Ci si può avvicinare all eremo in macchina?
GIORNO 2
Escursione Eremo di S.Antonio del Mesco
e
Santuario di Nostra Signora di Soviore
(Marisa Uberti)
Escursione ai ruderi dell’Eremo di Sant’Antonio del Mesco, percorso 590 o SVA 10 (Sentiero Verde Azzurro). Ritornati sulla Spiaggia del Gigante a Fegina e ammiratolo ancora un po’, aggiriamo il Circolo Velico Monterosso, dietro l’ex- Villa Pastine, Qui si diramano due sentieri, uno basso e uno alto. Ai piedi di quest’ultimo c’è il cartello con le informazioni sui ruderi della Chiesa di S. Antonio del Mesco, ma siamo incuriositi anche dal sentiero inferiore che dà proprio sul mare e decidiamo di imboccare quello per curiosare un po’dove porti. Lungo il tragitto possiamo ammirare la statua di Nettuno da un’altra angolazione e cogliere ulteriori scorci costieri mai visti.
Superato un piccolo faro, notiamo che il sentiero è malmesso, infatti poco più avanti è chiuso e ne è vietato l’accesso.
Tornati sui nostri passi, al bivio imbocchiamo stavolta il sentiero che si inerpica verso la collina. La fatica è ripagata dai panorami che, man mano si sale, diventano sempre più sublimi. Abbiamo letto che la nostra meta è situata a 313 metri di altitudine e la si raggiunge in un’ora abbondante di cammino. Si tratta infatti di oltre un chilometro e mezzo di strada. Il sentiero è quello che porta da Monterosso a Levanto (e viceversa), che prende tra le 2 e le 3 ore di camminata escursionistica, ma noi non arriveremo a Levanto, bensì ai ruderi dell’Eremo (quindi impiegheremo meno tempo)
La difficoltà di questo itinerario non è tanto nella salita, abbastanza verticalizzata, ma dall’altezza dei gradoni, che in certi punti è veramente eccessiva. Dopo aver percorso i primi 15’ su una scalinata di media pendenza, ci si ritrova su una strada asfaltata, che richiede meno sforzo ma è comunque ripida. In vista dell’Hotel Suisse Bellevue, il percorso si rigetta su una scalinata che attraversa una vegetazione rigogliosa, tra corbezzoli, pini e boschi di leccio e cespugli di timo, ci consente di immergerci nei profumi e nelle atmosfere collinari. Punta Mesco è riconosciuta come Sito di Interesse Comunitario (SIC) dal 1995, perché ospita habitat prioritari per la Direttiva 92/43 CEE.
Da qui il mare è spettacolare, con i suoi colori cangianti; tutto sembra remoto. Qualche pausa è d’obbligo (portarsi acqua e uno spuntino perché non ci sono punti di ristoro né fontanelle) e finalmente, dopo una buona ora di salita impervia, si trova il cartello per i ruderi, proprio nel punto in cui c’è la biforcazione per Levanto e altre località. Prendiamo a sinistra e dopo 5’ di sentiero un po’ sabbioso (in piano), vediamo spuntare i ruderi e veniamo colti da emozione!
Sembrano un miraggio, totalmente immersi nella vegetazione e isolati. I resti di una bella abside romanica, un brandello di muro e un portale a ogiva sono praticamente tutto ciò che rimane dell’antico edificio di culto, che i monaci Agostiniano fondarono probabilmente a metà del XIII
secolo, sulle vestigia di un precedente edificio, forse longobardo. Il punto in cui sorgeva il complesso è infatti strategicamente importante, a dominio di un ampio arco costiero dal quale sono visibili il promontorio di Portofino (a ovest) e tutto quello delle Cinque Terre (a est) fino a Portovenere con le sue isole. Una curiosa struttura quadrangolare è apprezzabile (solo la base) accanto all’abside semicircolare; tale struttura sembra a prima vista il rudere di una torretta di avvistamento o di guardia, benché gli archeologici vi ravvisino un’ abside quadrangolare, che doveva essere il termine di una navatella rettangolare parallela alla navata principale della chiesa. Posta a sud di quest’ultima, era ad essa collegata da un’ampia comunicazione. L’edificio era perciò insolitamente bipartito; anche l’ingresso era insolito, sul lato Nord, ma ciò era dovuto al terreno, che a ovest precipita nel vuoto. Impossibile dunque ricavarvi un’entrata (l’abside è comunque posta ad est).
E’ però risaputo che l’eremo del Mesco fu uno dei punti più importanti per l’avvistamento e la segnalazione di navi corsare saracene. I tentativi di incursione di queste ultime erano così frequenti, nel XVI secolo, che i monaci da soli non erano sufficienti, per questo venivano mandati alcuni uomini dei borghi costieri ad aiutarli: accendevano fuochi notturni e facevano segnali di fumo di giorno, per avvertire la popolazione di eventuali pericoli. Da lassù riuscivano infatti a vedere per primi la comparsa di navi all’orizzonte e a lanciare l’allarme[1].
Esternamente, l’abside mostra ancora le tracce del puro stile romanico: archetti binati separati da lesene con motivi simbolici scolpiti, tra cui una bella croce. Una doppia cornice a dente di sega è ancora visibile, in frammenti, sotto la copertura. I documenti del XIV secolo citano più volte la chiesa come S. Antonio de Armesco; in seguito venne costruito un convento. Nel corso del 1600 i frati decisero di trasferirsi nella vicina Levanto e l’edificio iniziò un irreversibile declino.
