S.Glisente e la chiesetta astronomicamente orientata di Berzo (BS)
(Alessandra Facchinetti)
Benchè numerose siano le leggende legate al culto di San Glisente - già vivo e diffuso in Valcamonica e in Valtrompia agli inizi del XIII secolo - non vi sono sicure notizie storiche riguardo l'effettiva esistenza del santo, figura indissolubilmente legata al borgo della Val Grigna, la cui vicenda si snoderebbe, secondo un'assai fantasiosa leggenda raccolta da autori seicenteschi, sulla scia della spedizione che da Bergamo - dove Carlo Magno si era trasferito da Pavia nel corso della guerra contro i Longobardi (773 d.C.) - risale la Valle Camonica e conduce sino alla trentina Val Rendena (una sorta di Via carolingia nel cuore delle Alpi, narrata nella leggenda di Carlo Magno).
E' l'epoca leggendaria della conquista carolingia in seguito alla quale la Valle Camonica (1) viene infeduata (Donazione del 774) al monastero di San Martino di Marmoutier. Fatto che nei decenni successivi introdurrà e consoliderà il cristianesimo, fondando in questo territorio numerose chiese e cappelle intorno a cui, in epoca medievale, con la realizzazione di insediamenti di altura, sorgeranno storie e leggende legate all'antico fenomeno dell’eremitismo.
Fig. 1 - Passo Sette Crocette. L’origine e il significato di quell’arcaico muretto con sette crocette conficcate restano un mistero. Alcune storie le attribuiscono a un segno della pietà montanara, a spiritismi, miti e leggende popolari
L'ipotesi ritenuta più probabile e comunque possibile è che l'insediamento sia da mettere in stretta relazione con la fioritura eremitica registrata tra la fine del secolo XI e gli inizi del XIII, sotto la rinnovata spinta della regola benedettina e delle sue riforme (2).
Data la sua situazione appartata e balconata, in grado di sollecitare l'elevarsi delle anime a Dio, è plausibile che la Colma di San Glisente fosse diventata naturalmente una delle sedi dei frequenti ritiri ascetici temporanei ampiamente documentati nel monachesimo tradizionale: la frequentazione del luogo potrebbe aver indotto un monaco appartenente ad una di queste colonie locali (o comunque qualche soggetto avvicinatosi alla regola) a scegliere una forma di eremitismo rigoroso e lontano dall'abitato.
Fig. 2 - La Colma su cui svettano la chiesetta con l'annesso bivacco S. Glisente. La chiesetta romanica di S. Glisente è posta sul monte sopra Berzo Inferiore a 1956 metri di altitudine, al margine più basso della sommità arrotondata della Colma di San Glisente (m. 2160), cui si perviene da Esine. A metà strada della mulattiera che sale verso S. Glisente, in località Palör, a pochi metri dal ciglio della strada, si trova il "Piede di S. Glisente": un grosso cippo di pietra simona, conficcato nel terreno e di forma quadrata. Nel centro è scolpita una sagoma di forma ovoidale, lunga e profonda una ventina di centimetri. Era diffusa credenza che nell'appoggiare il piede stanco sulla sagoma, tutta la stanchezza scompariva e si riprendeva il cammino con maggiore forza e vigore
Sebbene quindi intorno alla figura del santo siano sorte leggende che lo inquadrano di volta in volta come valoroso guerriero o come nobile camuno di origini franche, poi convertitosi a vita di preghiera e penitenza sui monti di Berzo, diventa plausibile immaginare Glisente come un santo più vicino ai Camuni per razza e per cultura: difensore dei popoli che, attraverso le armi della preghiera e della penitenza, "assurgerà a simbolo, a personificazione del pastore camuno, sempre errante sui pascoli montani dei crinali che convergono al monte di San Glisente prima e poi al Maniva .
Il centro di irradiazione del culto di S. Glisente è dunque il monte, ricco di boschi e pascoli, che si estende tra Esine e Berzo Inferiore dove, non a caso, sorgeranno diversi luoghi di culto (3).
