POVERA ITALIA
Fotometeore e simbologia teomorfa nell’arte figurativa Camuno-Valtellinese
(Adriano Gaspani)
Sin dall’800 gli studiosi hanno avuto un notevole interesse per i cosiddetti petroglifi, cioè le incisioni su roccia eseguite da uomini appartenenti al Paleolitico, al Neolitico, all’Eneolitico e ad età più recenti.
Magnifici esempi di arte rupestre, termine che è riduttivo e che andrebbe sostituito con il più appropriato “cultura figurativa” si possono osservare in svariate zone del territorio europeo, dalla Scandinavia alla Spagna, con notevolissimi esempi in Svizzera, Francia, Italia. Basti citare il magnifico complesso del Monte Bego, nel sud della Francia, in cui vi sono rappresentati oltre 100.000 simboli, e i petroglifi camuni della Val Camonica, in Italia con oltre 300.000 incisioni. Il termine “cultura figurativa” è più appropriato in quanto le figure incise su roccia sono certamente l’espressione di una vena artistica, ma in maniera più importante esse sono derivanti da manifestazioni di culto attribuito agli elementi naturali ed eseguiti dall’uomo protostorico non tanto con intenti puramente artistici, ma più probabilmente con fini propiziatori, quindi con finalità molto più importanti che la pura e semplice vena artistica. I petroglifi rappresentano quindi un reperto estremamente importante per comprendere il pensiero e le concezioni spirituali di quegli uomini e quindi essi possono rappresentare una sorta di anello di congiunzione tra il mondo materiale e quello spirituale. Il mondo materiale era ovviamente rappresentato dagli eventi tipici dalla vita quotidiana, mentre quello spirituale era rappresentato dagli eventi naturali, spesso inspiegabili, e dai fenomeni che potevano verificarsi nel cielo. Gli eventi astronomici giocarono quindi un ruolo fondamentale nel contesto spirituale e religioso di queste popolazioni. Ovviamente esiste una logica, a noi sconosciuta, con cui gli uomini di quel tempo rappresentarono i loro concetti mediante la loro simbologia. A noi resta attualmente il duplice compito di decifrare il messaggio così crittografato e di tentare di comprendere la chiave con cui questa logica fu codificata. Le scene rappresentate sui petroglifi sono di natura estremamente varia come lo sono gli stili ivi riconoscibili, dipendenti generalmente dal periodo preistorico o protostorico durante i quali essi furono prodotti, ma in ogni caso accanto a scene di facile ricostruzione, come per esempio scene di caccia, pesca, di pastorizia o anche di culto, esistono taluni simboli o associazioni di simboli che attualmente non hanno ancora ricevuto un’adeguata interpretazione. Tra questi sono da annoverare i simboli astratti che generalmente vanno sotto il nome di “simboli solari” in quanto dovrebbero rappresentare immagini del Sole in relazione al culto solare, molto diffuso tra quelle popolazioni soprattutto durante l’età del Rame. Non tutti i simboli classificati come solari potrebbero però riferirsi direttamente al Sole, ma è molto probabile che la rappresentazione simbolica possa essere stata estesa anche ad altri astri che potevano essere osservati nel cielo: la Luna, le comete, i pianeti visibili ad occhio nudo e le stelle più luminose, ma anche ad altri fenomeni straordinari pertinenti all’ottica atmosferica che si verificano a quota più bassa. Ciò è diretta conseguenza del fatto che una religione animistica doveva obbligatoriamente essere molto attenta ai fenomeni che si verificano nel cielo. Per l’uomo preistorico e protostorico gli eventi celesti erano genuine manifestazioni divine e come tali andavano scrupolosamente osservate ed interpretate. Ad esempio può essere considerato il ruolo della Luna per l’uomo protostorico. La presenza della Luna nel cielo poteva rischiarare il cammino a colui che doveva viaggiare, oppure avere un effetto rassicurante contro la paura delle tenebre che sopraggiungevano dopo il tramonto. Le fasi lunari erano un fenomeno talmente evidente che, non poteva passare inosservato, infatti il loro ciclo fu assunto come uno dei primi metodi di scansione e misura del tempo. La nascita di un bimbo, ad esempio, richiedeva mediamente nove cicli di fasi lunari, era quindi importante tenere il conto dei cicli trascorsi, cosa che già nel paleolitico avvenne, tanto che esistono delle prove oggettive di questo fatto. Le prove oggettive vennero trovate per la prima volta nel 1960 da Alexander Marshack che fece una interessante ricerca su una serie di ossa incise risalenti al paleolitico. Marshack individuò su tali ossa numerose sequenze di 29 e 30 incisioni, in perfetto accordo con il periodo sinodico lunare, che vale ventinove giorni e mezzo, le quali ricordavano piuttosto chiaramente la forma della Luna nelle varie fasi del suo ciclo. Lo studioso analizzando le immagini incise su ossa, corna di cervidi e su pietre, provenienti da diversi siti europei, in particolare, dalla Francia, dall’Italia, dalla Spagna, dalla Cecoslovacchia e dalla Polonia risalenti al Paleolitico Superiore, quindi cronologicamente collocabili tra circa 35.000 anni e circa 10.000 anni fa, si accorse che la registrazione grafica della sequenza delle fasi lunari era un’attività generalizzata su tutto il territorio europeo. Un altro esempio un po’ più recente è rappresentato dalla kerbstone SW22 rinvenuta presso il tumulo di Newgrange in Irlanda. Sul monolito, che dovrebbe risalire ad un periodo posto tra il 3700 e il 3500 a.C., sono rappresentate 29 incisioni che si riferiscono chiaramente all’evoluzione della fase lunare lungo un mese sinodico completo. Un altro fenomeno probabilmente rappresentato sui petroglifi potrebbe essere l’apparizione in cielo di una cometa molto luminosa, dotata magari di una coda molto estesa, fenomeno estremamente inusuale ed inaspettato che poteva affascinare, ma molto più probabilmente, terrorizzare gli uomini di quel tempo fino al punto da spingere qualcuno ad esorcizzarlo rappresentandone l’immagine sulla pietra Gli studiosi hanno classificato in un centinaio di categorie la stragrande maggioranza dei simboli rinvenuti sui petroglifi preistorici e protostorici. In Italia si trovano petroglifi preistorici in Valcamonica, in Liguria e in molte altre località dell’arco alpino. In tutti questi luoghi esistono numerose rappresentazioni simboliche del disco solare. In particolare lungo l’arco alpino possiamo rilevare una nutrita casistica relativa alla simbologia, incisa sulle rocce, di cui si può proporre una interpretazione di tipo astronomico, ma non solo di tipo solare. In generale la tipologia che si osserva è quella di un cerchio che può essere o no raggiato e spesso con un punto o una croce al centro oppure una spirale. La casistica dei simboli solari non è però, come vedremo, così limitata. Infatti prendendo in esame solamente i petroglifi presenti nelle Valle Camonica, abitata anticamente dalla popolazione dei Camuni, si possono riconoscere 22 tipi diversi di simboli di questo genere. Non