L'enigma della sua prima casa: S. Paolo alla Regola o S. Maria in Via Lata?
(Speciale Roma: sulle tracce di S. Paolo)
a cura di Marisa Uberti
Stando alla cronaca narrata negli Atti (28,16), “Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per suo conto con un soldato di guardia”. Dopo tre giorni dal suo arrivo, volle incontrare la comunità giudaica alla quale raccontò le sue traversie; l’uditorio non era informato delle cose che diceva Paolo (delle imputazioni di cui il Sinedrio a Gerusalemme lo accusava né del suo appellarsi all’imperatore): nessuno aveva parlato male di lui con loro. Negli Atti è scritto che – fissato un giorno - in molti si recarono dalla mattina alla sera nel suo alloggio per sentire cosa avesse da dire in merito alla sua testimonianza sul Regno dei Cieli, su Gesù in base alla Legge di Mosè e dei Profeti. Qualcuno aderì alle cose che diceva ma altri non vollero credere e se andarono discordi.
Nei due anni successivi continuò nell’opera di proselitismo: “Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso a pigione e accoglieva tutti quelli che venivano da lui annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo con tutta franchezza e senza impedimento” (Atti 28,30-31). Emerge una notizia interessante per la nostra indagine: Paolo pagava un affitto (pigione) per abitare in quell’alloggio e vi stava con un soldato di guardia (perché era – di fatto - in attesa di giudizio)[i]. Poteva però frequentare la gente e diffondere la dottrina senza che nessuno glielo impedisse (si deduce che non fosse considerato un soggetto pericoloso dai Romani né dalla comunità ebraica). Sorge spontanea una curiosità, per la nostra ricerca: dove si trovava l’alloggio di Paolo a Roma, in quel momento, in quei due anni?
Non è specificato negli Atti ma la questione è stata ampiamente dibattuta tra gli storici (religiosi e laici); chi proveniva dalla Palestina e come Paolo era ebreo, normalmente si stabiliva presso una comunità giudaica (e a Roma vi erano varie comunità, dislocate in varie zone) dove vi potessero essere anche dei parenti. Nella “Lettera ai Romani”[ii] – ritenuta autenticamente frutto di Paolo – l’Apostolo cita dei parenti: “Vi saluta Timòteo mio collaboratore, e con lui Lucio, Giasone, Sosìpatro miei parenti” ma la lettera non fu scritta a Roma bensì – come si ritiene – a Corinto, nella casa di Gaio, trascritta dall’amanuense Tertio (Terzo) sotto dettatura di Paolo; è datata tra il tardo 55 d.C. e il 57 d.C. A quell’epoca Paolo non aveva mai visitato Roma ma aspirava di andarvi. Nelle citazioni dei versetti precedenti, Paolo menziona – per salutarle - una serie di persone (verosimilmente ebree o gentili) che vivevano già a Roma; talvolta specifica essere suoi parenti o erano persone che lo avevano accolto e aiutato, come Aquila e Priscilla, che aveva conosciuto a Corinto e facevano il suo stesso mestiere[iii]. Erano stati allontanati da Roma da un decreto dell’imperatore Claudio: “Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù; per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa e ad essi non io soltanto sono grato, ma tutte le Chiese dei Gentili. Salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa” (At 16.3-5); questi due nomi vanno sottolineati perché avranno un ruolo importante nella successiva predicazione di Paolo nell’urbe. In particolare risultano di interesse tre nomi che Paolo qualifica come suoi parenti a Roma: Andronico, Giunia ed Erodione. “Salutate Andronìco e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia; sono degli apostoli insigni che erano in Cristo già prima di me” (Atti 16.7); “Salutate Erodione mio parente” (Atti 16.11). Interessante: “Salutate Rufo, questo eletto nel Signore e la madre sua che è anche la mia” (un modo di dire?). Quindi di persone a lui care ne aveva parecchie, a Roma; forse qualcuna tra di esse gli sarà andata anche incontro alle Tre Tabernae. Ma come trovare la casa effettiva in cui alloggiò? A Roma, si contendono la risposta due luoghi: San Paolo alla Regola e S. Maria in Via Lata nel rione Pigna. Siamo andati a cercarli e li abbiamo trovati. Seguiteci in questo percorso.