Questo legame con la terra e, per estensione, col pascolo, che fa di Glisente il campagnolo, il pastore, è ravvisabile sia nello stesso toponimo di Berzo (di origini celtica, latina ed etrusca), dove ritroviamo accezioni che rimandano al "luogo che sorge su un’altura", ai pascoli e alle mandrie (4), e sia analizzando l'origine stessa del nome (ritenuta dialettale: Ghidét o Ghisét o, per i più anziani, Ghédét) e, in special modo, la radice (Ghe-ghi-ga= terra, territorio, pascolo ) di origine gallica, molto frequente nel dialetto camuno e valtriumplino (esistono tuttora cognomi di famiglia derivanti dalla stessa radice).
Anche il termine Sant, in Valle, non significa sempre una persona santa, ma anche un luogo, un'edicola sacra (santella).
Il Sant Ghedét - e qui si giunge all'ipotesi più estrema - non presuppone dunque necessariamente l'esistenza di una persona, ma definisce e rivela l'esistenza di un luogo sacro a una divinità pastorale.
TRA LEGGENDA E IPOTESI
1. Secondo le tradizioni locali, raccolte da scrittori del sec. XVII e riassunte in una leggenda (nata forse nel sec. XIV-XV ma priva di fondamento storico) Glisente era un soldato dell'esercito di Carlo Magno (5), Re dei Franchi, che egli seguì fino in Valle Camonica (detta "Oriola e monti di Blasia"), dominata dai principi longobardi, conquistò questa Valle fino al Mortirolo, quindi ottenne dall'imperatore di ritirarsi dall'esercito per evangelizzare la valle; in seguito sali sul monte di Berzo per fare vita eremitica. La leggenda prosegue narrando che "In quel luogo selvaggio trovò una spelonca, che scelse per sua dimora, ma ben presto si trovò senza il necessario nutrimento e allora pregò… e Dio, dando orecchi alla bontà del suo servo, ordinò a un'orsa che ogni giorno gli portasse pomi, radiche e frutti selvatici… anco una pecora compariva, con le mammelle piene di latte, ne faceva devota offerta alla parsimonia del santo" (6).
Stando alla leggenda, comunque, Glisente morì lassù il 6 agosto del 796. Il giorno dopo alcuni pastori, mentre salivano sul monte, videro una colomba che portava ramoscelli e foglie sopra la spelonca. Qui trovarono il corpo dell'eremita, lasciarono alcune sue reliquie nella spelonca e ne portarono altre nella chiesa di S.Lorenzo in Berzo Inferiore (La storia prosegue narrando che "Gli abitanti di Collio, invidiando sì prezioso tesoro, usurparono la tomba e trafugarono il santo corpo per trasferirlo al loro paese… Dio fece divenire ciechi i rattori, i quali lo riportarono nella sua tomba, ad intercessione del Santo recuperarono la vista confessando il loro errore…") (7).
Fig. 3 - La presunta tomba di San Glisente. Si può notare, nei pressi del luogo in cui fu deposto il corpo del santo, un buco formato nei secoli dai pellegrini che staccavano frammenti dalla parete rocciosa da utilizzare come "santo rimedio" per il mal di denti
2. Ma a Berzo inferiore e dintorni esiste tuttora una leggenda (raccolta da Andrea Morandini) su S.Glisente e i suoi fratelli, S. Fermo e S. Cristina, giunti in Valle Camonica al seguito dell'esercito di Carlo Magno e poi ritiratisi in eremitaggio.
Glisente (aiutato dall'orsa) si ritirò sui monti di Berzo, S. Fermo (assistito anch'egli da un'orsa, da un'aquila e dal suo scudiero Rustico) su quelli di Borno e S. Cristina sui monti
di Lozio. Prima di separarsi per sempre i tre fratelli strinsero il patto di comunicare tra loro ogni sera per mezzo di un falò (8) che ciascuno avrebbe acceso fuori dal proprio romitaggio. Glisente per mettere in contatto Fermo e Cristina, che non potevano comunicare direttamente, accendeva due falò. Così per diversi anni i valligiani ammirarono ogni sera quei fuochi sui monti, finché quelle luci una alla volta si spensero. Dei tre eremiti, narra la leggenda, l'ultimo a morire fu Fermo (a Borno sulle pendici della Corna San Fermo si trova l’omonima cappella del XVII secolo ricostruita su quella precedente; a Lozio allo sbocco di Val Baione, sopra la frazione di Sommaprada, c’è la chiesetta di Santa Cristina dell’XI secolo) (9).
