I "Morti dell'Arca" e il mistero del villaggio scomparso di Mazano

tra Spirano e Cologno al Serio (BG)
 
(a cura di Marisa Uberti)
 
  • Introduzione

Le nostre ricerche ci conducono sovente lontano, al di fuori del territorio bergamasco in cui viviamo. Spesso fuori dalla nostra regione, in giro  per l’Italia e frequentemente anche oltre, per scoprire tradizioni, culture e misteri sempre nuovi. Questa volta, però, non dobbiamo fare molta strada per incontrare un interessante e secolare enigma: faremo infatti proprio “due passi” da casa nostra, per conoscere e raccontare il mistero di Massano (o Mazano, Magiano per altri autori), un fiorente villaggio sorto in epoca alto-medievale e del quale non resta più nulla. Come non vi è più alcuna traccia dell'antichissima chiesa di Santo Stefano, che serviva l'abitato. Quando, come e perchè sono scomparsi? Quando erano sorti? L'abitato, stando agli esigui scavi condotti, potrebbe essere sorto addirittura su una villa rustica di epoca romana, eppure quasi nessuno ne ha sentito parlare, se non chi è strettamente addetto ai lavori o abita nei dintorni. Non mancano alcune pubblicazioni in cui l’argomento è stato trattato[1] ma difettando scavi archeologici sistematici non se ne conosce tutt’ora la reale portata.

  • Ubicazione geografica

Il territorio di cui stiamo parlando si trova nella bassa pianura bergamasca, a meridione di Bergamo e a due chilometri a ponente di Cologno al Serio. L’area è attualmente ubicata in aperta campagna, prossima alla zona dei Fontanili del Conzacolo (situati nel comune di Spirano ma a ridosso del comune di Cologno); è caratterizzata da grandi appezzamenti di terreni privati coltivati tra i quali emerge, solitaria, una piccola chiesa (più che altro una cappelletta) denominata “Morti dell’Arca”. L’edificio è apparentemente privo di importanza architettonica, ma riveste (come vedremo) una grande memoria storica.

Mappa catastale con l'indicazione dell'insediamento di "Magiano gia presente nel Medioevo". Come vedremo, è più probabile che si chiamasse Mazano. Nell'area circoscritta da un tratteggio rosso sono collocati due siti archeologici tratti dalla Carta Archeologica della Lombardia: la legenda ne qualifica uno come "villa rustica tardo romana" e l'atro come "sito da definire"

  • La Chiesetta dei "Morti dell'Arca"

La chiesetta è meta di discreta devozione sia per i colognesi che per gli spiranesi, e costituisce anche una meta escursionistica a piedi o in bicicletta, soprattutto nella bella stagione. Dalla Sp 123 che collega Cologno e Spirano, si stacca un sentiero (segnalato da un piccolo cartello indicativo) contrassegnato dalla presenza - sulla destra - di una stele, chiamata "Stele dei Morti dell'Arca" su cui si trova un'iscrizione:

Requiem Aeterna

A voi

O cari

Miracolosi morti

Dell’arca

Proteggeteci

 

 

L'epigrafe può risalire all'epoca dell'erezione della chiesina (fine XIX secolo) mentre la fattura della stele (incassata in una muratura moderna) sembra tutt'altro che recente e potrebbe appartenere al periodo tardo-antico. Ma chi sono i Morti dell'Arca e perchè vengono appellati miracolosi? Che relazione hanno con il villaggio scomparso? Lo scopriremo tra poco. Il sentiero sterrato prima si allarga (permettendo anche di parcheggiare qualche automobile), poi si restringe divenendo un bel viale fiancheggiato da cipressi. Il tutto è immerso in ambiente agreste di grande respiro. Alcuni volontari si prendono cura della manutenzione e del decoro sia del percorso votivo che si conclude alla chiesa dei Morti dell'Arca[2] che della chiesa stessa.

Costruita nel caratteristico mattoncino rosso alla fine del XIX secolo dagli abitanti di Cologno al Serio, è costituita da un portichetto aperto verso oriente e coperto da una volta intonacata; nell’esiguo interno, a pianta quadrata, si osserva un pavimento in parte in pietra e in parte in cemento. Un’apertura ad arco in rilievo di tre gradini, chiusa da inferriata con rete metallica, conduce al presbiterio, che è illuminato da due finestre ad arco a sesto acuto.

