Il Ghetto ebraico di Bologna
(di Marisa Uberti)
Trovandoci alcuni giorni a Bologna nel mese di maggio 2019, abbiamo approfittato per visitare alcuni luoghi che in precedenti escursioni nella "dotta" non avevamo toccato. Uno di essi è il vecchio quartiere del ghetto ebraico, nel centro storico medievale. Bologna fu la seconda città a creare un ghetto, nel 1556, dopo che papa Paolo IV emanò la Bolla "Cum nimis absurdum" nel 1555, con la quale si istituirono i ghetti per gli ebrei in tutto lo Stato Pontificio. L'area scelta per la segregazione era vicina ma separata dalle case dei cristiani. La forma urbis di quest'area ricorda una mano aperta e ciò lo si vede molto bene grazie ai pannelli didascalici che aiutano il visitatore a muoversi nel dedalo di viuzze, edifici, passaggi sospesi, ponti coperti del ghetto. Diversi erano i palazzi dei ricchi banchieri, dei possidenti mercanti ed erano numerose le botteghe artgiane al servizio di una comunità che arrivò a contare circa 900 persone.
Quello era il numero di ebrei che fu cacciato dalla città nel 1593; non fu sufficiente
la segregazione, così vennero espulsi (solo dopo due secoli fu concesso a un gruppo organizzato di giudei di fare ritorno). Una prima espulsione avvenne nel 1569; rientrati nel 1586, furono definitivamente allontanati sette anni dopo. La comunità israelitica potè tornare ufficialmente a Bologna soltanto nel 1829.
La presenza ebraica a Bologna risaliva alla metà del 1300 ed essi occupavano varie zone cittadine, prima della restrizione forzata nel ghetto.
Gli ingressi dello stesso venivano sigillati la sera e riaperti al mattino ed erano più d'uno: sulla mappa vediamo segnato in rosso il n. 1, Via de' Giudei (già Via Belvedere o Bell'andare; secondo altri era via S. Marco e poi Via delle Due Torri), verso Piazza di Porta Ravegnana; vicino si trovava il Banco "de Porta" appartenuto agli eredi di Abramo da Pisa e di fronte al Palazzo della Corporazione dei Drappieri, Strazzaroli, Zavagli, Pegolotti, Vaganti ed Hebrei. Questo fu il primo accesso di entrata/uscita dal ghetto (e secondo la Bolla papale doveva essere l'unico). Furono erette alte muraglie per impedire ai segregati di raggiungere le zone cittadine esterne al ghetto e, all'interno di quest'ultimo, non dovevano esservi costruzioni che potessero in qualsiasi modo attirare i bolognesi. Tuttavia la segregazione doveva servire ad evitare i contatti non necessari fra cristiani ed ebrei ma non ad impedire le relazioni economiche che avevano luogo nei banchi.
Prendendo Via Giobbe si arriva in Via dell'Inferno, la cui oscura nomea si perde nel mistero: perchè ha questo nome? Diverse ipotesi e nessuna certezza. Tra via Oberdan e via dell'Inferno si trovano pure vicolo del Limbo e vicolo del Purgatorio! Manca solo il Paradiso... Una Via Paradiso, a Bologna, esiste ma non si trova in questa zona (bensì è una perpendicolare di via Pratello).
Via dell'Inferno era l'arteria principale del ghetto; su di essa convogliavano diverse stradine come Via de' Giudei, via della Canonica (di San Donato), vicolo Mandria (dove si erge la superba Torre degli Uguzzoni del XIII secolo), via del Carro e via Valdonica (al termine di via dell’Inferno, prendendo via Valdonica, è possibile visitare il Museo Ebraico).
Aggirandosi con attenzione tra i caseggiati, abbiamo incontrato una grande targa commemorativa che ricorda l'esistenza, al civico n. 16, della Sinagoga, dove gli ebrei si radunavano a pregare; comprendeva forse più di un luogo di culto: la ristrettezza degli spazi induceva, infatti, in tutti i ghetti e quindi anche a Bologna, a sviluppare architetture verticali. Sulla targa si ricorda anche l'espulsione del 1593 e la creazione di un nuovo ghetto in conseguenza delle leggi razziali emanate nel 1938. L'iscrizione cita la deportazione di 83 ebrei e del rabbino e fu apposta dalla Comunità Israelitica di Bologna il 6 Novembre 1988 (26 Cheshvan 5749, secondo il calendario ebraico).
