Tra bellezze e misteri di Napoli
- I tre Decumani: la storia a strati...
Di fronte alla chiesa del Gesù Nuovo, accediamo al Monastero di Santa Chiara, cui abbiamo dedicato un articolo a parte. La chiesa è il pantheon della famiglia reale dei Borbone e uno dei maggiori monumenti di culto di tutta la città. E' una vera e propria cittadella, in cui il visitatore deve preventivare un certo lasso di tempo perchè comprende:
-la chiesa con venti cappelle, tra cui quella in cui riposano tutti i membri della Casa Reale Borbonica del Regno delle Due SicilIe [1];
-il Museo dell'Opera;
-gli scavi archeologici, in cui è possibile passeggiare (tramite passerelle) sul maggiore complesso termale ritrovato a Napoli, le terme. Furono rinvenute al di sotto del piano della chiesa e si pensa siano state operative almeno sino al IV secolo. Il sito è diviso in due settori: uno con palestra e piscina ed un altro termale;
-il chiostro maiolicato settecentesco, capolavoro di maestranze locali, eseguito su commissione delle monache di clausura con una particolarità: le scene raffigurate sulle colonne e sui sedili lungo i viali che lo compongono, non sono a tema religiosobensì paesaggi, scene campestri, mascherate, scene mitologiche e allegoriche.
-L'immancabile storia del fantasma...
Dopo avere visitato questo gioiello, proseguiamo per via Benedetto Croce, passando per piazza San Domenico Maggiore fronteggiante il complesso di San Domenico Maggiore. Pochi si rendono conto che passeggiare nella piazza, nei pressi dell'obelisco, significa avere sotto i piedi un vero e proprio mistero ancora insoluto e che invitiamo ad approfondire nel nostro articolo dedicato. Le "Guglie", come vengono popolarmente chiamati questi vertiginosi obelischi, sono una caratteristica di Napoli, che ne annovera diversi (ciascuno con una storia alla base, pertinente all'epoca in cui furono eretti). La Basilica di San Domenico Maggiore è, secondo chi scrive, una tappa irrinunciabile di un viaggio nella città partenopea, anzitutto per la sua posizione, in un’area tra il Decumano Maggiore e quello Inferiore, nel centro storico della città antica. Tra le molte meraviglie che l'interno ospita, la più straordinaria è sicuramente il pantheon degli Aragonesi. La famiglia d'Aragona, salita al trono nel 1422 fino al 1501, è qui sepolta in 42 bauli, come quelli che si preparano per fare un viaggio. Essi trovano posto, in doppia fila, sul ballatoio della bellissima Sacrestia ("passetto dei morti"), a circa 4-5 m di altezza. I bauli contengono i corpi di nobili della famiglia d’Aragona, tra cui dieci re e dignitari (e alcuni individui di cui non si conosce l'identità). Un’ insolita maniera di farsi inumare, e che costituisce un unicum al mondo! I bauli sono fatti di legno, hanno dimensioni diverse (a seconda che vi fosse sepolto un uomo, una donna o un bambino); sono tutti ricoperti di sete e broccati di colore diverso.
Alcuni corpi si sono mummificati in modo naturale, altri sono stati intenzionalmente imbalsamati e tutti sono stati sottoposti a minuziose analisi paleopatologiche, che hanno portato ad importantissime scoperte. A queste particolari arche reali abbiamo dedicato un articolo a parte. Nello stesso articolo troverete anche la visita all'annesso Museo del Tesoro, con gli abiti che ricoprivano i corpi nei bauli e un dipinto enigmatico, il Salvator Mundi, ritenuto di scuola leonardesca e impressionantemente somigliante al Salvator Mundi attribuito a Leonardo, recentemente battutto all'asta per 450 milioni di dollari (e finito negli Emirati Arabi). Ma, in campana amici del mistero! Qualcuno sostiene che tra i corpi sepolti nei bauli (tra i quattro non identificati) vi sarebbe quello di Leonardo da Vinci (il perchè lo troverete leggendo l'articolo).