Ai piedi di questi gradini vi è un chiusino che copre un deposito di ossa umane ed è da questa preziosa testimonianza materiale che parte il nostro incredibile racconto. A chi appartengono quelle ossa? Come mai si trovano qui? Si potrebbe rispondere che –come sovente accade – si tratta dei morti di peste che ha imperversato in questi luoghi a più riprese e di cui la più famosa è certo quella del 1630. In realtà non è così. Vi è qualcosa di molto più antico e misterioso sepolto sotto questa piccola chiesa: un'arca (sarcofago) che è tutto ciò che resta di intero villaggio che si chiamava Massano (secondo alcuni Magiano), dotato di una chiesa intitolata a Santo Stefano, che era già del tutto scomparsa nella prima metà del 1500, insieme al borgo. Cercheremo di esaminare le fonti disponibili, tenendo ora presente che la Cappelletta dei Morti dell’Arca è una memoria molto importante, l’unica sentinella di un passato dimenticato, non una generica chiesetta campestre di poco conto.

  • Il toponimo e il miracolo

La denominazione “Campo dell’Arca” compare nella prima metà del XIX secolo e si lega alla presenza di un sarcofago o arca che, in epoca imprecisata, giaceva in abbandono sul margine del campo, finchè sarebbe stato portato a casa da un contadino con l’intento di farne un abbeveratoio per i suoi animali. Leggenda narra che il pesante avello tornasse misteriosamente nel suo luogo originario, lasciando sbigottito il bifolco che, da parte sua, riprovò a trasferire nuovamente il sarcofago nella propria abitazione. Non ci fu verso: riprovò diverse volte e sempre l’arca tornava nel campo. Si decise quindi che si trattava di un prodigio e si pensò di costruire, tempo dopo, la Chiesa dei Morti dell’Arca a ricordo di quel fatto miracoloso; questa è la leggenda, poi vedremo cosa dice la storia.

  • Il fascino del mistero del villaggio sepolto

Nessuno ricordava, a quel tempo, né l’esistenza di un villaggio né di un'antica chiesa, essendo già scomparsi da molti secoli ma nella tradizione orale si vociferava che qualcosa vi fosse, sotto il terreno arativo. Frammenti di laterizi, cocci, ossa venivano in superficie durante i lavori agricoli! E’ interessante che nella prima metà del XIX secolo reggesse la parrocchia di Spirano mons. Giacomo Capitanio, che era protonotario apostolico (quindi considerato persona attendibile); in qualità di amministratore della parrocchia stessa, egli eseguì una ricognizione dei benefici e degli oneri che gravavano su di essa. Anche se indirettamente, si trovò ad interessarsi al Campo dell’Arca, di cui tramandò una memoria in base alla quale veniamo a sapere diverse notizie interessanti che fanno riferimento ad un atto notarile[3] e di un altro istromento[4] cinquecentesco relativi all’erezione di una Cappellania Adelasio eretta all’altare di S. Stefano nella chiesa di S. Benedetto in Bergamo, ed avente per dote i fondi dell’antica chiesa di S. Stefano di Massano, che a quel tempo era del tutto scomparsa (altrimenti l’Adelasio non avrebbe potuto erigere una Cappellania nella chiesa di S. Benedetto di Bergamo[5]).

I campi dove sorgeva la chiesa si chiamavano di S. Stefano di Massano e in quel sito si diceva essere esistita una chiesa con tal nome di cui a quell’epoca (1520-’30) non rimaneva più alcuna traccia, se non nella diceria del popolo ma nessuno, per quanto anziano, poteva dire di averla vista o di aver parlato con qualcuno che l’avesse vista. Tutto ciò che restava erano mucchi di sassi e spinai (dove oggi sorge la Chiesa dei Morti dell’Arca che, al tempo della memoria di mons. Capitanio, non era ancora stata costruita). Un testimone presente al momento dell’atto notarile (don Tonino de Bonghi, Canonico Primicerio della Cattedrale di Bergamo, uno dei due beneficiati del titolo di S. Stefano di Massano, che possedevano, cioè, quei campi) citò tre archeche esistevano ad uso di sepoltura secondo la costumanza degli antichi” e aggiunse che “al presente non si hanno elementi per dire se sia esistita una chiesa né che vi sia qualche avanzo o segno di una chiesa (eccetto le tre arche), ma solo un mucchio di pietre e di sterpaglia”. Verso quelle arche non vi era alcuna forma di venerazione né concorso di gente, fu specificato. Gli altri tre testimoni[6] non fecero menzione dei sacelli.