- San Paolo alla Regola e Palazzo Specchi
Un’antichissima tradizione indica nell’attuale quartiere Regola (rione VII) una zona di botteghe per conciare le pelli. Era molto vicino al fiume, tanto che il nome primitivo era Arenula o Renula (rena soffice che ancora oggi il fiume Tevere deposita durante le piene). Per storpiature successive, da Renula si passò a Regola. Ed è qui che troviamo una imponente chiesa in stile barocco, San Paolo alla Regola (lungo la via omonima al n. 6). Nel periodo in cui noi siamo stati in loco (settembre 2024), era purtroppo chiusa ma documentandoci abbiamo saputo che la chiesa sorse su un substrato risalente al periodo augusteo, quando qui sorgevano magazzini e attività connesse al fiume Tevere. Gli scavi archeologici (1978-’82) hanno individuato quattro piani di edificazione con destinazioni d’uso che sono variate nel corso del tempo, su un tracciato stradale che è quello conservatosi fino ai nostri giorni. La presenza di Paolo sarebbe stata perpetuata trasformando la sua stanza dapprima in un oratorio (cappella) e poi in una chiesa nel IV secolo sotto papa Silvestro; quella chiesetta paleocristiana fu chiamata San Paolino alla Regola, per poi venire edificata l’attuale maestoso tempio. Secondo la tradizione, nella sua stanza romana Paolo avrebbe scritto alcune delle sue lettere: quella ai Colossesi, a Filemone, agli Efesini e ai Filippesi.
Avvicinandoci alla chiesa troviamo un foglio su cui è scritto: San Paolo alla Regola. Prima dimora di San Paolo a Roma (in più lingue). Potremmo dire di avere risolto l’enigma? Non proprio. Poco più avanti (al civico n. 16) incontriamo un edificio un po’ fatiscente, il cui ingresso è dotato di un portone verde. Ai lati diverse targhe: su quella a sinistra è scritto che si tratta di Case romane di Via San Paolo alla Regola (e modalità di visita, che abbiamo seguito ma ci è stato risposto che le case non sono al momento visitabili per lavori). A destra una targa malconcia ci informa che all’interno vi si trova (tuttora?) la Biblioteca Centrale Ragazzi. Più spostato vi è finalmente un pannello informativo curato dal Comune di Roma - Sovraintendenza dei Beni Culturali, che qualifica l’edificio: Palazzo Specchi. Ci eravamo preventivamente preparati e sapevamo che nei sotterranei si trovavano le case romane e forse anche quella che aveva ospitato Paolo. Ma, come appena detto, al momento della nostra visita non erano agibili perché interessate da restauri finanziati dal PNNR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Peccato! Il pannello spiega che sono state condotte opere di risanamento dell’edificio, le quali hanno portato alla scoperta di quattro piani di fabbrica di età romana, due dei quali attualmente ipogei. Su questi quattro livelli furono impostate le strutture medievali, che si sopraelevano fino all’altezza visibile oggi. Sono stati trovati: 1) resti di età domiziana (I secolo d.C.), i più antichi e quindi inferiori agli altri (due piani al di sotto del piano stradale odierno); erano locali ben organizzati destinati a magazzini, aperti su un vicolo cieco parallelo al Tevere; 2) resti di epoca severiana (fine II - inizi III secolo d.C.): il complesso di magazzini dell’epoca precedente venne radicalmente ristrutturato, in special modo gli ambienti prospicienti via san Paolo alla Regola. Alcuni locali continuarono a fungere da magazzini, altri furono adibiti ad abitazioni o uffici, in taluni casi dotati di corti e con altezze fino a quattro piani; 3) Vestigia di tà costantiniana fino al VI secolo; 4) interventi di età medievale. Il livello stradale fu alzato anche per evitare che le piene del fiume allagassero di continuo le costruzioni vicine ad esso.
Paolo potrebbe aver lavorato in quei magazzini di epoca domiziana … Gli ebrei a Roma svolgevano numerose attività e sappiamo quella svolta da Paolo: era un fabbricante di tende di tela (vele, sacchi; sapeva trattare bene il cilicium, che era un tessuto di peli di capra o di cammello, v. Guiducci, 2020, cit.). Tale professione necessitava di grandi magazzini nelle vicinanze dell’acqua, cioè del fiume Tevere. Un motivo in più per collocare in questa zona la sua casa e il luogo di lavoro era la necessità che il prigioniero (tale era, anche se con ampie concessioni) non fosse distante dal tribunale romano (insediato in una basilica del Foro) né dalla sede giudiziaria religiosa ebraica. Questo – che in origine era denominato vicus Coriariorum – rappresentava una soluzione ottimale e strategica, perché rispettava queste esigenze.