Circa cento metri verso il versante sud, troviamo una moderna struttura abbandonata: è il cosiddetto “Semaforo”, una sorta di faro realizzato dalla Marina Militare quando si installò qui sopra nei primi decenni del XX secolo. A quel tempo l’eremo era già in abbandono; ricevette il colpo di grazia perché divenne una cava: le sue pietre furono infatti impiegate per costruire proprio il Semaforo…Divenuto privo di utilità, anche questo venne lasciato a sé stesso e così il sito archeologico di S. Antonio del Mesco passò in consegna alla Soprintendenza Archeologica della Liguria, che negli anni ha avviato opere di consolidamento dei ruderi (purtroppo cadevano letteralmente pezzi lapidei). Sono stati condotti anche degli scavi nella parte nord-ovest dell’edificio ma non ne conosciamo i risultati. S. Antonio al Mesco si trova a 304 m s.l.m, sulla sommità meridionale del promontorio del Mesco e le coordinate geografiche sono le seguenti: 44° 08’ 25” N, 09° 38’ 032 E.
La discesa richiede 50’ (senza soste) e mette a prova i muscoli! Giunti alla "Spiaggia del Gigante" diamo uno sguardo verso Punta Mesco: eravamo lì sopra, a dirlo sembra facile ma arrivarvi - come abbiamo visto- è un'altra cosa. Fatica ma grande soddisfazione.
Visita al Santuario di Nostra Signora di Soviore, sul “Cammino di Santiago”. Stavolta decidiamo di prendere l’auto, reduci dalla precedente escursione. Data la possibilità di accedere al luogo anche dalla carrozzabile[2], preferiamo non strafare con le camminate. Per chi volesse, comunque esiste il sentiero pedemontano che porta al santuario, anzi come abbiamo già detto, che li collega tutti e cinque. Soviore è il nome del monte e il monumento si trova a 418 m di quota, livello altimetrico dal quale si gode di un bellissimo panorama sul mare.
Nei pressi del Santuario c’è anche una foresteria, la cui apertura va dalla primavera a ottobre. Il tempio è molto antico; secondo una tradizione, al tempo delle invasioni longobarde del re Rotari del 629 d. C., gli abitanti veneravano già una scultura raffigurante la Madonna. Cercando di sfuggire agli aggressori scendendo verso il mare, in una località detta “Fontanelle” (situata sotto il Santuario attuale) nascosero sotto terra il manufatto, perché non venisse trovato e distrutto. Passò più di un secolo e la Madonnina era sempre là sotto, finchè un giorno venne ritrovata da un sacerdote di Monterosso, che si aggirava da quelle parti andando a caccia. Egli si era accorto che una colomba bianca, svolazzando nei pressi di una casupola diroccata, spariva. Il giorno dopo il sacerdote portò con sé dei manovali che scavarono e scoprirono la statua di una Madonna con il Cristo morto, sulle ginocchia. Si fa risalire proprio ad allora la costruzione della prima chiesa di Soviore, che vanta dunque il Santuario mariano più antico di tutta la Liguria, nel quale fu portato il gruppo statuario perché la popolazione potesse degnamente venerarlo.
Un luogo molto amato e meta di fervente pellegrinaggio al punto che, nel 1300, si rese necessario costruire una chiesa più grande sopra quella dell’VIII secolo; gli abitanti di Monterosso parteciparono all’opera economicamente e lavorandovi direttamente. Venne realizzato anche un porticato per accogliere i pellegrini in transito sulla Via Romea, che da Roma portava a Santiago di Compostela. L’attuale statua della Madonna con il Figlio morto risale al XIV secolo; l’aspetto più interessante della scultura è che non si tratta di una Madonna addolorata o piangente ma ha un volto sereno e rivolto verso chi la guarda, così il Cristo (nelle dimensioni di figlio-bambino) non ha il capo reclinato ma eretto. Tali atteggiamenti indicherebbero che entrambi sono in attesa della sua Resurrezione. La bellissima e simbolica statua è custodita in una teca nel tabernacolo dell’’altare maggiore, visibile ai fedeli e ai visitatori, tutt’oggi meta di pellegrinaggio. Colpisce anche per le sue dimensioni, che potremmo definire modeste.
Il Santuario venne successivamente ampliato nel XVIII secolo, con il prolungamento dell’edificio e del piazzale. Oggi il visitatore può vedere il perimetro della chiesa del XIV secolo grazie agli scavi che sono stati lasciati a “cielo aperto” (coperti da un cristallo) all’interno della chiesa. Interessante un Crocifisso in cui Gesù ha il capo leggermente piegato verso sinistra (la maggior parte dei crocefissi Lo rappresentano con il capo verso destra). Il cartografo Matteo Vanzoni ha tramandato che a quel tempo la chiesa aveva tre navate e che la volta venne rifatta. I mattoni necessari per i lavori arrivavano via mare e venivano passati di mano in mano fino al Santuario! Don Mentasti dipinse la volta nel 1872 rappresentando le scene più significative della storia del tempio mariano. L’ 11 Maggio 1974 la Madonna di Soviore fu nominata patrona della Diocesi di La Spezia- Sarzana- Bugnato; in tal modo il Santuario divenne il più importante della diocesi stessa.
All'interno si può vedere lo scavo della chiesa precedente, opportunamente lasciato a vista e protetto da materiale trasparente. Ffuori dalla chiesa, sul sagrato, abbiamo notato un disegno tracciato con il colore azzurro, indicante le otto direzioni cardinali.
E domani per noi sarà la direzione del...gusto, provando le specialità del posto con degli amici.
GIORNO 3: apprezziamo la cucina locale
GIORNO 5: Manarola e Riomaggiore
[1] Come già detto precedentemente, nel 1545 la flotta del temibile Draghut riuscì a mettere a ferro e fuoco Monterosso e Corniglia
[2] Tramite la SP 38