Una conferma di quanto raccontato da don Tonino de Bonghi arrivò qualche decennio più tardi, nel 1575, in occasione della visita pastorale del cardinale Carlo Borromeo alla parrocchia di Cologno. Il cancelliere annotò che della chiesa di Santo Stefano “apparent vestigia et arca marmorera magna lapide operta” (si possono vedere solo i resti e un’arca marmorea coperta da una grande lastra). Molto interessante: non si capisce infatti perché, nel 1520-’30, don Tonino negasse la presenza di seppur minime vestigia della chiesa. Egli aveva però fatto menzione di tre arche ma nel 1575 il cancelliere del Borromeo ne constatava solo una: dov'erano finite le altre due?

Se dai documenti emergeva l'esistenza di una chiesa di S. Stefano de Mazano, si doveva pure trovare qualche riferimento alla località di Mazano in cui la chiesa si trovava. Vagliando la succinta letteratura pubblicata, emerge un dilemma relativo al nome che avrebbe avuto il villaggio: Magianum (Magiano) o Mazano (Massano)?  Oppure sono la medesima cosa, anzi il medesimo luogo? Secondo Giacomo Drago[7] (1967) si. A sostegno della sua tesi, lo studioso propose alcune illustri citazioni, come quella dello storico e archivista bergamasco Mario Giuseppe Lupi (1720-1789), il quale ritrovò un documento risalente all’anno 871 in cui si fa riferimento ad un Taidone di Magiano, padre di un diacono della chiesa bergamasca di nome Teoderolfus. Quest’ultimo, insieme ad un Adelberto de Magiano intervenne in un atto di vendita dei fondi di Oleno[8]. Altre pergamene di compra-vendita di fondi in località limitrofe a Cologno e di quel periodo, riportano i nomi di abitanti di  Magiano (Adelongo da Magiano, Johannis de Magiano e suo figlio Richardi) e questo, stando al Drago, sarebbe significativo per identificare il villaggio situato nel Campo dell’Arca con Magiano. Nel marzo 1240 la località denominata “Mazano” è citata in un documento  in cui compare anche il nome della chiesa di S. Stefano. L’importante testimonianza è una pergamena dell’Archivio Capitolare di Bergamo[9] che tratta dell’investitura del beneficio fatta dal can. Alberto Braganioli e che nel passaggio che ci interessa recita «obizo et Paganus clerici ecclesiae S. Stephani de Mazano de Colonio Urici».

C'è poco da equivocare, è chiarissimo. Poco più tardi, nel 1260, si ritrova lo stesso toponimo nell'elenco dei censi dovuti dalle chiese  locali a quella di Roma: «In Plebatu de Gisalba… ecclesia sancte Marie de Colonio, ecclesia sancti Georgii de Colonio, ecclesia sancti Stephani de Mazano, ecclesia S. Gervasii et Protasii de Spirano, ecclesia S. Laurentii de Urniano”. Tutte queste località sono facilmente riconoscibili (Ghisalba, Spirano e Urgnano sono tutti paesi confinanti con Cologno al Serio; il fatto che compaia Mazano implica che la citata chiesa di S. Stefano si trovasse proprio in mezzo a quei paesi, e “in quella parte della pieve di Ghisalba situata alla destra del fiume Serio”, afferma il Drago). Un registro con il computo delle decime da versare nelle casse del signore di Milano Bernabò Visconti datato 8 maggio 1360[10], non solo menziona la chiesa di S. Stefano de Mazano ma ci consente di sapere che a quell’epoca essa fosse ancora esistente e, ritiene il Drago, anche la comunità che serviva, cioè il villaggio. Vi erano infatti tre sacerdoti addetti: Albertus de Petergallis, Presbiter Petrus de Urniano, Federicus Mascharonum.

 