3. Districandosi tra leggende e supposizioni e raccogliendo validi argomenti storici, don Alessandro Sina (1878 - 1953) - scrive Antonio Fappani (1983, IV, p. 97) - ha rivelato notizie più plausibili su S.Glisente: S. Glisente fu un nobile camuno di origine franca stanziate in zona, probabilmente epigono dei signori di Berzo, discendenti da una delle tre famiglie franche di Esine, citate nella donazione di Giselberto del 979. Costoro, nel sec. XI erano stati investiti, e divennero poi proprietari di vasti possedimenti che il monastero di S.Pietro in Monte aveva ricevuto in dono dall'Arciprete di Manerbio, Arderico, fra cui le montagne pascolive di Val Gabbia, Cavale e Roncole, confinanti con i territori di Bienno e di Esine. Fu probabilmente sul monte Roncole che il nobile Glisente, seguendo l'esempio di S.Costanzo, S.Obizio e molti altri, si ritirò a vita di preghiera e di meditazione
(ponendosi in aperta rotta di collisione con la società guerriera e violenta dell'epoca), svolgendo apostolato fra i molti pastori e i mandriani che vivevano su quei monti e soccorrendoli, consigliandoli e scendendo a Berzo soltanto la domenica e lungo l'inverno. Sul monte poi sarebbe morto e sulla sua tomba venne edificata la prima chiesa.
4. Va segnalata anche un'ipotesi avanzata da P. Guerrini nel 1911. S.Glisente potrebbe essere stato un frate Umiliato, fondatore di una casa di Umiliati sul monte di Berzo, intorno alla medesima epoca in cui S.Costanzo di Niardo fondava e dirigeva la casa degli Umiliati in Conche. Anzi, ancora secondo il Guerrini, il santuario di S.Glisente potrebbe essere stato la "domus de Eseno" (casa di Esine), ricordata da un antichissimo catalogo delle Case Umiliate.
LA CHIESA
Fra i diversi luoghi di culto dedicati a San Glisente, in un atto di permuta redatto nel 1222 (conservato nella parrocchia di Esine) è ricordata una chiesa di S. Glisente (10): si tratta della cripta (sec. XI -XV) sottostante l'attuale chiesetta, posta sul monte sopra Berzo Inferiore a 1956 metri di altitudine, al margine più basso del culmine arrotondato della Colma di San Glisente (m. 2160), di cui l'attuale aspetto si deve ad una ricostruzione del XV secolo.
La montagna sulla cui cima sorge la chiesetta romanica di S. Glisente segna con sorprendente precisione il Sud. Berzo avrebbe inizialmente pensato questa chiesa come rivolta verso il luogo di santificazione e morte del santo eremita, ma anche verso il punto di massimo splendore del sole. Verso il solstizio invernale, a Berzo, il sole sorge dal monte San Glisente proprio verso mezzogiorno |
L'antichissima chiesetta romanica costruita sopra la cripta, dal rustico e asimmetrico profilo a capanna, presenta un'architettura improntata a rigorosa semplicità e rusticità, senza alcun notabile dettaglio, in qualche modo contrastante con la palpabile grandiosità del luogo. L'interno, estremamente povero, rimesso a nuovo e lindamente dealbato, è diviso in due campate ad arco acuto. Non rimane traccia degli affreschi interni
Fig. 4- Bivacco e chiesetta di San Glisente
Grazie a un accesso separato sotto la chiesetta, si raggiunge, percorrendo un lungo e stretto cunicolo scavato nella roccia (posto sotto la facciata principale), la grotta entro la quale è scavata una cripta di elevata suggestione, dove si dice abbia abitato e pregato il santo (che viene ricordato, con grande afflusso di fedeli, l’ultima domenica di luglio) e dove si trova una tomba a lui attribuita (11).