dobbiamo comunque limitarci ad una visione statica, infatti non solo dovette esistere la tendenza a raffigurare l’”oggetto” cioè l’astro osservato, ma sembra si possano trovare esempi di tentativi di registrare delle sequenze temporali di avvenimenti, quali ad esempio l’evolversi di una eclisse di Sole, mediante rappresentazioni di più simboli solari vicini. In questo caso rileviamo un fatto molto importante e cioè il tentativo di dare una rappresentazione all’evolversi di un fenomeno e non solo al puro aspetto apparente di esso. La dimensione “tempo” venne quindi ad assumere un significato molto importante per gli artisti che tracciavano le figure sulla pietra, tanto da spingerli al tentativo di rappresentarla. Alcuni esempi interessantissimi di questo fatto si possono osservare sulle raffigurazioni della roccia di Seradina, presso Capodiponte in Valcamonica, su alcune rocce situate nella zona di Boario e sulla roccia del “Coren delle Fate” a Sonico in cui appaiono incisioni ottenute sia durante il Neo-Eneolitico che l’età del Bronzo che l’età del Ferro. Su questa roccia oltre a figure di tipo planimetrico appaiono decine di simboli solari di vario tipo e dimensione che sembrano essere disposti seguendo una logica tutt’altro che casuale o dettata dall’estro dell’artista in quel momento. Il “Coren delle Fate” sembrerebbe, in quest’ottica, una tavola su cui sono riportate graficamente le registrazioni dei fenomeni astronomici accaduti su un intervallo di tempo di circa 2000 anni e osservati in Valcamonica. Se questo è vero dobbiamo ammettere che esisteva presso i Camuni una spiccata sensibilità verso i fenomeni astronomici, la loro osservazione e la loro registrazione. La cosa non ci deve stupire in quanto praticamente tutte le popolazioni preistoriche che si sono succedute sul pianeta furono molto attente al cielo e ai suoi fenomeni. È interessante notare che le rappresentazioni solari, sui graffiti camuni, si dividono, grosso modo in due categorie. La prima è quella in cui il disco solare viene rappresentato in maniera simmetrica. In questo caso si potrebbe pensare che l’oggetto rappresentato sia effettivamente il Sole o la Luna o entrambi durante un’eclisse. La seconda casistica riguarda le rappresentazioni di tipo asimmetrico in cui al disco solare è aggiunto uno o più prolungamenti da uno o più lati, cioè uno o più “raggi”. Una spiegazione possibile è che l’oggetto rappresentato non fosse il Sole o la Luna, ma un altro corpo celeste il quale doveva mostrare proprio l’aspetto rappresentato dall’artista camuno, o perlomeno qualcosa di molto simile. Affinché un artista primitivo fosse colpito da una manifestazione celeste fino al punto da essere spinto a rappresentarla in modo permanente sulla roccia era necessario che essa soddisfacesse tre requisiti. Il primo è che l’oggetto doveva essere molto appariscente e ben visibile ad occhio nudo; il secondo requisito riguarda il fatto che esso avrebbe dovuto essere inusuale, cioè non corrispondere a qualche evento celeste frequentemente osservato e quindi privo di quella novità che indurrebbe alla registrazione e ultimo requisito avere un certo grado di straordinarietà unito ad un possibile significato dal punto di vista cultuale. Il terzo requisito, quello relativo al grado di straordinarietà, viene ad essere in rapporto con il culto e il divino cioè deve essere tale da poter essere attribuibile ad una imponente manifestazione divina. Ragionando da un punto di vista strettamente astronomico è naturale ammettere che fenomeni che potrebbero soddisfare tutti questi requisiti potrebbero essere, ad esempio, i passaggi delle comete luminose, le eclissi di Sole e di Luna, l’apparizione nel cielo di stelle “novae” e “supernovae”, la caduta di meteore e bolidi particolarmente brillanti e appariscenti. Studiando la grande quantità di petroglifi camuni presenti in Valcamonica e in Valtellina, ma più generalmente sul territorio della Lombardia, alla ricerca della simbologia astronomicamente significativa ci si imbatte inevitabilmente con una serie di simboli ciclomorfi, ritenuti di ispirazione teomorfa, cioè legati alla rappresentazione della divinità, i quali molto probabilmente non rappresentano altro che diverse versioni dello stesso disegno fondamentale che appare nella sua versione più rozza e semplificata, e quindi probabilmente anche la prima ad essere stata cronologicamente tracciata, sulla Roccia del Sole, presso il Capitello dei due Pini nella località Plas di Paspardo. Questa grande roccia riporta alcuni simboli, che sembrerebbero connessi più all’osservazione del cielo che ad eventi di vita quotidiana, i quali sono rappresentati generalmente da coppelle raggruppate in maniera molto significativa, frammiste a figure umane con le braccia aperte (oranti), qualche alabarda e qualche figura di animale, ma soprattutto un oggetto formato da una serie di tre dischi concentrici da cui emergono tre serie di raggi divergenti orientati verso il basso. Accanto alla serie di dischi concentrici si osservano due piccoli cerchi, uno per lato, e poco più in alto a sinistra, un grosso disco interamente picchiettato, forse l’immagine della Luna. La roccia risale alla fase A del periodo III della cultura Camuna e quindi è databile circa tra il 3200 a.C. e il 2500 a.C. pressappoco all’inizio dell’arte monumentale camuna in cui si osservano le tipiche composizioni stilizzate.
Fig.1: Il simbolo ciclomorfo tracciato sulla parete di roccia del Capitello dei Due Pini a Paspardo.
L’incertezza sulla datazione della Roccia di Paspardo però è di oltre, mezzo millennio. Questo valore è tale da rendere molto problematico, in linea di principio qualsiasi tentativo di identificazione del possibile fenomeno astronomico a cui la rappresentazione si potrebbe riferire. Questo simbolo appare raffigurato su almeno altri nove reperti i quali sono esclusivamente massi incisi e rocce-steli rinvenute in Valcamonica e in Valtellina che è geograficamente comunicante con quest’ultima, ma anche su un menhir rinvenuto nei pressi di Ello, presso Lecco. L’analisi delle immagini rilevate sui 10 reperti è stata eseguita mediante raffinate tecniche di “pattern processing” in modo da calcolare matematicamente il grado di correlazione incrociata (cross correlation) tra le varie configurazioni. I risultati ottenuti mostrano chiaramente due fatti degni di interesse. Il primo è che tutti gli 11 simboli sono altamente correlati l’un con l’altro, anche se si rilevano su reperti diversi rinvenuti a svariati chilometri di distanza l’uno dall’altro. Il secondo fatto è che è molto probabile che tutti quelli camuni e valtellinesi possano discendano da quello rappresentato sulla roccia di Paspardo, che sembrerebbe essere il più antico, mentre quello di Ello sembra essere indipendente anche se probabilmente coevo. Vediamo ora di esaminare i vari reperti e la tipologia del simbolo su essi tracciato; iniziamo dai due Massi trovati a Borno, in Valcamonica.