- Chiesa di S. Maria in Via Lata: la casa di Luca evangelista e di Paolo
Una tradizione contesa con S. Paolo alla Regola ci ha condotto sull’antico tracciato urbano della Via Flaminia presso il Campidoglio, dove avrebbe vissuto l’evangelista Luca (autore degli “Atti degli Apostoli”). Su quella presunta casa attualmente sorge la chiesa di S. Maria in Via Lata, nel rione Pigna. Il termine “Lata” significa “Larga” e coincide con l’attuale Via del Corso. La maestosa chiesa barocca custodisce una storia millenaria. In essa si conserva un dipinto della Vergine chiamato Maria Advocata, una delle copie medievali di un ritratto mariano attribuito a S. Luca, che notoriamente sarebbe stato anche iconografo. Ma è la parte sotterranea della chiesa che risulta interessante per la nostra ricerca: già nel vestibolo delle scale troviamo un’iscrizione latina che dice che il luogo era l’oratorio di San Paolo, dove si trovava l’icona dipinta da San Luca. Qui avrebbe abitato Luca con Paolo, appena giunti in città. Paolo era agli arresti domiciliari in attesa del processo (così è scritto sui pannelli informativi).
Il complesso sottostante la chiesa risale ad epoche antichissime e si dispiega su livelli diversi. All’epoca di Paolo, il più basso doveva essere usato per scopi commerciali come testimoniano due pilastri pertinenti ad un portico che si affacciava sulla via Lata e risalente al I secolo d.C. Il portico era diviso in tre navate da pilastri in travertino, che comprendeva tutto l’isolato sotto la chiesa fino alla parte sottostante del Palazzo Doria Pamphili. “Originariamente faceva parte dei Saepta Julia, la grandiosa piazza rettangolare in cui si riunivano i comizi centuriati per le votazioni che raccoglievano tutti i cittadini romani, dai patrizi ai plebei, per esercitare i loro diritti politici e contribuire a determinare la vita dello Stato. Questo luogo misterioso non ha ancora rivelato appieno la sua funzione ma certamente, date le sue vaste dimensioni e la centralità della sua posizione, doveva essere un punto di riferimento importante per l’epoca[iv]”.
Da sempre i pellegrini sono venuti in questo luogo per toccare la colonna alla quale sarebbe stato incatenato San Paolo, come la tradizione racconta. All’interno di uno dei locali è presente un pozzo nel quale, anni fa, fu recuperata una catena di ferro che, secondo alcuni riscontri, sarebbe quella che cingeva la colonna. La Seconda Lettera a Timoteo – se la ammettiamo come autentica- fu scritta in cattività, forse proprio in questo luogo? Sebbene la data comunemente accettata sia compresa tra il 64 e il 65 d.C., alcuni elementi ci fanno ritenere che possa risalire a prima dell’incendio di Roma, ammesso che essa sia attribuibile a Paolo. Avrebbero quindi un senso preciso le sue parole nel versetto 4.11 (“Solo Luca è con me”). Nel finale della Lettera, Paolo elenca una serie di persone che mandano a salutare Timoteo, tramite lui stesso: “Affréttati a venire prima dell’inverno.Ti salutano Eubùlo, Pudènte, Lino, Claudia e tutti i fratelli”. Paolo afferma di essere stato messo in catene come un malfattore: “Ricòrdati di Gesù Cristo, risorto dai morti, discendente di Davide, come io annuncio nel mio Vangelo, per il quale soffro fino a portare le catene come un malfattore. Ma la parola di Dio non è incatenata!” (2 Timoteo, 2:9). Non si parla di altri cristiani cui era toccata la stessa sorte, non si cita l’incendio: perché? Forse proprio perché non fu scritta dopo quell’evento ma prima e le catene si riferiscono a un’altra situazione?