  • A questo punto noteremo che mentre accanto al toponimo “Magiano” non compare il titolo di nessuna chiesa, accanto a quello di “Mazano” vi è sempre il nome della chiesa di S. Stefano. Per questo (unitamente ad altri elementi)  alcuni studiosi dissentono dal Drago, ritenendo che Magiano e Mazano siano due luoghi distinti.
Prima del Drago, il fascino di questo secolare mistero lambì la mente di un valente abate, Giuseppe Bravi (1784-1865), dal 1817 parroco di Cologno al Serio. Egli scrisse un libretto di storia locale[11] nel 1864 nel quale non mancò di discettare sull’antica presenza di uno scomparso villaggio chiamato S. Stefano di Massano i cui ruderi, con il passare dei secoli, invece di diradarsi aumentavano  (forse i mezzi agricoli smuovevano qualcosa che si trovava sepolto nelle zolle)! Don Bravi si rifece, nella sua pubblicazione,  ad alcuni scavi empirici eseguiti nella prima metà del XIX secolo da don Andrea (o Giuseppe) Polliani di Cologno, che oggi paiono sguarniti dei principali requisiti: furono privi di rilevamenti grafici e purtroppo anche di una relazione dettagliata. Le uniche  note (ma comunque importanti) che ci sono pervenute dal Polliani citano testualmente: “Nei fondi poi detti dell’Arca, lontani da Cologno verso sera un miglio e mezzo circa, e segnatamente in quelli costituenti la Cappellania Adelasio, della nobile famiglia di questo cognome abitante in Spirano, i depositi mortuari e i ruderi di case sono moltissimi e tali da appalesare che ivi erano molte abitazioni, chiesa con campanile, ecc.”. Al di là della mancata applicazione di un metodo scientifico di scavo, le affermazioni di don Polliani sono sorprendenti, se pensiamo che nessuno di coloro che era presente all’atto notarile del 1520 accennò a questo, anzi l’unico che ammise la presenza di tre arche sepolcrali fu don Tonino de Bonghi, il quale negò tuttavia ogni tipo di vestigia visibile che lasciasse ipotizzare un abitato nel Campo. Il fatto è che ripetutamente i contadini si imbattevano in cocci, frammenti di laterizi, ossa … In pratica stavano staccando il passato dal suo oblio e i morti dalle loro tombe.
A sud e a ovest dell’attuale Cappella dei Morti dell’Arca (che a quel tempo non esisteva) puntarono in particolare gli scavi di don Polliani al fine di stabilire che fondo di verità avesse la tradizione popolare che insisteva nel sostenere la presenza, in epoche antiche, di molti abitanti nel villaggio scomparso e una chiesa con un convento di frati.  Don Polliani rinvenne moltissimi cadaveri sepolti, in maggior parte fanciulli e giovani; in particolare scoprì un reperto archeologico degno di attenzione: un sarcofago di granito bianco con coperchio letterato, cioè con iscrizione. Vi erano riportati i nomi di sei individui, che  secondo lui erano stati sepolti insieme in un comune tumulo. Il coperchio fu portato dal Polliani nella propria abitazione[12]. In verità, successive precisazioni sono pervenute da chi ha potuto studiare meglio il reperto (Fiorilla 1987) portando alla conclusione che non si tratti di un coperchio di sarcofago ma di un grande mattone che porta inciso un promemoria per una fornitura di laterizi scritto nell’antica fornace[13].
 

Dettaglio del mattone inciso a crudo e a mano libera con sei nomi di persona, quattro germanici e quattro romani; ciascuno di essi reca accanto un diverso numero di asticciole

 

Ad una delle sue estremità e nella direzione della larghezza presenta incise sei righe in caratteri corsivi, le quali occupano 12 cm della sua lunghezza; tali caratteri evidentemente impressi a crudo a mano libera offrono «un criterio paleografico sicuro perché siano assegnati - dice il Mantovani - agli ultimi periodi del sec. VIII o ai primi del sec. IX d. C.» (Drago, cit.). Ciascuna riga comincia con un nome di persona e termina con differente numero di asticciole verticali e parallele, che hanno destato interrogativi e fatto avanzare diverse tesi[14].  La più credibile è che si tratti di un comunissimo computo di opera prestata dai sei operai della fornace. Appare interessante che quattro dei nomi siano di origine germanica e due di matrice romana (Ursolos e Domeneco).

anderado / / / / / / / / / / / / / / /

ursolos / / / / / / /

garibaldo / / / / /

domeneco / / / / /

gaidoaldos / / / / / / / / /

austermundo / / / / / / / / / / / / / / /

 

Oggi il mattone è custodito nel Civico Museo Archeologico di Bergamo.

Don Polliani raccolse tutte le ossa che riuscì a trovare e le depose in una fossa comune  che ora si trova sotto il pavimento della Chiesa dei Morti dell’Arca, costruita probabilmente proprio allora per ospitare quei poveri e anonimi resti.  Il prete-archeologo scoprì anche le fondamenta di una piccola chiesa e quelle di un attiguo campanile e altre mura all’intorno (Bravi, 1864). Possibile che di tutto ciò non abbia sentito il bisogno di fare dei disegni, degli schizzi, una relazione? Sembrano ritrovamenti importantissimi!