Fig. 5- La nicchia d'ingresso alla cripta, posta sotto la chiesetta
Un primitivo luogo scavato a caverna, ubicato sulla cima d'un monte dal vertice tondeggiante e verde fino alla sommità. Dunque un luogo magico per natura, da dove la divinità poteva rivelarsi irata, col fragore del fulmine e del tuono, ma anche benevola col sorriso dei rosei tramonti della sera che preannunciavano il bel tempo del domani.
Fig. 6 - L'ingresso della cripta
La cripta, dotata di abside e munita di avanzo di altare, è formata da due ambienti a pianta irregolare; il più vasto è diviso in tre piccole navate con volte a crociera che poggiano su quattro basse colonne di granito (con capitelli), esili ed eleganti, la cui importanza noteremo in seguito.
Fig. 7- Pianta della cripta
Il gruppo escursionistico camuno "Lupi di San Glisente" - guidati dall'ex presidente Gian Mario Stofler ed accompagnati dallo studioso Gaudenzio Ragazzi, ha verificato mediante sopralluogo, la tesi secondo la quale gli spazi del piccolo tempio fossero direttamente collegati - gli astronomi direbbero orientati - secondo lo spazio ed ai ritmi naturali del cosmo.
Fig. 8 - Scorcio sull'altare
L'usanza di orientare un luogo di culto in base ai movimenti della luce del Sole e, per esteso, secondo il movimento celeste, risale all'antichità, quando la costruzione di qualsiasi tempio ha implicato alcune scelte formali sotto le quali veniva spesso depositato un sapere occulto.
Tale retaggio valeva anche per le antiche chiese cristiane, la cui costruzione rispondeva ad un chiaro disegno teologico di rivelare l'invisibile, ovvero Dio, nelle trame del visibile (per comprendere l'invisibile è necessario guardare attentamente ciò che è visibile. Così insegna il Talmud, uno dei libri sacri dell'Ebraismo).
"L'architettura e la progettazione degli spazi dove doveva sorgere la chiesa rispondeva all'esigenza di collocarla all'interno di un progetto divino che si rivelava nei meccanismi dell'universo".
La posizione delle due monofore, quella della finestra alle spalle dell'altare e l'orientamento delle quattro colonne seguono una geometria precisa, per mezzo della quale l'uomo, consapevole o meno, viene messo in condizione di incontrare materialmente l'infinito, l'assoluto, Dio.
Fig. 9 - Il piccolo, essenziale altare
Nel giorno più lungo dell'anno (21 giugno) che corrisponde al solstizio d'estate, quando, alle 6.01, il Sole sorge nel punto più settentrionale, i suoi raggi si allineano perfettamente con la monofora posta sul versante Est della cripta della chiesa, collocata proprio in quel punto e con quell'orientamento per ricevere la luce del solstizio, ed è noto quanto, in tutte le chiese romaniche la luce sia un elemento fondamentale: la luce che nasce ad oriente simboleggia la luce di Cristo.
Fig. 12 - Gli spazi del piccolo tempio sono direttamente orientati col solstizio d'estate (21 giugno). Le finestre, o monofore, sono come stretti tagli nella muratura attraverso i quali la luce penetra nella penombra del tempio. Il Sole che sorge è simbolo di rinascita. Il Sole che sorge al solstizio segna l'inizio del ciclo, funge da calendario per le attività agricole e per quelle religiose
Inoltre, le quattro colonne, disposte a quadrato, che sorreggono la volta della cripta di S. Glisente, sono perfettamente allineate con i punti cardinali, scelta sicuramente non casuale, che conferma ulteriormente la teoria secondo la quale il principio che ha guidato la costruzione della cripta e dell'edificio superiore è stato quello di edificare un luogo sacro in armonia con l'universo, cioè orientato secondo il cielo" (12).
NOTE
(1) Le sommità dei colli di Berzo, già abitate dalle prime comunità dell'antico popolo camuno, furono dapprima utilizzate come luoghi di culto (si suppone inoltre che i primi abitatori di Berzo siano stati dei pastori insediatisi sui colli del Dòs Deù, di S. Lorenzo e di S. Michele, i quali si approvvigionavano delle acque del Grigna che a quei tempi scorreva ai piedi delle colline).