Al versetto 1:16,17 è scritto: “Il Signore conceda misericordia alla famiglia di Onesìforo, perché egli mi ha più volte confortato e non si è vergognato delle mie catene; anzi, venuto a Roma, mi ha cercato con premura, finché non mi ha trovato”. Sorge la domanda: dove lo aveva trovato? Dove si trovava Paolo quando scrisse la lettera? Forse in questa casa. Comunque stiano le cose, guardiamoci attorno: si tratta di un luogo suggestivo, ipogeo, con qualche lacerto di affresco alle pareti. Nella stanza in cui si troviamo era presente un bellissimo arcosolio con la raffigurazione ad affresco dell’ Orazione di Gesù nell’Orto del Getsemani, datato tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo d.C. (attualmente vi è una riproduzione). Questo ambiente era parte di un’antichissima chiesa? Per capirlo bisogna ripercorrere la storia. “Nel III secolo tutta la zona circostante divenne un crocevia di commerci e una parte del portico dell’attuale basilica fu trasformato in magazzini (horrea) a due piani, divisi l’un l’altro da muri in laterizio che ancora oggi si possono ammirare”, dice un pannello situato nei sotterranei della Basilica, dove ci troviamo. Il pannello informa anche che alcuni locali dell’antico portico furono trasformati in una diaconia[v], la cui gestione era verosimilmente in mano a monaci orientali. La chiesa venne consacrata con il titolo di Diaconia dal papa di origini siriane Sergio I (687-701). Fu in quel periodo che i sei ambienti del magazzino vennero unificati al fine di costituire un edificio cultuale, le cui pareti furono affrescate con temi cristiani. Quindi, per rispondere alla domanda che ci eravamo posti, dobbiamo rispondere di sì: questa era una chiesa paleocristiana/altomedievale! Gli affreschi si sovrapposero, nel tempo, fino a tre strati; a causa di problemi di umidità è stato necessario staccarli (nel 1960) e portarli in altro luogo (si trovano presso il Museo della Crypta Balbi in via delle Botteghe Oscure). Al loro posto vi sono delle fotografie. Proseguendo nella visita di questi sotterranei incontriamo una pianta architettonica del complesso che ci illustra gli elementi principali e ci dice anche che tutta l’area sotto l’atrio della Basilica non è stata esplorata (chissà cosa rivelerà in futuro!). Nel punto in cui ci troviamo, siamo nel cuore della primitiva chiesa, di cui rimane una grandiosa abside la quale venne murata nel 1049 per sostenere il peso della erigenda chiesa superiore. Dalle fessure laterali è ancora oggi possibile vedere antichi affreschi! Nella stanza si ammirano dipinti su tre differenti strati di intonaco, che datano tra il VII e il IX secolo: il più antico mostra una figura con tunica e mantello mentre quello più “recente” sembra rifarsi al miracolo della Moltiplicazione dei Pani e dei Pesci (che si sposerebbe bene con la vocazione di mensa per i bisognosi della diaconìa). I bassi sedili in muratura addossati alle pareti accoglievano i fedeli per la S. Messa. Nel 1904 fu portato alla luce un altare, rimuovendo il riempimento del 1594; l’altare era provvisto di un loculo per riporvi le reliquie; nello stesso locale si trovano residui di affreschi mentre il grande affresco della Trinità del XV secolo è andato perduto. Arriviamo alla stanza che conserva un pozzo, le catene e la cosiddetta colonna “Verbum dei non est alligatum!” (La Parola di Dio non è incatenata!”). Paolo scrisse questa frase – come abbiamo già visto - nella Seconda Lettera a Timoteo (2,9). Il pannello informa che la tradizione vuole che Paolo abbia trascorso proprio qui due anni di prigionia (pur godendo dei benefici già visti), sorvegliato da un soldato. Se Paolo di giorno lavorava come tessitore di tende, di notte veniva incatenato alla colonna. Il pannello elenca tre punti a sostegno della tesi che questa fu veramente la dimora di Paolo:
1) La colonna del I secolo d.C., con l’iscrizione latina Verbum dei non est alligatum! (consunta dalle mani dei pellegrini che da secoli visitano il luogo ed esprimono devozione verso S. Paolo); 2) la presenza del pozzo, la cui acqua venne usata da Paolo per battezzare i fedeli che si presentavano a lui, come Santa Sabina e i suoi figli. Dopo la morte dell’Apostolo, l’acqua veniva distribuita in parti ai fedeli come acqua miracolosa; 3) la catena di ferro rinvenuta nel 2010 (nel corso di un’operazione di depurazione del pozzo) in cui sono visibili i segni lasciati sulla colonna in corrispondenza della frase paolina. In una vetrina presente in questo stesso locale si trovano altri reperti recuperati nel pozzo: brocche del XVI secolo e altri oggetti di epoca posteriore. Non è stato mai raggiunto, tuttavia, il fondo del pozzo per poter stabilire se nasconda dell’altro. Il pozzo ha ancora acqua sul fondo.