Ma tutto questo è sufficiente per affermare con certezza che esistesse un borgo cospicuo, densamente insediato, con una propria chiesa e addirittura un convento di frati? Vediamo gli sviluppi di questa intrigante indagine.

  • Gli scavi archeologici di superficie

Gli scavi di don Polliani portarono ad un certo accumulo di frammenti di laterizi provenienti dalle sepolture “campestri”[15] (ma un tempo pertinenti alla chiesa e al villaggio), che furono ammonticchiati ai margini del campo. Del sarcofago non se ne seppe più nulla e la logica induce a ritenere che si trovi nelle fondamenta della Chiesetta dei Morti dell’Arca, insieme ai tanti resti ossei recuperati dal sacerdote. Come si è già accennato, togliendo il coperchio del chiusino situato ai piedi dei gradini che introducono all’altare si possono tutt’oggi vedere frammenti di ossa umane. Per questo il piccolo edificio riveste grande importanza, essendo l’unica memoria del misterioso villaggio, dei suoi abitanti e della chiesa di Santo Stefano de Mazano. Si è pure già alluso al fatto che di tanto in tanto venivano fatti ritrovamenti occasionali da parte dei contadini che aravano i loro terreni e della tradizione orale inerente il Campo dell’Arca.

Perciò, nei primi anni ’90 del secolo scorso, gli archeologi della Soprintendenza hanno effettuato delle indagini di superficie in seguito alle quali sono emersi interessanti manufatti: frammenti di vernice nera, di terra sigillata, di ceramica comune, di tessere di mosaico che non dovevano appartenere al villaggio alto-medievale ma ad una struttura più antica! Probabilmente a una villa rustica tardo-romana sulla quale si sarebbe successivamente impiantata un’area sepolcrale (Poggiani Keller, 1992). La necropoli a che periodo deve ascriversi? Le ossa ritrovate da don Polliani sono relative a periodi diversi? Da quando e fino a quando si è inumato, in quel Campo? L’unico reperto che sembra avere una data certa è l’interessante mattone alto-medievale. Soltanto uno scavo approfondito potrebbe dare delle risposte.

  •  Da villa rustica tardo-romana al villaggio di Massano: ipotesi

La tipologia della villa rustica era caratteristica delle campagne: sostanzialmente si trattava di una residenza padronale[16] attorno alla quale si situava un complesso di edifici e di terreni destinati alla produzione agricola oppure veniva realizzata come luogo di riposo (otium). La villa rustica aveva funzioni di fattoria ed era generalmente abitata in pianta stabile da servi o schiavi che lavoravano per conto dei padroni ed erano supervisionati dai sorveglianti sotto la direzione di un vicario del signore, il villicus. Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e le invasioni barbariche, i latifondisti – per tenere soggiogati i coloni al fine di scongiurare ribellioni – assoldavano i barbari come milizie. In quel periodo vi fu anche lo spopolamento dei centri urbani  e molti scelsero di assoggettarsi ai signori per ottenere protezione e sussistenza (in cambio di duro lavoro). Con l’arrivo dei Longobardi[17] le ville rustiche (che iniziarono a chiamarsi curtis[18]) poterono rimanere nelle mani dei latifondisti che dovevano però versare delle tasse (diremmo oggi) molto salate ai nuovi venuti. La dimensione delle curtis (che potevano essere laiche o ecclesiastiche) andava da un minimo di 100 ettari e poteva raggiungere i 10.000 ettari se includevano aree boschive. La Pars Rustica (che più tardi si denominò Pars Massaricia) era divisa in appezzamenti di 5-30 ettari chiamati mansio, affidati al singolo colono. I mansi liberi da sudditanza prendevano il nome di allodali e si potevano unire in villaggi. E’ forse questo ciò che accadde nelle campagne a ponente di Cologno? Un' ipotesi di don Maffioli di Spirano ci pare stimolante: egli ha supposto che il termine toponomastico Massano sia una corruzione del termine latino medievale mansum (dimora) derivazione del latino mansus[19] e più probabilmente massaricium in riferimento a un podere oppure a una villa di campagna con annesso rustico.

Mansio (plurale mansiones[20]) è un termine che designa anche una stazione di sosta lungo una direttrice e attrezzata per ospitare persone, viandanti, cavalli e armeggi. Poteva essere il caso di Massano? Che strada passava da lì, a quel tempo? Doveva rivestire una certa importanza … E il villaggio doveva avere dei rapporti con altri villaggi vicini o prossimi, specialmente con quelli del limitrofo paese di Spirano. Doveva esservi una rete di interazioni di cui non sappiamo nulla. E la chiesa del villaggio, dedicata a Santo Stefano, quando fu costruita?

