunse l'aspetto odierno; come accennavo all'inizio, nei decenni scorsi la trovai spesso chiusa e a volte con il pavimento allagato. Se qui, in epoca romana si trovava la domus che comunque utilizzava canalizzazioni (come dimostrano le suspensurae), è assai probabile che vi sia acqua al di sotto dell'edificio. Oggi comunque l'ipogeo è stato restituito ai fedeli e ai visitatori che, vistando il meraviglioso Duomo Vecchio, possono scendere e scoprire questo gioiello (la seconda chiesa più antica della città, dopo S. Salvatore in Santa Giulia), in cui è ancora possibile riconoscere gli antichi marchi identificativi dei lapicidi [1]. Un lavoro interessante sarebbe quello di verificare la presenza degli stessi segni in altri edifici di Brescia. Il periodo in cui questi marchi sono stati fatti è ancora un enigma: è verosimile che le colonne siano state collocate in situ già marchiate (i segni potevano servire anche per un preciso posizionamento nella cripta), così come quelli sulle basi e sui capitelli.
Tuttavia è evidente, osservando l'insieme, che base, colonna e capitello non sono nati tutti insieme ma, a causa delle vicissitudini patite dall'ipogeo, è possibile che parti di esse siano state recuperate in epoca romanica dalla primitiva cripta carolingia (se non da un precedente edificio romano); inoltre è ipotizzabile che durante la chiusura dei secoli XVI-XIX e l'accumulo di detriti, alcune potrebbero essere cadute e quando la cripta è stata restaurata le colonne siano state ricollocate a discrezione dell'architetto. Ma questo sarebbe forse facilmente appurabile consultando i disegni dell'esecutore del restauro, arch. Arcioni, che dovrebbero ancora essere conservati negli archivi.
 
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