Anche i romani manifestarono interesse per questi colli che consideravano punti strategici di difesa militare della Civitas Camunnorum (subito dopo la conquista della Valle Camonica, i Romani fecero passare per Berzo anche un ramo della via Valeriana). Ma forse il loro interesse si estendeva anche alla sfera religiosa, infatti nel secolo scorso sul colle di S. Michele veniva alla luce una stele votiva, ora conservata al museo di Bergamo, dedicata alle fonti divine: -Fontibus Divinis Sacr. M. Antonius Sp. F. Stephon V.S.L.M.
Le terre prospicienti l'Oglio (ora facenti parte del comune di Berzo) e confinanti con il comune di Esine, sotto i Longobardi furono proprietà del "Gasindo" (vassallo di rango inferiore) del re Desiderio che nel 774 lasciò per testamento: "la volontà sua di vendere la corte di Bergis". Un altro storico documento, successivo di quasi due secoli, nel 960, attesta la cessione di proprietà "in Berzo" dal vescovo di Cremona al conte di Lecco. (2) Nel marzo 1036 l'arciprete della pieve di San Lorenzo di Manerbio, Arderico di Brescia, effettuò un atto di donazione, celebrato nel monastero di Sant'Eufemia, a favore del cenobio benedettino di San Pietro in Monte Orsino di Serle comprendente una serie di proprietà (case, campi, vigne, castagneti e prati, oltre a pascoli montani) situate nel territorio di Berzo. Va ricordato che, a Bienno e nel vicino monastero di San Pietro (entrato nel Duecento nell'orbita francescana) vi erano cellule benedettine.
(3) Nel 1200, infatti, esisteva un altare a lui dedicato nella chiesa di Bovegno, un tempietto gli era consacrato a Nord-Ovest della stessa località, in una zona mineraria; nel 1262 fu fondata nella stessa Bovegno una fraglia, o luogo pio, in suo onore con precisi statuti. Episodi della vita di Glisente sono raffigurati negli affreschi della pieve di S. Lorenzo (sec. XVI), in quella parrocchiale di S. Maria in Berzo, e in quella a lui dedicata sul monte che divide il territorio di Berzo da Bovegno e Collio in Valle Trompia (sec. XV). Nell'attuale chiesa parrocchiale di Berzo (sec. XVII) gli è dedicato un altro altare.
(4) Secondo alcuni, la personificazione militare si potrebbe spiegare con la fede invalsa dall'epoca longobarda in poi, quando le divinità protettrici dei pagani divennero i Santi defensores dei cristiani.
(5) La leggenda ha in sé reminiscenze comuni ad altre mitologie similari, dove la divinità dei pastori si nutre del latte di pecora e di frutti strani maturati apposta per sfamare il nume. Da millenni, forse, il popolo che abitò la media Valcamonica, guardò al monte San Glisente come gli Ebrei guardavano al Moria o al Carmelo.
(6) Non suffragata da documenti è la tradizione (che attinge al sostrato orale sbocciato da antiche contrapposizioni circa il pacifico godimento di pascoli), accolta dallo Zacchi, che ricorda un trafugamento delle sante spoglie, messo in esecuzione dagli abitanti di Collio (o di Bagolino, per altro autore); una volta restituite le ossa sarebbero state traslocate presso la parrocchiale di San Lorenzo, come pare credere anche il Padre Gregorio. Dei resti venerati dalla religiosità popolare, rinvenuti nella chiesa di San Lorenzo, si sono perse le tracce.
(7) E' interessante notare come nella Leggenda di San Glisente ritorni spesso il motivo dominante del fuoco.
(8) Gli oratori ad essi dedicati, furono eretti per garantire un vicino riferimento religioso ed un materiale ricovero ai malghesi ed ai pastori che numerosi gravitavano negli alti pascoli durante la bella stagione della monticazione.
(9) Berzo Inferiore, come tutta la Valle Camonica, ha una lunghissima storia, fatta di evoluzione e cambiamenti, di popoli conquistatori o con i quali è comunque entrata in contatto, di linguaggi con cui quello autoctono si è fuso. Lo stesso nome Berzo ha subito un’evoluzione linguistica che probabilmente ha seguito il corso della storia.