Prima di un edificio di culto cristiano, poteva esistere un tempietto pagano, in epoca romana, perché questa era la consuetudine. Poteva anche esistere solo un altare dedicato a qualche divinità romana propizia all’agricoltura, ai raccolti, alle acque (di cui la zona è ricca). I Longobardi si convertirono al Cattolicesimo tra la fine del VI secolo e l’inizio del VII secolo d.C. Potrebbe risalire a quel periodo la realizzazione della chiesa di S. Stefano? Non va dimenticato che la prima cattedrale costruita dopo la conversione dei Longobardi stessi, a Pavia, fu intitolata proprio a S. Stefano, forse come simbolico omaggio al “protomartire” cristiano. Anche tra i Franchi di Carlomagno[21], che presero il posto dei Longobardi nel 776 ca, questo santo fu molto venerato e gli furono intitolate numerose chiese. Per la prima volta e proprio sotto i re Franchi, compare il nome del paese di Cologno nei documenti: il primo, un atto di compravendita, risale all’anno 843 e menziona un tale Sthephanus de Colonias. Nel 949 un altro documento  cita Gisulfi de Coloniex;  nell' anno 960 Laudverti qui et Amolo de Vico Colonias. Durante il regno carolingio si menziona per la prima volta in un documento anche la Strada Francesca, ancora oggi tra le più trafficate arterie di collegamento Brescia-Milano[22]. Staccandosi dalla Sp ex SS 573 nei pressi di Mornico al Serio, il suo tragitto inizia da Ghisalba e, procedendo verso ovest, attraversa Cologno, Urgnano, Spirano, Pognano, Ciserano, terminando nel territorio comunale di Pontirolo Nuovo. Il 12 agosto 875 morì a Brescia Ludovico II, figlio di Lotario, e il suo corpo fu portato nella Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, transitando per i paesi che abbiamo citato ed è in quell’occasione che fu menzionata per la prima volta la Strada Francesca. Va detto che essa doveva già esistere in epoche remote, tuttavia fu con i Franchi che venne riattivata e chiamata “Francesca”: veniva percorsa da coloro che dalla Francia, giunti a Milano, dovevano recarsi a Verona, a Venezia e quindi in Oriente. Chiaramente era una strada molto più piccola di quella odierna, che seguiva probabilmente un tracciato spostato un poco più a nord; alla sua manutenzione dovevano concorrere tutti i comuni che attraversava.

  • La chiesa di S. Stefano de Mazano e la scomparsa di ogni traccia

Tutto quanto detto poc’anzi potrebbe aiutarci a capire l’epoca di costruzione della chiesa di S. Stefano de Mazano? Vediamo di fare il punto della situazione. Come abbiamo già visto precedentemente,  essa dipendeva dalla Pieve di Ghisalba. Quest’ultima, intitolata a San Lorenzo, viene però citata solo a partire dal 1063[23] (si configura comunque come una delle più antiche della Diocesi di Bergamo). Una grossa lacuna perché è probabile che la chiesa di Mazano (Massano) esistesse già da tempo. La plebania di Ghisalba si estendeva su un territorio molto vasto che comprendeva fin dalla sua costituzione le parrocchie di Martinengo, Romano, Malpaga, Cividate, Bagnatica, Cortenuova,Calcinate, Mornico, Spirano, Cologno, Urgnano, Zanica, Comun Nuovo.