Fig.2: Masso di Borno No. 1 – Faccia 1
Il Masso di Borno fu scoperto nel 1953 dal geologo A. Pollini ai piedi del “Dos Averta”, un’altura locale. Si tratta di un masso di arenaria permiana alto circa 2,3 metri ed inciso sulle quattro facciate. La più interessante, in questo momento, risulta essere la faccia No.1 in quanto su di essa in aggiunta a figure di tipo antropomorfo e zoomorfo, armi e ornamenti, compare il simbolo teomorfo a dischi concentrici con tre appendici a forma di coda analogo a quello inciso sulla Roccia del Sole presso il Capitello de Due Pini a Paspardo. In questo caso i due dischi laterali sono disposti in posizione più bassa e sono incisi in maniera meno evidente. Il simbolo è grosso modo simile sia per orientazione che per forma fatta eccezione per le maggiori dimensioni del disco centrale. Sulla parete opposta (faccia 2) del masso N.1 di Borno esiste un’altra rappresentazione solare, ma in questo caso essa è differente in quanto consiste in un cerchio non raggiato, ma parzialmente immerso in una serie di striature trasversali. In questo caso potrebbe anche trattarsi di una rappresentazione della Luna invece che del Sole. Le due facce del masso di Borno potrebbero essere quindi ritualmente connesse con i due astri più appariscenti visibili nel cielo. Il masso No.2 di Borno fu scoperto nel 1983 da G. F. Rivadossi. Dal punto di vista archeoastronomico esso risulta importante in quanto su di esso appare inciso, oltre alle consuete figure di asce, pugnali e cervidi, nuovamente il simbolo teomorfo. La rappresentazione, in questo caso è curiosamente capovolta, infatti i “raggi” sono questa volta rivolti verso l’alto, contrariamente a quanto succede per tutti gli altri casi in cui il simbolo è rappresentato.
Fig.3: Stele di Caven No.3 - Valtellina
Occupiamoci ora delle rappresentazioni che è stato possibile rilevare sulle statue steli situate non più in Valcamonica bensì in Valtellina. Nella località di Caven sono state rinvenute tre steli sulle quali è rappresentato il simbolo teomorfo di cui ci stiamo occupando. Le steli di Caven sono ritenute dagli studiosi essere state rinvenute, negli anni subito dopo il 1940, pressoché nel luogo della loro giacitura originale. La collocazione cronologica delle steli di Caven è posta all’età del Rame. Iniziamo dalla stele di Caven No.1; su di essa sono presenti alcune raffigurazioni che si collegano direttamente alla composizioni monumentali camune con la presenza di figure di asce, alabarde, pugnali e animali.
Fig.4: Stele di Caven - Valtellina
Quello che però è importante per noi ora è il simbolo teomorfo ivi rappresentato. Infatti il simbolo rappresentato discende direttamente da quello classico rappresentato sulla Roccia del Sole di Paspardo con la differenza che i dischi laterali sono di diametro maggiore, spostati lateralmente verso il basso e, tangente internamente a ciascuno di essi, vi è tracciato un altro cerchio. Il disco centrale contiene altri due dischi concentrici il più interno dei quali è opaco. La stele No.2 di Caven riporta figurazioni molto simili a quella presenti sulla No.1. In particolare il simbolo teomorfo è qui presente con tre serie di raggi e con gli usuali due dischi laterali i quali risultano essere spostati un poco verso il basso analogamente a quanto visibile sulla Caven 1, ma in questo caso però i due dischi laterali sono puntati nel centro. Anche stele di Caven No.3, mostra inciso il simbolo teomorfo rappresentato con il disco centrale formato da cinque cerchi concentrici da cui si dipartono verticalmente verso il basso tre raggi, mentre ai lati di essa sono rappresentati due dischi vuoti. La stele comprende anche altre incisioni che richiamano motivi decorativi.
Fig.5: Stele di Valgella No.1
In questo caso sembrerebbe probabile che sia avvenuta una rielaborazione del simbolo teomorfo il quale pur conservando le caratteristiche originali è stato elaborato e abbellito con l’aggiunta di decorazioni. In questo caso avremmo una trasposizione simbolica della registrazione di un fenomeno astronomico avvenuto sicuramente molto tempo prima affinché il ricordo e la rappresentazione di esso avesse avuto il tempo di sedimentare ed evolversi fino allo stadio qui rappresentato, oppure la rappresentazione di un altro fenomeno dello stesso tipo osservato localmente. Lateralmente al simbolo teomorfo è stata incisa anche una coppia di pendagli a doppia spirale ai quali gli studiosi hanno attribuito un ben preciso significato simbolico di matrice solare. Nuovamente in Valtellina, presso la località di Cornal gli archeologi hanno rinvenuto una stele su cui risulta presente il simbolo teomorfo in oggetto.
Fig.6: Masso di Borno No.2
Tale simbolo evoluto e trasposto simbolicamente compare anche sulla Stele di Cornal, in cui si rileva nuovamente la presenza del disco centrale composto da alcuni cerchi concentrici, ma solo due in questo caso, munito degli ormai classici tre raggi. Accanto al disco principale appaiono, posizionati sullo stesso asse i due dischi laterali che in questo caso sono più marcati assumendo una dimensione approssimativamente pari a quella del disco centrale. Anche su questa stele appare un motivo decorativo sotto il simbolo teomorfo analogo a quello della stele di Caven No.3. Il simbolo teomorfo compare anche su due steli trovate a Valgella, sempre in Valtellina. Sulla Stele di Valgella No.1, l’incisore ha rappresentato nuovamente la testa formata dal disco centrale inciso con quattro cerchi concentrici e tre appendici (raggi) divergenti rivolti verso il basso. Accanto ad esso si possono ritrovare i due dischi laterali disposti anche questa volta uno per lato, ma sullo stesso allineamento rispetto al disco centrale. Anche su questo reperto la trasposizione è di tipo simbolico e rielaborato in modo analogo a quello posto sulle steli di Caven No.3, e di Cornal. Su questa stele, però il simbolo teomorfo appare isolato, privo cioè dei motivi decorativi che appaiono sulle altre steli citate. Analogamente alla stele No.1 di Valgella, la stele No.2 possiede il simbolo teomorfo trasposto simbolicamente, ma in questo caso, decorato in maniera analoga alla stele di Cornal. La somiglianza tra il simbolo teomorfo rappresentato sulla stele No.2 di Valgella e quello sulla stele di Cornal è impressionate. Il disco principale in questo caso si differenzia da tutte le altre rappresentazioni disponibili in quanto esso da circolare diventa ovoidale, mentre i dischi laterali rimangono circolari e disposti sullo stesso asse di quello principale. Esaminando i dieci simboli sorge spontaneo e naturale pensare ad una evoluzione nel tempo durante il quale il simbolo teomorfo venne rappresentato. Inizialmente rileviamo una rappresentazione molto grezza quale è quella visibile sulla Roccia del Sole in località Plas di Paspardo (Capitello dei Due Pini). Successivamente rileviamo le rappresentazioni un po’ più accurate e perfezionate quali quelle rilevabili sui massi di Borno. Successivamente la configurazione sembra evolversi da un semplice disegno geometrico in una trasposizione simbolica molto ricercata e ricca di decorazioni come possiamo rilevare dalle steli valtellinesi. È possibile che fosse trascorso molto tempo dall’epoca in cui il fenomeno astronomico fu osservato e il periodo in cui i massi di Borno e le steli valtellinesi furono incise. Se questa sequenza cronologica è corretta si deve ammettere anche