Qui
presso la casa di S. Gennaro
martire patrono
nella piazza degli olmi
sorgeva la basilica Augustale
che divenne diaconia abbazia parrocchia
e venerati restano tuttora
l’eremita S. Gregorio il medico S. Biagio
e qui dove la casa dei Marigliano
sorta nel sec. XV
dette lustro e decoro
al rinnovamento dell’arte nostra
ebbe origine l’arte dei mastri librai
di cui fu figlio
Gian Battista Vico
gloria napoletana
Lasciamo la zona dei decumani (ma non ci spostiamo di molto) per continuare il viaggio nella Napoli romana in uno dei più importanti musei del mondo, quello Archeologico Nazionale, ospitato nel cinquecentesco Palazzo degli Studi, sorto sull'area di una necropoli romana, quella di S. Teresa. Per la vastità delle collezioni, impossibili da descrivere, abbiamo riunito le fotografie effettuate durante la visita in un documentario filmato. Anche questa giornata si è conclusa con piena soddisfazione. Domani cambieremo zona, dirigendoci nella parte settentrionale della città e in un rione popolosissimo, quello della Sanità, in cui nacque il grande e popolare Totò (Antonio de Curtis) ma anche sede di un patrimonio archeologico inestimabile.
Il Quartiere Stella, dove si snoderanno oggi i nostri due passi, è uno dei dodici quartieri in cui fu suddivisa la città di Napoli a partire dal 1780. Comprende il famoso rione Sanità, Materdei e il borgo dei Vergini.
Il Rione Sanità sorge in
una valle a cui corrispondono le valli dei Vergini, della Sanità e delle Fontanelle, cinte dalle colline di Miradois, Capodimonte, dello Scudillo, della Stella e di Materdei. Nel corso dei secoli la zona-di antichissimo insediamento- ha subito numerose trasformazioni, sia per il passaggio delle Lave dei Vergini, acqua e fango che riversavano detriti dalle colline verso valle, sia per l'urbanizzazione che ha interessato la zona dal XVI secolo. E' un rione storico e caratterizzato da grandi contrasti, che sono emersi durante la visita guidata cui abbiamo aderito, con la Cooperativa "La Paranza", un'emozionante tour chiamato "Il Miglio Sacro", che si snoda sia in supeficie che nel cuore della città sotterranea, al quale doverosamente abbiamo dedicato un'ampio articolo e diversi video.
Per "vedere" le persone veramente per quelle che sono, bisogna che vi sia partecipazione, sforzo, interazione.
Nei pressi della Basilica di S. Maria della Sanità e quasi sotto il Ponte della Sanità (oggi intitolato a Margherita Cerasuolo) si trova Largo Totò, uno spazio inaugurato nel febbraio di quest'anno (2018), che commemora i 120 anni dalla nascita del grande Totò, al secolo Antonio de Curtis (1898-1967), che qui alla Sanità ebbe i natali (in Via Santa Maria Antesaecula). Il cartello di Largo Totò riporta due brevi frasi "Genio napoletano. Maschera universale", che racchiudono tutta la stima, l'affetto e l'intramontabile ricordo dei residenti verso il loro "principe della risata", che è caro a tutti gli italiani. Probabilmente non c'è casa, nel rione Sanità, che non abbia un'immagine di Totò. Largo Totò ospita dal 2017 il monumento al grande attore, opera del maestro Giuseppe Desiato: un muro in cui è delineata la sua sagoma inconfondibile. Per i residenti quella forma aerea è il vuoto che Totò ha lasciato. Nel progetto è indicata però "la scelta di affidare a Totò il compito di fare da mediatore, di agevolare l’accesso e l’incontro con il visitatore, di invitarlo a entrare per conoscere il senso e alimentare il rispetto per i luoghi e per gli uomini e le donne che contraddistinguono il Rione Sanità" (Il Mattino, 15/04/2017).
Si narra che nel famoso e singolare Cimitero delle Fontanelle si trovi sepolto anche l'illustre poeta Giacomo Leopardi, perito nel 1837 per idropisia (in realtà, nonostante i molti acciacchi di cui soffriva, non fu mai accertata la causa della sua morte). In quel momento imperversava il colera a Napoli: vi era il divieto assoluto di seppellire morti nelle chiese e gli unici posti destinati alla raccolta dei resti mortali erano il cimitero delle Fontanelle o quello dei colerosi a Poggioreale. L'amico di Leopardi, Ranieri, scrisse che non volendo inumarlo tra "la confusione del camposanto colerico" lo fece mettere in una cassa di noce piombata e pietosamente collocata in una sepoltura ecclesiastica sotto l’altare a destra della chiesetta suburbana di San Vitale a Fuorigrotta. Ma chi ha cercato la documentazione non l'ha trovata, negli archivi di detta chiesa. Esiste solo la lapide fatta eseguire dal Ranieri stesso ma qualcuno sostiene che abbia mentito, che Leopardi non si sia mai trovato lì, da morto. E allora dove?