Secondo don Maffioli l’abitato di Massano sopravvisse fino all’VIII-IX secolo, dopodiché l’unico residuo fu il permanere nella toponomastica tradizionale del nome di S. Stefano di Massano e di un beneficio ecclesiastico. Ma nel censo del 1260 Ghisalba risultava insignita del titolo di “caput plebis” e le erano sottoposte una serie di chiese, tra cui appunto quella di Santo Stefano de Mazano[24], che quindi era attiva. Inoltre nel 1360 troviamo ancora citati ben tre sacerdoti addetti, ma addetti a cosa? Alla cura delle anime? Ma se non vi abitava più nessuno... Troppe incongruenze. Come poteva essere sparito il villaggio ed essere rimasta la sola chiesa senza servire nessuno? A meno che la chiesa, rimasta sola nel villaggio che lentamente si sgretolava e orfana dei fedeli che potevano essersene andati per motivi che non conosciamo, sia diventata una Cappellania, cioè “un ente ecclesiastico sorto per volontà di un fedele con i beni da lui stesso forniti allo scopo di adempiere a un fine di culto che egli ha indicato” (il più frequente è la celebrazione di S. Messe). Abbiamo precedentemente visto, infatti, che nel 1520 i proprietari di quella Cappellania erano gli Adelasio di Spirano, che poterono trasferirla nella chiesa di San Benedetto a Bergamo perché quella di S. Stefano de Mazano non era più esistente né si potevano individuare tracce della sua esistenza. Ma da quanto tempo la famiglia Adelasio deteneva la Cappellania sulla vecchia chiesa di Massano? Una Cappellania può essere eccleasiastica o laicale (v. approfondimento); un cappellano è un sacerdote cui è affidata l’ufficiatura di una cappella o di un oratorio senza cura d’anime. Questo è un aspetto interessante...

Tornando all’abitato di Mazano, ci chiediamo se fu distrutto in breve tempo oppure se decadde gradualmente fino ad essere completamente abbandonato. Ma quando accadde? E’ verosimile, come supponeva don Maffioli, la data del IX secolo? Forse si può pensare al fatto che frequenti lotte abbiano coinvolto la bassa pianura a più riprese, e che gli Ungari in più occasioni  (903-909) devastarono ogni cosa che incontrarono. ”Piombavano sulle popolazioni inerti e con le loro frecce le uccidevano […] Essi però, obbligando il popolo a ripararsi, involontariamente suggerirono l’ erezione di mura e di castelli, germi dei futuri comuni” (Drago). Potrebbe essere che, divenute meno sicure le campagne, la popolazione si sia concentrata attorno al nascente borgo murato e al castello. Quindi abbia abbandonato i villaggi rurali come poteva essere quello di Mazano/Massano; gli edifici gradualmente crollarono e furono fagocitati dalla vegetazione o dalle zolle di terra[25], che ogni tanto ne restituisce ancora dei frammenti. Nel 1520-’30 non rimaneva traccia né del villaggio né della chiesa. Solo un labile eco nella memoria collettiva.  E un’arca, ancora esistente nel XIX secolo e che oggi è con ogni probabilità situata sotto la chiesetta dei Morti da cui è partito il nostro racconto.



[1] Siamo partiti anni fa con la lettura di un saggio di don Natale Maffioli, Le origini di Spirano, “Quaderni di storia spiranese” edito dall’Amministrazione Comunale di Spirano nel 1999. Egli dedicò una decina di pagine alla chiesa dei Morti dell’Arca e a Massano (pp. 17-28)

[2] Più volte è stata oggetto di furti vandalici

[3] Atto rogato dal notaio Bolis Baldassarre in Bergamo il 28 Marzo 1520, indizione 8

[4] Datato 6 Marzo 1530

[5] Prima che venisse accolta favorevolmente questa domanda era necessario, per ordine del Papa, che venisse dimostrato non esistere più in quel luogo né chiesa, né abitanti, né sacerdote, atteso che era noto anche a Roma che una volta vi erano tutte queste cose. Fu dunque necessario che Mons. Vescovo di Bergamo mandasse un delegato o suo rappresentante con notaio e testimoni i quali verificassero e rogassero l'atto che nei fondi detti dell'Arche a memoria degli abitanti di Cologno non esistevano più né case, né chiesa. In forza di questo attestato autentico il Sommo Pontefice concesse che tali fondi che una volta erano beneficio curato venissero convertiti in Cappellania da erigersi in Duomo e poi nella chiesa di S. Benedetto in Bergamo (DRAGO, La Storia di Cologno al Serio, 1963. L'opera è stata ristampata a cura dell'Amministrazione Comunale di Cologno in due volumi)

[6] Mauro Carminati di Spirano, affittuario del terreno in oggetto;  Bernardo Beneduci, anch’egli di Spirano e Tommaso Daleffe di Cologno

[7] Drago, op. cit.

[8] Nei pressi di Dalmine, a qualche chilometro da Cologno al Serio

[9] Perg. 3420, K. 12, Et. Stab. 1331, col. 2, t. 56, zib. 118 (Drago, op. cit.)

[10] Il documento fu reso noto da mons. Luigi Chiodi nella rivista «Bergomum», marzo 1957, p. 77 e ripreso da Drago, op. cit.