che l’idea della rappresentazione si è diffusa verso nord propagandosi dalla Vacamonica alla confinante Valtellina. Durante il tempo trascorso, il simbolo pur conservando i suoi caratteri essenziali potrebbe essersi evoluto perdendo la caratteristica di possibile rappresentazione fedele di qualcosa di effettivamente osservato in cielo, ma rappresentando ormai simbolicamente qualche entità divina e quindi vennero aggiunte le decorazioni sia sul simbolo sia sotto di esso. Le steli infatti erano oggetto di culto, prova ne è il complesso trilitico di Asinino-Anvoia presso Ossimo il quale costituiva, per i Camuni localmente residenti, un importante luogo sacro. Gli archeologi hanno attribuito a questo simbolo un’interpretazione spirituale, cioè una rappresentazione avulsa dalla cultura materiale. Questa è sicuramente una interpretazione di tutto rispetto, ma quello che fino ad ora non è noto è il perché della scelta da parte degli incisori dei dieci megaliti di rappresentare proprio quel simbolo, tenendo conto che i megaliti non sono coevi. Un noto e rinomato studioso suggerì, un po’ di tempo fa, per l’interpretazione del simbolo in questione: “...un simbolo solare posizionato tra due simboli astrali”, ma senza fornire alcun riferimento al possibile fenomeno astronomico a cui il simbolo avrebbe potuto riferirsi. Recentemente altri studiosi hanno attribuito al simbolo teomorfo una valenza archeoastronomica tesa a codificare le direzioni del tramonto solare solstiziale ed equinoziale osservato dal Capitello dei Due Pini a Paspardo, altri ne hanno proposto una funzione di tipo gnomonica, mancando entrambi però di proporre una conveniente interpretazione degli altri simboli dello stesso tipo presenti sulle steli camuno-valtellinesi e sul menhir di Ello, che fossero in accordo con loro ipotesi. Qualsiasi spiegazione che si propone deve, per essere valida, rendere conto di tutti i simboli presenti al minino nell’area camuno-valellinese e non di uno solo. A questo punto dobbiamo porci due importanti domande. La prima riguarda la probabilità che il simbolo teomorfo non sia altro che una rappresentazione del Sole casualmente diversa dai consueti simboli solari, raggiati o meno, che gli archeologi hanno rilevato tra le incisioni rupestri camune. La seconda domanda riguarda invece la probabilità che il simbolo in questione possa essere stato rappresentato per 10 volte su 10 reperti differenti, posti nell’area camuno-valtelinese, in maniera tale che il grado di correlazione incrociata calcolato sia risultato superiore al 80%, solamente a seguito di una combinazione di fattori puramente dovuti al caso, escludendo quindi la deliberata volontà di rappresentare qualcosa di ben preciso, probabilmente corrispondente ad un fenomeno effettivamente osservato. Per rispondere a queste due domande dobbiamo dapprima tener conto che gli archeologi hanno individuato in Valcamonica ben 22 differenti morfologie di simboli solari, quindi la probabilità di rilevarne casualmente uno di essi inciso da qualche parte è inferiore al 5%. La questione è molto più complessa di quanto sembrerebbe a prima vista, infatti la probabilità che si presentino casualmente 10 simboli i cui pattern siano correlati l’un con l’altro con un valore del coefficiente di correlazione incrociata superiore o uguale all’80%, è difficile da calcolare, ma è possibile farlo ed il risultato è pari a circa il 0,5%. Dobbiamo quindi ammettere che la somiglianza dei 10 simboli su 10 reperti indipendenti ad un pattern diciamo “medio” tra di essi è non casuale con il 99,5% di probabilità. Dobbiamo ora notare un altro fatto interessante e cioè che il simbolo teomorfo in questione è tra i 22 rilevati in Val Camonica ed in Valtellina, territori tipici della cultura camuna, il più complesso in assoluto. Il grado di complessità di un pattern è misurabile calcolando, mediante opportune tecniche matematiche, il cosiddetto “spettro di potenza”; più l’immagine è complessa e ricca di particolari e maggiormente ricco sarà il suo spettro di potenza, e se l’immagine è ricca di particolari fini osserveremo che altrettanto lo sarà la parte di spettro di potenza nelle zone corrispondenti alle altre frequenze spaziali. Dalla complessità è possibile passare al grado di entropia della configurazione e quindi alla quantità di informazione codificata nel pattern in oggetto e alla probabilità che quella particolare configurazione possa casualmente essere osservata. Nel caso del simbolo teomorfo rileviamo che, essendo il più complesso tra i 22 sperimentalmente rilevati, esso è quello di entropia minore e quindi anche quello che dovrebbe avere la minor probabilità di essere osservato.
Fig.7: La rifrazione della luce solare attraverso i minuscoli cristalli di ghiaccio sospesi nell’atmosfera durante un giorno invernale produce il fenomeno delle fotometeore.
Il fatto che proprio quello sia stato prescelto per essere tracciato sulla sommità delle steli e sui massi distribuiti geograficamente anche e rilevanti distanze e che capiti una sola volta su una parete di roccia incisa ci fa sospettare che esso abbia rivestito un particolare significato simbolico per le popolazioni camune e valtellinesi; rimane ora da capire il perché e cosa esso volesse probabilmente significare. Il simbolo tracciato sulla Roccia del Sole di Paspardo risulta essere quello di minor complessità tra i 10 analizzati, quindi appare molto probabile che quella roccia contenga la rappresentazione più fedele, quella più antica e quindi cronologicamente più prossima all’epoca in cui l’evento astronomico, a cui potrebbe riferirsi, fu visibile nel cielo della Valcamonica, il quale potrebbe quindi essere collocato grosso modo in un intervallo di tempo compreso tra il 3200 e il 2500 a.C. Ragionando dal punto di vista puramente astronomico è possibile rilevare l’esistenza di un certo numero di fenomeni che potrebbero essere accaduti durante il periodo cronologico in cui i reperti si collocano. Una delle ipotesi possibili potrebbe prevedere che il simbolo teomorfo altro non fosse stato che la rappresentazione di una cometa molto luminosa e con più di una coda visibile ad occhio nudo e comparsa inaspettatamente nel cielo poco tempo prima che la Roccia del Sole fosse incisa, nell’epoca in cui la cultura camuna era in pieno sviluppo; questa ipotesi fu proposta una decina d’anni fa dallo scrivente. La cometa potrebbe essere transitata, all’epoca in cui fu visibile in cielo, tra due stelle luminose le quali potrebbero essere state rappresentate sulla roccia sotto forma di due piccoli cerchi ai lati della testa della cometa. Analizzando la forma del simbolo teomorfo si osservano alcuni fatti molto interessanti tra i quali la rappresentazione tricaudata. In questo caso però le code risulterebbero stranamente corte a meno di ammettere una posizione tale della cometa da essere visibile di scorcio dalla Terra. Alla fine l’ipotesi della cometa appare ben poco probabile. Ovviamente siamo in presenza di una trasposizione simbolica del possibile oggetto celeste, quindi il rispetto delle dimensioni relative tra le varie componenti del simbolo e il rapporto con la possibile realtà è una questione completamente arbitraria. La raffigurazione con tre code aperte con un angolo di circa 60° emergenti da un disco centrale circondato da tre cerchi concentrici suggerisce però la trasposizione simbolica di un fenomeno di tipo differente.