Troviamo Bercio, Bertium, Bersus risalenti ad origini celtica, latina ed etrusca.
Numerose sono le ipotesi di alcuni studiosi di toponomastica relativamente all’origine del nome Berzo:
– da «bersa», sinonimo di grande siepe di arbusti e rovi utilizzata per delimitare campi e prati;
– da «bersium» che significa ancora siepe, ma intesa come recinto per animali domestici;
– da «bars-bers» che starebbe ad indicare un luogo che sorge su un’altura;
– da «bar-ber» ovvero montone/pecora, oppure ancora il recinto stesso;
– da «versa» dall’antico germanico che starebbe a significare forno fusorio;
– da «berza» che significava fame.
Sembra che nessuna ipotesi sia da escludere. Sembra comunque più attendibile l’idea che Berzo derivi da «versa» ovvero forno fusorio. Infatti l’attività della fusione e lavorazione del ferro è sempre stata tra le principali, grazie soprattutto alla ricchezza di giacimenti di ferro e di acque del torrente Grigna. Non è infatti un caso che l’attività siderurgica sia quella che principalmente abbia determinato lo sviluppo del paese e che, nello stemma comunale, compaia un forno fusorio.
(10) La prima notizia della sua esistenza si ricava da una carta di perinuta, rogata dal notaio Pietro da Esine sotto il giorno di giovedi 21 aprile 1222, con la quale gli "officiales et elericos" della chiesa della Santissirna Trinità di Esine -tali Galliciano, Meliorato, Teutaldo e Giovanni- cedono al compaesano Marcio de Castello un campetto ubicato a cavallo tra i censuari di Berzo e Bienno, più precisamente "ubi dicitur Pontesellum" confinante "a mane et a sero ecelesiae Sancti Glisentini" (con un terreno di proprietà della chiesetta, dunque), ricevendo in pagamento la cinquantesima parte del monte Varesagna di Esine nonchè un'area coltivata a prato situata entro le pertinenze di detta montagna, in località "Bosechum". L'acquisita porzione della Varesagna risulta ancora in proprietà della SS. Trinità il 16 aprile 1606 quando un terreno posto nelle vicinanze venne locato a Giovanni Sibaldi di Bovegno, malghese del nobile veneziano Giovanni Emo, abate dei Santi Gervasio e Protasio di Clusane.
(11) Nella cripta si può notare, nei pressi del luogo in cui fu deposto il corpo del santo, un buco formato nei secoli dai pellegrini che staccavano frammenti dalla parete rocciosa da utilizzare come "santo rimedio" per il mal di denti.
(12) Il prossimo passo della ricerca dello studioso camuno sarà quello di verificare le correlazioni che esistono nella forma geometrica e nell'orientamento tra i tre templi a cui allude la leggenda che coinvolge anche i fratelli di S. Glisente (anch'essi eremiti), ai quali sono dedicate le chiese di San Fermo a Borno, e Santa Cristina a Lozio.
Link
- Beato Innocenzo da Berzo - La chiesa di San Glisente
- Comune di Berzo Inferiore - Leggenda di San Glisente
- Berzo Inferiore - Chiesa di San Glisente
- I quaderni della Val Grigna - San Glisente. La leggenda dell'eremita tra Val Grigna e Val Trompia
- Valcamonica - San Glisente, la chiesetta allineata col solstizio
Bibliografia
- Gaetano Barbarisi; Gianluigi Tagliabue, L'armonia della materia - un percorso dentro l'architettura religiona della Valcamonica fra decimo e tredicesimo secomo, Darfo Boario Terme, Società Editrice Vallecamonica, 1993, pp. 145.
- “La leggenda di San Glisente”, primo volume della nuova collana “I quaderni della Valgrigna” pensata e voluta da ERSAF - l'Ente Regionale Servizi Agricoltura e Foreste.
(Autrice: Alessandra Facchinetti. L'articolo si trova in versione integrale nel suo blog. Autore delle fotografie è Cristian Riva)
Argomento: S.Glisente
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