L'edificio che ospitava la distrutta Sinagoga si presenta attualmente così:
Proseguendo per Via dell'Inferno, giunti al n. 4 all'angolo con Via Giobbe, si incontra (ad un'altezza considerevole), una statua mariana riparata da una copertura a forma di conchiglia e poggiante i piedi su un basamento ornato da cornucopie; un' iscrizione recita "Tota Pulchra es Maria". Una lapide chiarisce:
RISANATO QUESTO QUARTIERE
L'8 DICEMBRE 1958
PRESENTE UNA FOLLA DI DEVOTI
ERA QUI RICOLLOCATA
LA STATUA DELLA MADONNA ESISTENTE
FIN DAL 1618 / E ANDATA DISTRUTTA NEL 1911.
A CURA DEL CREDITO ROMAGNOLO E DEL COMITATO
PER BOLOGNA STORICA E ARTISTICA
Via dell'Inferno 4. Anno di posa 1958. Posta a cura del Credito Romagnolo e Bologna Storica e Artistica
Visitando la zona del ghetto si osserveranno diverse effigi di Madonnine, e non simboli ebraici. Questo perchè la sua evoluzione fu di non accogliere più i giudei. La situazione politica nei loro confronti, alla morte di papa Paolo IV (che aveva emanato la Bolla di istituzione dei ghetti) cambiò leggermente in positivo perchè il suo successore, papa Pio IV, fece molte concessioni (ma non abolì comunque il ghetto). Con la bolla “Dudum a felicis” del 27 febbraio 1562 fu consentito agli ebrei di possedere beni immobili (fino al valore di 1.500 scudi d'oro), mentre l'affitto delle case del ghetto fu bloccato (i proprietari lo lievitavano di continuo). Un altro papa sfavorevole agli ebrei fu Pio V che il 26 febbraio 1569 emanò la bolla “Hebraeorum Gens”, a seguito della quale gli ebrei furono costretti a lasciare i territori direttamente governati dalla Santa Sede, Bologna compresa. Cosa ne fu del ghetto?
Abbandonate dagli ebrei, costretti ad andarsene, le case furono recuperate dai proprietari, i quali si affrettarono a cancellare i segni della presenza ebraica dal quartiere. Le muraglie vennero abbattute; nel luglio del 1569 i portoni furono rimossi e l'aspetto dell'area tornò ad essere "normale", non di quello che un tempo era chiamato “serraglio di hebrei”. La scomparsa dei fatti, in poche parole. Ma la storia non si cancella. Oggi è possibile visitare l'antico quartiere del ghetto, pensando che per un certo periodo qui visse in segregazione una comunità di persone, separate dal resto della popolazione perchè aventi una cultura diversa, una religione diversa, abitudini diverse ed espulse per questo (o perchè davano fastidio a livello economico).
Nel periodo precedente alla ghettizzazione, la Sinagoga ebraica aveva sede in Strada S.Vitale, all’attuale civico 18, più volte citata nei documenti del XV secolo e indicata in una casa nella parrocchia di S.Bartolomeo di Porta Ravegnana. La sinagoga di Via San Vitale (Sinagoga grande) rimase attiva fino al 1567 e, di fatto, almeno fino a quella data, fu luogo di culto fuori dal ghetto. In seguito venne acquisita per donazione dai Catecumeni e successivamente da un privato. L'attuale Sinagoga si trova in via dei Gombruti n.9; lì ha sede sia il luogo di culto (Bet ha-keneset) che la Comunità ebraica bolognese. Un edificio precedente, progettato dall'architetto Attilio Muggia, fu danneggiato gravemente da un bombardamento nel 1943; a soffrire maggiormente fu la parte affacciata su via Finzi (dove campeggia, al civico n. 2, una lapide che ricorda gli 84 deportati nei campi di concentramento nazisti, mai più tornati). Un nuovo tempio fu realizzato nel 1954 dal figlio del Muggia, Guido.
Il Ghetto ebraico di Bologna è un posto insolito della città, dove si ripercorre un avvilente passato che si vuole riscattare. Un quartiere residenziale dove i turisti devono arrivare apposta, scattano qualche fotografia e poi se ne vanno. A nostro avviso costituisce uno degli itinerari di elezione per coloro che vogliono conoscere una piccola ma significativa parte della storia cittadina; il Museo ebraico in collaborazione con il Comune di Bologna ha messo a punto un percorso tematico con l'obiettivo di aiutare l'utente in questo.
- Per raggiungere la zona del Ghetto ebraico seguite le indicazioni di questa audioguida: partendo dalle due torri (quella degli Asinelli e quella della Garisenda) potrete facilmente trovarlo, naturalmente a piedi.
- Articolo inserito il 26/07/2019. Autrice: Marisa Uberti (non è consentito copiare/incollare testo e immagini senza consenso e/o citazione delle fonti).