La simbologia teomorfa che troviamo tracciata sulle steli e sui massi monumentali camuno-valtellinesi, non è immaginaria, ma potrebbe corrispondere invece ad una serie di fenomeni effettivamente osservati nel cielo, non però di tipo astronomico, ma pertinenti all’ottica atmosferica, noti con il termine tecnico di “Fotometeore” che in particolari condizioni si possono realmente verificare e quindi essere sperimentalmente osservati. La definizione di “Fotometeora”, contenuta nel International Cloud Atlas, è “un fenomeno luminoso prodotto da riflessione, rifrazione, diffrazione o interferenza della luce solare o lunare da parte dell’atmosfera della Terra”. Quindi effettivamente il cielo poteva mostrare la fittizia presenza di “tre Soli”, posti uno accanto all’altro, ma solo quello centrale era il Sole vero, gli altri, quelli laterali, altro non erano che immagini spurie di esso.
Fig.8: Apparizione dei “tre Soli” all’alba di un freddo giorno d’inverno.
Allo stesso modo sia il Sole che la Luna possono apparire alla vista circondati da uno o più aloni circolari bianchi brillanti o colorati con i colori dell’arcobaleno e generare le immagini laterali spurie. Questo tipo di fenomeni obbedisce a leggi fisiche ben precise, seppur molto complesse, e quindi anche se la matematica che le descrive è molto complicata, è possibile eseguire appropriate simulazioni numeriche mediante tecniche cosiddette di “Ray Tracing” riuscendo a riprodurre molto bene l’aspetto osservabile del fenomeno. Il gruppo di fenomeni che vanno sotto il nome di Fotometeore appaiono come anelli, archi, colonne e le macchie luminose che si osservano nel cielo in seguito alla rifrazione e alla riflessione della luce solare e lunare da parte di minuscoli cristalli di ghiaccio sospesi nelle nuvole poste in alta quota nell’atmosfera, generalmente tra i 5 e i 14 Km, nelle regioni temperate, mentre nelle regioni polari la quota si riduce a circa 3-8 Km e nelle regioni tropicali essa raggiunge i 6-18 Km. Le fotometeore sono generalmente visibili soprattutto in inverno appunto perché è richiesta la presenza dei minuscoli cristalli di ghiaccio nelle nubi. Questo implica che tendenzialmente la loro visibilità possa verificarsi solamente quando la temperatura è sufficientemente bassa e quindi quasi esclusivamente nei mesi invernali.
Fig.9: Geometria delle Fotometeore: O : osservatore; S : Sole posto al centro dell’alone principale (il Piccolo Alone) di 22° di raggio e del Grande Alone di 46° di raggio; b : pareli posti a circa 22° uno per parte dal Sole; c : arco circumzenitale tangente al Grande Alone; d : Archi Tangenti superiore ed inferiore; f : Colonna luminosa e croce; g : Cerchio Parelico; h : Archi Tangenti Infralaterali; i : pareli a 120° dal Sole: k : pareli a 46° circa dal Sole; l : pareli di 90° dal Sole; m : Antelio. Le linee tratteggiate mostrano le configurazioni che appaiono eccezionalmente. Nel diagramma l’osservatore, posto in O, guarda il Sole che tramonta ad Ovest.
La presenza delle Fotometeore durante mesi di inizio autunno, come Settembre e Ottobre, oppure primaverili come Marzo e Aprile indica che quell’annata o quella serie di annate furono particolarmente fredde.
Fig.10: Il grande alone con i pareli laterali all’alba di un freddo giorno d’inverno.
Gli aloni possono presentarsi attorno al Sole o alla Luna sia singolarmente sia in serie e la loro disposizione geometrica intorno ai due astri è regolata da ben precise leggi fisiche, tanto che la loro ampiezza angolare rispetto al Sole o alla Luna, che ne costituiscono il centro, può assumere solamente alcuni valori numerici ben determinati. L’alone di dimensioni angolari più ridotte è il cosiddetto “piccolo alone”, il quale si estende come un cerchio luminoso caratterizzato da un’ampiezza angolare pari a 22° dal Sole o dalla Luna in ogni direzione. Questo avviene poiché l’angolo di 22° è il minimo angolo di deviazione per un raggio di luce che viene rifratto passando attraverso un prisma di ghiaccio con le facce inclinate di 60°; questo alone viene quindi a formarsi quando la simmetria dei cristalli di ghiaccio si avvicina a quella dei prismi a sezione esagonale. L’alone da 22° è quello osservato con maggior frequenza. Talvolta vengono osservati anche due archi tangenti all’alone da 22° sia nel punto più alto sulla sfera celeste sia nel suo punto più basso, essi sono detti, appunto, “Archi Tangenti” superiore ed inferiore, rispettivamente. I punti di tangenza devono giacere sul cerchio verticale astronomico passante per il Sole. L’arco tangente superiore in genere appare più frequentemente rispetto all’arco tangente inferiore ed entrambi possono ridursi a due semplici macchie luminose poste nei punti di tangenza, se l’altezza angolare apparente del Sole è elevata. A seconda dell’altezza apparente del Sole sulla sfera celeste gli archi tangenti possono mostrare la loro concavità verso il Sole oppure dalla parte opposta, generalmente se l’altezza apparente dell’astro è bassa, tra 1° e 20° rispetto all’orizzonte astronomico locale, allora la concavità è orientata in direzione opposta al Sole, se invece l’altezza apparente del Sole è maggiore allora la concavità degli archi tangenti è orientata verso di esso. Più raramente, quando l’altezza apparente del Sole raggiunge i 40°, gli archi tangenti possono chiudersi intorno al Sole formando un anello ellittico brillante. Esiste poi l’alone ampio 46°, detto “Grande Alone” il quale è meno luminoso, appare solo occasionalmente ed a causa della sua grande ampiezza, difficilmente è visibile in tutta la sua estensione. Il Grande Alone, per formarsi, richiede che i cristalli di ghiaccio siano assimilabili a prismi a sezione quadrata o rettangolare le cui facce siano ortogonali tra loro.
Fig.11: Simulazione mediante Ray-Tracing (30 milioni di raggi) della Fotometeora corrispondente ad un altezza apparente del Sole pari ad 1° rispetto all’orizzonte astronomico locale. La configurazione si riferisce quindi all’alba o al tramonto (6 minuti circa dopo l’alba o prima del tramonto); ai lati del Sole appaiono i due pareli i quali giacciono sul cerchio parelico, che a causa della ridotta altezza del Sole, si dispone parallelamente alla linea dell’orizzonte astronomico locale. La ridotta altezza solare permette alle “colonne solari” di apparire in modo molto evidente e brillante. Sotto la colonna solare inferiore si intravede il cosiddetto “sottosole”.
Abbiamo poi il cosiddetto “Cerchio Parelico”, il quale è un anello bianco brillante che passando per il Sole si estende tutto intorno parallelamente all’orizzonte astronomico locale. Il cerchio parelico interseca il piccolo alone (ampio 22° per parte) ed in prossimità delle intersezioni appaiono i “Pareli” i quali sono le immagini spurie del Sole e che sono i due “soli” che insieme a quello vero compongono i misteriosi “tre soli” che le fonti storiche ci tramandano con stupore e talvolta con grande preoccupazione se non addirittura con terrore.