Un frammento di iscrizione attribuita al nobile Gregorio, vissuto nel IX secolo, dice che vi erano delle sepolture dietro l’abside della chiesa. E non vi è motivo di dubitare (un tempo si seppelliva in chiesa e anche nelle immediate vicinanze).
Interessante ciclo di affreschi si trovava qui: uno raffigurava il martirio di S. Erasmo e, nel strapparlo per trasferirlo al museo della Crypta Balbi nel 1960, venne scoperto un affresco più antico, al di sotto: l’incontro del vescovo di Efeso e dell’imperatore Zenone con i Sette Dormienti. E’ stato datato al VII secolo ed è considerato la rappresentazione più antica della leggenda dei Sette Dormienti[vi], molto cara ai cristiani d’Oriente (e qui dovevano esservi monaci orientali).
Sulla parete opposta all’abside della chiesa altomedievale si può ammirare un interessante bassorilievo in pregiato marmo bianco opera di Cosimo Fancelli (discepolo del Bernini), databile al XVII secolo. I personaggi, dice il pannello informativo, sono tutti presunti ospiti cristiani di questo sito: San Pietro (con le chiavi), San Paolo (con la spada), San Luca (intento a scrivere gli Atti degli Apostoli), San Marziale (supposto discepolo di S. Pietro), in secondo piano, insieme al Toro (simbolo di S. Luca nel “Tetramorfo). Il bassorilievo andò ad adornare il locale, che era stato trasformato in una cappellina dotata di altare. Il riadattamento dei locali sotterranei fu affidato a Pietro da Cortona, di cui Fancelli divenne grande amico.
Di fronte al cippo-altare del locale attiguo si ammira un bellissimo affresco (riproduzione) di Madonna con Bambino e i SS. Pietro e Paolo e un offerente (il committente) che ha un curioso nimbo (l’aureola di forma quadrata[vii]). L’opera è di anonimo e risale al XVII secolo. Il cippo marmoreo al centro della stanza fu riadattato ad altare ed è un pezzo importante perché – secondo una tradizione – vi avrebbe celebrato la S. Messa papa Gregorio Magno; si notano delle splendide applicazioni a mosaico policromo, realizzate in epoca medioevale. Guardando attentamente la parete alla destra del cippo si noterà il riempimento con blocchi di travertino provenienti dal maestoso Arco di Diocleziano. Tale operazione fu eseguita da Pietro da Cortona.
Il luogo merita una visita, intriso com’è di storia, arte e suggestioni. Non può mancare naturalmente la visita alla Basilica (superiore), dove l’atmosfera è completamente diversa ma non scevra di capolavori artistici.
[i] Sembra che Paolo fosse in regime di custodia militare. “In quel tempo esistevano tre tipi di custodia: pubblica (cioè il carcere), militaris (si rimaneva incatenati ad un militare, ma liberi di muoversi o incontrare persone), libera (arresti domiciliari presso un soggetto che si faceva garante)”, Pier Luigi Guiducci in “Paolo di Tarso a Roma”, Storia in Network, 1 aprile 2020 (URL: https://www.storiain.net/storia/paolo-di-tarso-a-roma/ )
[iii] “Qui [a Corinto] Paolo trovò un Giudeo chiamato Aquila, oriundo del Ponto, arrivato poco prima dall’Italia con la moglie Priscilla, in seguito all’ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i Giudei. Paolo si recò da loro [3] e poiché erano del medesimo mestiere, si stabilì nella loro casa e lavorava. Erano infatti di mestiere fabbricatori di tende”(At 18.2-3)
[iv] Basilica di Santa Maria in Via Lata, pannello “La dimora di Paolo l’Apostolo delle Genti”
[v] Mensa per i poveri e istituzione assistenziale per i bisognosi
[vii] Negli affreschi e nei mosaici paleocristiani e bizantini, un particolare nimbo di forma quadrata caratterizza, in una sacra conversazione, una persona di grande dignità vivente al tempo dell'esecuzione dell'opera stessa. Oppure la persona era già defunta ma non ancora ufficialmente canonizzata, per la quale l'aureola circolare non è ammessa dalla Chiesa
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Pubblicato il 19/12/2024