[11] BRAVI GIUSEPPE, Cenno del paese di Cologno riguardante lo stato presente e il passato, Bergamo, Tip. Pagnoncelli, 1864, p. 25

[12] "Il curioso mattone, dirà Umberto Ronchi, è un prodotto dei fornaciai dell'epoca barbarica e recante il bollo «Senvald» come per altri esemplari rinvenuti durante l'esecuzione di scavi a Milano nell'area dell'antico Lazzaretto, fuori porta Venezia. Il cotto, che era stato dato per disperso dal Mazzi, giaceva invece dimenticato e negletto fra i materiali della Civica Biblioteca e passerà probabilmente in dotazione al Museo Archeologico di piazza Cittadella collocato in luogo distinto" (Drago, La Storia di Cologno al Serio, 1963)

[13] L'archeologo Stefano Borsetti parlando del rinvenimento su Notizie Patrie del 1858 ritenne di doverne riconoscere l'epoca di fabbricazione fra l'800 ed il 900.  Il mattone è di bella pasta e perfetta cottura, ha dimensioni notevoli in quanto  ha uno spessore di cm. 9, è lungo cm. 50, largo cm. 37. La d.ssa Poggiani Keller (Modena, 1992) data il reperto tra l’VIII e il IX secolo d.C. (Drago, op. cit.)

[14] “Se ne ipotizza l’utilizzo come promemoria di un’ordinazione di una partita di laterizi” (R. Poggiani Keller, Modena, 1992, p. 72, riportato da Maffioli, op. cit. p. 24)

[15] I resti più significativi furono consegnati al Museo locale (di Bergamo?), secondo don Natale Maffioli (op, cit., p.26)

[16] Pars Dominica, riservata al dominus e ai suoi familiari e la Pars Rustica per la servitù e i lavoranti dell’azienda agricola

[17] Nel 568, con a capo Alboino, lasciata la Pannonia entrarono in Italia per le Alpi Giulie e dal Friuli si portarono nel Veneto, occuparono Vicenza, Verona, Bergamo, Cologno al Serio ed infine Milano il 3 settembre 569 (Drago, op. cit.)

[18]La cosiddetta “economia curtense” fu una fase di passaggio tra l’economia della Villa Rustica romana e quella della signoria fondiaria del feudalesimo (che si affermò nel regno dei Franchi). La corte includeva normalmente una Cappella provata dove si svolgevano le S. Messe e si somministrava il sacramento del Battesimo

[19] Participio passato di manere, cioè fermarsi, rimanere

[20] In epoca imperiale romana la mansio era una stazione collocata lungo una strada romana, gestita dal governo centrale e messa a disposizione di dignitari, ufficiali o di chi viaggiasse per questioni di stato; gli ospiti si identificavano tramite documenti che possiamo equiparare ai moderni passaporti

[21] Il territorio fu diviso in circoscrizioni rette da un conte di cui era centro la città, coll'antica circoscrizione dei luoghi secondari castelli («Castella»); i minori in borghi e villaggi (vici) (Drago, op. cit.)

[22] E’ conosciuta come Strada Provinciale 122 (Sp 122) ed è parte di un itinerario tra Brescia e Milano, parallelo ma più settentrionale rispetto alla Padana Superiore

[23] In un atto di permuta tra il vescovo di Bergamo Attone e un certo Riccardo “presbite rum et prepositum”

[24] Tra le varie chiese figura anche quella di Santo Stefano “de Cerate de Spirano”, che non esiste più, ma era definita con un altare e “diruta” al tempo della visita pastorale di San Carlo Borromeo (1575). Era una chiesa campestre con il tetto malandato, infatti il cardinale ordinava che fosse riparato; ordinava pure che fosse chiusa con un cancello di legno e fosse demolito l’altare entro tre giorni (bisognerebbe capire perché!)

[25] Le pietre potrebbero essere servite per costruire altri edifici nelle campagne limitrofe? I sarcofagi e/o i loro coperchi, nel corso del tempo, potrebbero essere stati trasferiti in qualche casolare o fatti a pezzi per essere riutilizzati con altra finalità, oppure reimpiegati come vasche o abbeveratoi (sorte toccata a diversi "Massi Avelli" da noi studiati altrove)

  • La bibliografia utilizzata per questa ricerca è debitamente citata nelle relative note
  • Le immagini sono state realizzate da A. Marchetti, M. Uberti eccetto le seguenti: Carta del Paesaggio Storico del territorio di Cologno al Serio (link), le nn. 13-14-15-16 tratte dal libro di don Natale Maffioli (v. nota 1)