Fig.12: Simulazione mediante Ray-Tracing (30 milioni di raggi) della Fotometeora corrispondente ad un altezza apparente del Sole pari ad 10° rispetto all’orizzonte astronomico locale. La configurazione si riferisce quindi a 56 minuti dopo l’alba o prima del tramonto; ai lati del Sole appaiono i due pareli i quali sono elevati di 2°,5 rispetto all’altezza del Sole e giacciono a 22° per parte lungo il cerchio parelico. A causa della ridotta altezza del Sole rispetto all’orizzonte la “colonna solare” è ancora ben visibile, come lo è anche il Sottosole. La maggior altezza apparente del Sole fa si che l’arco tangente superiore si allarghi.
I pareli appaiono uno a destra ed uno a sinistra del Sole ad un angolazione un poco superiore ai 22° gradi rispetto al centro del disco solare e ad un’altezza angolare apparente un poco maggiore rispetto a quella del Sole. La variazione della differenza di altezza tra i pareli ed il Sole aumenta con l’aumentare dell’altezza apparente dell’astro tanto che è nulla quando esso è posto sull’orizzonte astronomico locale e raggiunge i 14° quando l’altezza del Sole è pari a 55°. Se il Sole è più alto di 60° 45’ non è più possibile la formazione dei pareli. La teoria prevede anche la possibilità che si formino anche altri due pareli ad una distanza angolare di 120° a destra ed a sinistra del Sole e questi vanno sotto il nome di “Paranteli”. Effettivamente talvolta, in particolari condizioni, essi appaiono alla vista e allora le fonti storiche parlando addirittura di “5 soli visti in cielo”. Addirittura è possibile la formazione di un’antisole posto esattamente sulla sfera celeste nella posizione opposta al Sole e simmetrica rispetto all’osservatore: in questo caso si parla di “Antelio”.
Fig.13: Simulazione mediante Ray-Tracing (30 milioni di raggi) della Fotometeora corrispondente ad un altezza apparente del Sole pari ad 20° rispetto all’orizzonte astronomico locale. La configurazione si riferisce quindi a 1 ora e 53 minuti dopo l’alba o prima del tramonto; ai lati del Sole appaiono i due pareli i quali sono elevati di 5° rispetto all’altezza del Sole. Sono ben visibili l’arco tangente superiore ed il cerchio parelico, su cui giacciono i due finti Soli.
Nel caso sia la Luna a mostrare questi fenomeni nottetempo allora la terminologia prevede i Paraseleni, i Parantiseleni e gli Antiseleni, rispettivamente. La teoria prevede anche l’esistenza di un alone ampio 90°, noto come Alone di Hevelius, che appare molto raramente e può essere osservato solo se il Sole si trova allo Zenit locale, cioè sulla verticale dell’osservatore. Talvolta, sebbene molto raramente possono essere visti anche i cosiddetti “archi circumzenitali” i quali sono archi paralleli all’orizzonte astronomico locale che mostrano una colorazione rossa all’esterno e violetta all’interno. L’arco circumzenitale superiore appare in prossimità dello Zenit quando l’altezza del Sole è inferiore a 32°, mentre il circumzenitale inferiore appare quando l’altezza del Sole è superiore a 58° rispetto all’orizzonte astronomico locale. L’arco circumzenitale superiore tocca il grande alone (quello di raggio pari a 46°) qualora il Sole abbia un’altezza angolare apparente pari a 22°, mentre se l’astro è ad un’altezza pari a 68° allora sarà l’arco circumzenitale inferire ad essere tangente al grande alone.
Fig.14: Simulazione mediante Ray-Tracing (30 milioni di raggi) della Fotometeora corrispondente ad un altezza apparente del Sole pari ad 30° rispetto all’orizzonte astronomico locale. La configurazione si riferisce quindi a 2 ore 49 minuti dopo l’alba o prima del tramonto; ai lati del Sole appaiono i due pareli i quali sono elevati di 7°,5 circa rispetto all’altezza del Sole. Sono ben visibili l’arco tangente inferiore ed il cerchio parelico.
Qualora l’altezza del Sole, che è continuamente variabile nell’arco della giornata si discosti da 22° e 68°, allora gli archi circumzenitali perderanno la loro tangenza con il grande alone e si allontaneranno proporzionalmente alla differenza tra l’altezza apparente dell’astro diurno e i valori critici. Gli archi circumzenitali possono divenire visibili anche quando il Grande Alone non lo è.
Fig.15: Simulazione mediante Ray-Tracing (in questo caso la simulazione è stata spinta fino a 100 milioni di raggi) della Fotometeora corrispondente ad un altezza apparente del Sole pari ad 40° rispetto all’orizzonte astronomico locale. La configurazione si riferisce quindi a 3 ore e 46 minuti dopo l’alba o prima del tramonto; ai lati del Sole appaiono i due pareli i quali sono molto più luminosi ed estesi dell’astro, elevati di 10° circa rispetto all’altezza del Sole. Sono ben visibile l’arco tangente superiore il cerchio parelico e altre strutture che possono diventare visibili in casi meno frequenti. In questa simulazione appare visibile anche il “grande alone” ampio 46° per parte rispetto al Sole.
Le colonne solari possono divenire visibili soprattutto quando il Sole è basso sull’orizzonte astronomico locale, quindi all’alba e al tramonto e frequentemente si estendono, partendo dal Sole per circa 20° sopra e sotto di esso. Quando il Sole è al tramonto allora la colonna solare assume un colore marcatamente rosso, ma generalmente essa è di colore bianco, talvolta macchiettato. Quando il Sole è alto nel cielo allora la Colonna Solare può apparire sia sopra che sotto l’astro con un colore bianco non molto brillante. Talvolta le colonne solari appaiono insieme ai pareli e al cerchio parelico , in questo caso i fenomeno è molto spettacolare e l’aspetto è quello di una croce luminosa nel cielo; se anche il piccolo alone è visibile allora l’aspetto è quello di una spettacolare croce luminosa inscritta in un cerchio altrettanto brillante.
Fig.16: Simulazione mediante Ray-Tracing (30 milioni di raggi) della Fotometeora corrispondente ad un altezza apparente del Sole pari ad 50° rispetto all’orizzonte astronomico locale. La configurazione si riferisce quindi a svariate ore dopo l’alba o prima del tramonto a seconda della latitudine del luogo; ai lati del Sole non appaiono più i due pareli in quanto l’altezza dell’astro inizia ad essere troppo elevata. Rimane ora però ben visibile il “piccolo alone” ampio 22° ed il cerchio parelico.
Rimane ora da considerare il cosiddetto “Sottosole” che appare visibile a causa della riflessione (e non rifrazione, in questo caso) della luce solare da parte dei cristalli di ghiaccio presenti nelle nubi alte. L’aspetto è quello di una macchia bianca molto brillante che appare verticalmente sotto il Sole. Il sottosole può essere osservato solamente da una posizione elevata quale la cima di una montagna o da un aereo. Nonostante questi fenomeni siano stati molto frequentemente osservati ed anche rappresentati sui petroglifi prodotti dalle antiche culture, come avvenne nel caso dei Camuni, la prima osservazione eseguita con criterio scientifico è dovuta all’astronomo tedesco Johannes Hevelius il quale ne osservò uno il 10 aprile 1682 ipotizzandone correttamente l’origine. Un altro particolare tipo di alone è la “Corona” che può apparire intorno al Sole oppure alla Luna quando il cielo è pressoché nuvoloso e gli astri si trovano ad una consistente altezza apparente rispetto all’orizzonte astronomico locale.