Il grande poeta di Recanati (AP), trascorsi gli ultimi anni di vita a Napoli, morì a Vico Pero al civico 2, nella parrocchia della SS. Annunziata a Fonseca (sulla strada che porta a Capodimonte) ed è qui che, nel libro X dei Defunti (pag. 175), è stata rintracciata un' interessante registrazione: “A 15 giugno 1837 Don Giacomo Leopardi conte figlio di Don Monaldo e Adelaide Antici, di anni 38, munito dei Santissimi Sacramenti, al’ 14 detto mese, sepolto id. (idem)”. Sepolto idem, c'è scritto: i preti usavano scrivere Idem se il luogo della sepoltura era lo stesso del defunto registrato immediatamente prima: in questo caso il defunto registrato prima di Leopardi era stato sepolto nell'ossario delle Fontanelle. Quindi cosa si deve concludere? Probabilmente che la sepoltura di Leopardi fosse proprio nel cimitero che stiamo visitando. L'amico Ranieri avrebbe quindi mentito, dicendo di averlo inumato in San Vitale, ma perchè? La causa della morte fu il colera? Anni dopo, lo stesso Ranieri rincarò la dose sostenendo di avere fatto riaprire la bara ed essere rimasto in contemplazione del cadavere dell'amico. Perchè avrebbe fatto una simile messinscena? Sta di fatto che nel 1900 la bara venne aperta per una ricognizione scientifica ma vi si trovarono soltanto dei frammenti ossei e un femore sinistro, che risultarono insufficienti per fare delle analisi ma confermarono una cosa: non appartenevano ad un individuo affetto da tubercolosi, come lo era stato Leopardi! Nel 1939 le presunte spoglie furono traslate con grandi onori nella tomba monumentale allestita per lui al Parco Virgiliano, che in vita gli era stato particolarmente caro perchè la tradizione vi ha sempre collocato la tomba di Virgilio. Ancora oggi, però, non sappiamo a chi realmente appartengano le spoglie spacciate per quelle di Leopardi. Tutto ciò non toglie minimamente lo Spirito del poeta solitario, da noi tra l'altro particolarmente amato.
Il Rione Sanità ospita diversi bellissimi palazzi settecenteschi; abbiamo potuto vederne, dall'esterno, un paio. Il primo è il Palazzo Sanfelice, in via Arena della Sanità, fatto costruire dall'architetto Ferdinando Sanfelice, da cui trasse il nome. Il personaggio fu marchese del Seggio (o Sedile) di Montagna e tra il 1724-1728 realizzò questo splendido palazzo come residenza per sè e la moglie Agata Ravaschiero di Satriano. Situato sulla collina di Fonseca sfruttandone la vegetazione, si apriva in posizione panoramica, dove la corte reale passava per recarsi alla vicina Reggia di Capodimonte. L'edificio si compone di due strutture raccordate da una facciata decorata con stucchi. L'architetto Sanfelice volle provare soluzioni diverse dal consueto, per il suo palazzo, e per questo troviamo due cortili di forma diversa, uno ottagonale al civico 2 e l'altro al n. 6. Proprio qui ammiriamo la "scala ad ali di falco" o aperta, primo esperimento del genere, precoce stile di palazzo settecentesco a Napoli. Il sistema di arcate su pilastri consente all'osservatore di godere di una completa visuale dell'edificio, dall'androne al giardino che si estende alle spalle della predetta scala. Ciò dava una sensazione di "cadere addosso": da qui pare nacque l'appellativo dato al Sanfelice di Ferdinando lievt' 'a sotto (Ferdinando levati da sotto). Questo cortile è stato l'ambientazione del film Questi fantasmi (trasposizione cinematografica della commedia di Eduardo de Filippo), Le quattro giornate di Napoli (di Nanni Loy), Gegè Bellavita (di Pasquale Festa Campanile), e altri.