Fig.17: Rara immagine della Corona Lunare
In questo caso però la causa fisica è la rifrazione e la riflessione dei raggi luminosi attraverso minuscole goccioline d’acqua sospese nelle nuvole più basse, invece che attraverso cristalli di ghiaccio. Il più delle volte, aloni e corone sono praticamente incolori oppure biancastri, talvolta però, sia gli uni che le altre possono essere molto colorati, (soprattutto quelli che si formano circondando il Sole), mostrando i colori dell’arcobaleno e questo avviene poiché è la luce solare ad essere rifratta e scomposta nelle sue componenti fondamentali dai minuscoli cristalli di ghiaccio che agiscono come se fossero minuscoli prismi rifrangenti. Il grado di colorazione degli aloni sembra dipendere dalla loro dimensione angolare nel senso che gli aloni piccoli possono essere color rosso vivo all’interno, e sfumare all’esterno in un bianco azzurrino, mentre gli aloni di maggiori dimensioni appaiono generalmente completamente bianchi, oppure presentano i colori dell’iride, ma invertiti, cioè con l’azzurro posto all’interno ed il rosso all’esterno. Anche le corone appaiono talvolta colorate poiché le goccioline d’acqua riflettono e rifrangono la luce solare sulla base delle stesse leggi fisiche, quelle proprie del fenomeno della rifrazione, che regolano la formazione degli aloni: generalmente esse sono colorate di blu nella loro parte interna. L’aureola invece è un tipo di corona poco sviluppata, i cui colori vanno dal bianco azzurrino nella sua parte più interna al marrone del cerchio più esterno. Gli anelli, siano essi aloni o corone o aureole, che appaiono attorno al Sole sono di solito meno visibili di quelli che appaiono intorno alla Luna, perché lo splendore del Sole tende ad offuscarli. Questi splendidi spettacoli si possono osservare soprattutto d’inverno, durante le albe gelide e i freddi tramonti; sono quindi fenomeni comuni solo a latitudini relativamente elevate dove i cristalli di ghiaccio possono rimanere sospesi nelle nubi per lungo tempo, durante annate particolarmente fredde, però, possono verificarsi anche a latitudini più basse, come le rappresentazioni teomorfe camuno-valtellinesi sembrerebbero testimoniare. A questo punto dobbiamo correlare le caratteristiche dei fenomeni descritti con le raffigurazioni che troviamo incise sulle rocce camune, valtellinesi ed anche sul menhir di Ello.
Iniziamo con il simbolo rappresentato sul Capitello dei Due Pini in località Plas di Paspardo, che è quello di complessità configurazionale più semplice. Se l’ipotesi di correlazione con l’osservazione di una o più fotometeore è valida allora la configurazione che meglio vi si adatta secondo i risultati delle tecniche di “pattern matching” è quella relativa ad un fenomeno avvenuto da 2 a 3 ore dopo l’alba o prima del tramonto di un giorno invernale, con l’altezza del Sole pari a circa 30° sull’orizzonte astronomico locale.
Fig.18: Confronto tra i risultati della simulazione computer e la configurazione incisa sulla roccia del Capitello dei Tre Pini in località Plas di Paspardo eseguita mediante “Ray Tracing”con 30 milioni di raggi, assumendo che nell’atmosfera fossero sospesi minuscoli cristalli di ghiaccio di forma prismatica esagonale. L’immagine del Sole al centro del cerchio parelico è stata schermata nella simulazione.
La simulazione è stata eseguita mediante “Ray Tracing”con 30 milioni di raggi, assumendo che nell’atmosfera fossero sospesi minuscoli cristalli di ghiaccio di forma prismatica esagonale. Secondo questo modello il disco centrale si riferirebbe al Sole, mentre i dischi laterali sarebbero la rappresentazione dei sue pareli. I raggi emergenti e diretti verso il basso sarebbero una rappresentazione dei bracci dell’arco tangente inferiore e quella centrale rappresenterebbe la colonna solare. L’ampiezza dell’angolo tra i due bracci dell’arco tangente inferiore dipendono dall’altezza del Sole rispetto all’orizzonte astronomico locale. La durata della visibilità del fenomeno fotometeorico solare è di alcune ore, soprattutto se la temperatura dell’aria è bassa quindi l’aspetto della fotometeora varia in funzione della variazione dell’altezza del Sole sull’orizzonte astronomico locale, di conseguenza inizialmente si vedono i due pareli laterali e la colonna solare, che nel petroglifo corrispondono ai due dischi laterali e al braccio centrale verticale, successivamente, aumentando l’altezza dell’astro rispetto all’orizzonte, si aprono i due segmenti dell’arco tangente inferiore al cerchio parelico che vanno a corrispondere ai due bracci laterali della figura rappresentata nel petroglifo. Questo meccanismo di riferisce all’osservazione della foto meteora durante la mattina, dopo la levata del Sole; nel caso dell’osservazione di una fotometeora nelle ore pomeridiane, quindi dopo il transito del Sole al meridiano astronomico locale, la sequenza cronologica si inverte in quanto l’altezza apparente dell’astro diminuisce con il passare delle ore. Il petroglifo rappresentato sulla roccia di Paspardo è posto sul versante orientale della valle e la roccia è ubicata con la faccia incisa verso ovest. Questo suggerirebbe che a Paspardo l’osservazione del fenomeno sia avvenuta nella direzione del quadrante est-sudest, grosso modo verso il monte Concarena, durante un freddo pomeriggio invernale e proseguita fino quasi al tramonto del Sole.
Fig.19: Confronto tra i risultati della simulazione computer, la configurazione incisa sulla roccia del Capitello dei Tre Pini in località Plas di Paspardo e quella presente sulla stele di Caven No. 3, eseguita anche in questo caso, mediante “Ray Tracing”con 30 milioni di raggi, assumendo che nell’atmosfera fossero sospesi minuscoli cristalli di ghiaccio di forma prismatica esagonale. L’immagine del Sole al centro del cerchio parelico è stata schermata nella simulazione.
Questo modello potrebbe adattarsi bene non solo al petroglifo di Paspardo, ma anche alle rappresentazioni rilevabili sul masso No.1 di Borno, sulla stele di Valgella No.1 ed al simbolo solare inciso sul lato C della stele Ossimo 2, ma anche sul masso No.2 di Borno, anche se in questo caso il petroglifo fu inciso capovolto.
Lo stesso modello potrebbe adattarsi bene anche alle steli di Caven e di Cornal, in queste ultime però rileviamo anche una figura ad “U” incisa sotto il petroglifo tricaudato la quale potrebbe forse essere intesa come la rappresentazione della parte inferiore del cerchio parelico.
Prendiamo ora in esame la complessa rappresentazione tracciata sulla stele OS4 che fa parte del complesso cultuale di Asinino-Anvoia presso Ossimo. Anche in questo caso, nonostante la complessità del petroglifo, è possibile ricondurre la configurazione ad uno dei modelli tipici delle fotometeore.
Fig.20: Ricostruzione del sito cultuale di Asinino-Anvoia presso Ossimo: al centro la stele denominata OS4.