La seconda dimora che la guida ci mostra è il Palazzo dello Spagnuolo, nel cuore del vallone dei Vergini. Fu fatto realizzare dal marchese di Poppano Nicola Moscati a partire dal 1738, unificando due preesistenti edifici che la moglie aveva ricevuto in dote dal padre, il barone d'Albanella. Il progettista fu Francesco Attanasio ma siccome anche qui troviamo la scenografica "scala ad ali di falco" di matrice sanfeliciana, si dubita sulla paternità di quest'ultima. Il palazzo, tra numerose vicissitudini, passò in mani diverse, tra cui quelle di Tommaso Atienza, detto lo Spagnuolo, nomigliolo che rimase al palazzo. Dopo di lui vi furono altri proprietari e la vita dell'edificio non fu tranquilla; a fine Ottocento fu frammentato catastalmente e venduto in porzioni separate. Il re Carlo di Borbone usava sostare qui dirigendosi a Capodimonte, per il cambio dei cavalli, che sostituiva con i buoi, animali più lenti ma più forti per sostenere la salita della collina. Furono ospiti anche Umberto di Savoia, numerosi intellettuali e artisti. Una lapide attesta che negli anni Trenta del XX secolo fu sede della gendarmeria fascista (al II piano) e per questo è conosciuto anche come Palazzo del Fascio. Fu danneggiato in seguito ai bombardamenti del 1943 e nel 1980 subì problemi causati dal terremoto. I restauri hanno restituito i colori originali, quegli insoliti verde e rosa che stupiscono e attirano l'attenzione: forse furono ispirati da una moda mittleuropea portata a Napoli dalla corte vicereale austriaca nel XVIII secolo. Anche questo palazzo è stato location per parecchi set cinematografici, da Il Giudizio Universale (di Vittorio de Sica, 1961) a La Pelle (di Liliana Cavani, 1981), da Piedone lo Sbirro (di Steno, 1973) a Mi manda Picone (di Nanni Loy, 1983) fino al più recente Passione (di John Turturro, 2010).
Prima di lasciare il vallone dei Vergini parole dobbiamo spenderle sul curioso toponimo: a cosa è dovuto? E' antichissimo, anzitutto, risalendo ad una confraternita greca residente nel quartiere, il loro nome era Eunostidi, adoratori del dio della castità, chiamato Eunosto. Votati alla temperanza e mantenendosi puri, erano detti Vergini. La comunità maschile basava il proprio credo su un fatto mitologico che aveva come protagonista Eunosto, giovane di bell'aspetto ma ovviamente casto. Di lui si innamorò Ocna, figlia di un magistrato, che tentò di sedurlo in ogni maniera, senza riuscirvi. Irritata e ferita nell'orgoglio, la ragazza raccontò ai fratelli di avere subito violenza dal bel giovanotto che, senza colpa nè pena, fu trucidato per vendetta. Qualche tempo dopo la verità emerse e i due fratelli furono arrestati, Ocna si suicidò e ad Eunosto fu innalzato un tempio dai cittadini, per rendergli omaggio. Questa la leggenda ma, a livello archeologico, c'è dell'altro: nel corso del decennio 1950-'60 furono effettati degli scavi presso la Casa della Mssione, che portarono in luce alcuni resti di un tempio di vestali ossia di Vergini (femmine) [3]. Su quali basi non lo sappiamo perchè non abbiamo trovato notizie in merito.
Nella chiesa di S. Maria dei Vergini ricevettero il battesimo diversi personaggi illustri come Sant'Alfonso Maria de' Liguori, l'architetto Ferdinando Sanfelice e Antonio de Curtis (Totò). Sotto la chiesa sono presenti affreschi pertinenti un precedente edificio gotico.
Via dei Vergini (al pari di molte altre del rione) è sempre servita come canale di scolo delle "lave" (cioè acqua e fango) che scendevano a valle dalle colline circostanti. Durante le forti alluvioni si incanalavano in questo ampio tratto per poi defluire- attraverso le attuali Via dei Crociferi e via Fuori Porta San Gennaro- nel largo delle Pigne, l'attuale Piazza Cavour.
Il Vallone dei Vergini termina a ridosso di Porta San Gennaro, dove si conslude anche il nostro percorso. La Porta fu così chiamata perchè i napoletani la attraversavano per percorrere il famoso Miglio, antico pellegrinaggio che conduceva alla tomba del santo. Lo stesso "Miglio Sacro" che abbiamo visitato oggi, in un susseguirsi di emozione e stupore. Un tempo era chiamata Porta Tufo perchè affacciava sulle cave di questo materiale da costruzione. Porta San Gennaro segna il confine tra la Napoli extra-moenia e l'inizio della città murata.
- Termina qui anche il nostro soggiorno nella città partenopea. Torneremo prossimamente per visitare altre zone, per apprendere nuove leggende, per lasciarci ammaliare dai suoi tanti volti.
Maggiori informazioni https://www.duepassinelmistero2.com/studi-e-ricerche/arte/italia/puglia/le-mummie-di-monopoli-ba/
[3] "Il Rione Sanità ancora da scoprire", a cura della Cooperativa La Paranza (Edizioni Intra Moenia, Napoli, 2016), p. 129