In particolare la simulazione di una fotometeora per un’altezza apparente del Sole pari a 40° rispetto all’orizzonte astronomico locale sembra rendere conto abbastanza accuratamente, almeno dal punto di vista qualitativo, del complesso petroglifo tracciato sulla stele OS4, durante la seconda fase di incisione.
Fig.21: Confronto tra la raffigurazione sulla stele OS4 (Ossimo) e una fotometeora corrispondente ad un’altezza apparente del Sole pari a 40°. La simulazione è stata ottenuta mediante “Ray tracing” utilizzando 100 milioni di raggi.
In particolare i due dischi laterali presenti sulla raffigurazione tracciata sulla roccia potrebbero rappresentare i due pareli laterali, mentre le figure semicircolari incise superiormente ed inferiormente potrebbero essere la rappresentazione del cerchio parelico e dell’alone. In questo caso l’evento dovrebbe essere stato osservato in un giorno invernale poco meno di 4 ore dopo l’alba in quanto la faccia incisa delle stele è rivolta verso ovest quindi la fotometeora dovrebbe essere stata osservata verso est.
Consideriamo ora un altro caso molto interessante, rappresentato dal menhir riportato alla luce durante uno scavo archeologico eseguito in una località presso Ello, poco distante dalla città di Lecco. Nel 1988, in seguito ad uno sbancamento eseguito in seguito lavori di edilizia residenziale, in località Boggia, lungo la strada che porta a Trescano, presso Ello, un paesetto ubicato a sud-ovest della città di Lecco, in Lombardia, venne alla luce una porzione di insediamento collocabile cronologicamente al Neolitico Medio, nella prima fase della cultura del Vaso a Bocca Quadrata.
Fig.22: Il menhir di Ello poco dopo lo scavo
Oltre alla fase neolitica, gli archeologi della Soprintendenza Archeologica della Lombardia sono stati in grado di riconoscere almeno altri due livelli di frequentazione più recenti: uno databile all’Eneolitico recente, identificato per via della presenza di alcuni frammenti di vaso campaniforme e di “Begleitkeramik”, ed uno protostorico, risalente all’età del Ferro, attribuibile al V sec. a.C., identificato dalla presenza di un frammento di bicchiere di terracotta tipico della cultura di Golasecca. Nei pressi di un muro formato da grosse pietre a secco, è venuta alla luce un’ampia buca rettangolare, all’interno della quale si trovava un grosso masso di forma grosso modo piramidale, cioè un menhir, coricato su un lato, e orientato con la punta rivolta verso ovest.
Fig.23: Rilievo dei petroglifi presenti sul menhir di Ello, presso Lecco
Non è purtroppo stato possibile stabilire la collocazione primaria del menhir, essendo stato trasportato in epoca relativamente recente nel luogo in cui è stato rinvenuto. Il monolito, reca alcuni petroglifi tracciati sulla sua superficie e, a causa della sua morfologia, può essere classificato tra i menhir istoriati. La sua posizione stratigrafica non ha permesso un preciso inquadramento cronologico, il quale però può essere desunto, entro certi limiti, dallo studio delle figurazioni.
Il menhir, che è lungo 176 cm, largo 74 cm (valore massimo) e spesso 40 cm
(valore massimo) e’ composto de roccia granitica, di origine erratica, con tracce di levigatura superficiale sul lato frontale. Il tipo di pietra di cui e’ composto il menhir di Ello, non si presta ad una lavorazione accurata e quindi la qualità delle istoriazioni risulta assai grossolana; il suo schema, tuttavia, sembra aderire molto bene ai canoni rappresentativi della fase protostorica del Bicchiere Campaniforme. Le facce istoriate sono due; sulla prima, quella principale, è stata rilevata la presenza di un cerchio con un secondo breve segno circolare esterno al primo. All’interno del primo cerchio, il cui diametro è vicino ai 20 cm, si trova una singolare figura formata da un disco centrale, del diametro di 4 centimetri da cui si dipartono tre raggi, lunghi circa 6 - 7 centimetri ciascuno, orientati verso il basso. Accanto a questo disco, sono posti altri due dischi pieni, il cui diametro e’ di circa 3 cm ciascuno, posti uno a destra ed uno a sinistra, rispetto al disco raggiato. Non essendo evidente alcun rapporto di sovrapposizione tra il cerchio e i dischi, si ritiene che tutti possano appartenere alla stessa fase istoriativa del menhir. Al di sotto del cerchio, comprendente i tre dischi, è posta una figura antropomorfa, asessuata, con le gambe aperte ed i piedi rivolti in direzioni opposte, le braccia levate ad orante e le dita della mano ben evidenziate. Una frattura nel monolito posta in corrispondenza del braccio sinistro dell’antropomorfo, oltre ad obliterare la mano su questo lato, impedisce di rilevare il rapporto esistente tra il cerchio e la figura antropomorfa. A fianco di quest’ultima, sulla sinistra, e’ rappresentata una lama d’ascia, apparentemente priva di immanicatura, che si sovrappone ad alcune linee indefinite e fortemente incise. Nella parte inferiore sinistra, sotto l’ascia, e’ tracciato un motivo a linee parallele verticali interrotte da un rettangolo completamente riempito
a martellina, che si sovrappone alle linee indefinite profondamente incise, già, messe in evidenza.
Nella faccia laterale destra del menhir si rilevano, infine, un rettangolo fortemente inciso ed una linea piegata a forma di U capovolta. Dal punto di vista cronologico, la prima fase istoriativa potrebbe essere quella relativa alla figura rettangolare rappresentata sulla faccia laterale destra e nelle linee poste sulla faccia principale, cioè i motivi ottenuti mediante una profonda incisione.
La definizione dei rapporti delle altre figure risulta piuttosto complessa; infatti potrebbe essere ipotizzato che i tre dischi ed il cerchio che li racchiude, possano essere stati incisi durante l’età del Rame, anche perché una simbologia simile e’ rilevabile su 9 statue stele camuno-valtellinesi e sulla roccia del Capitello del due Pini a Paspardo i quali sono stati interpretati in questa sede, come la raffigurazione di una fotometeora
appariscente e spettacolare osservata nel cielo.
Fig.24: Confronto tra il “pattern” rappresentato dal petroglifo tracciato sul menhir di Ello e la fotometeora relativa ad un’altezza del Sole pari a 30° rispetto all’orizzonte astronomico locale. Anche in questo caso la simulazione è avvenuta per “Ray Tracing” utilizzando 30 milioni di raggi.
Molto probabilmente la rappresentazione tracciata sulle steli camuno-valtellinesi e sul menhir di Ello potrebbe essere la rappresentazione simbolica di una o più fotometeore comparsa inaspettatamente nel cielo di un giorno invernale poco tempo prima che il menhir di Ello fosse inciso, tra il 3200 a.C. e il 2500 a.C. In particolare il petroglifo di Ello sembrerebbe mostrare non solo il Sole con i due pareli laterali e i bracci dell’arco tangente inferiore, ma anche l’immagine del cerchio parelico. L’altezza media dl Sole al momento del fenomeno doveva essere dell’ordine dei 30° rispetto all’orizzonte naturale locale tanto che il petroglifo riporta anche l’immagine di un antropomorfo che sembra contemplare con preoccupazione lo spettacolare fenomeno alto nel cielo.
(Autore: Adriano Gaspani- I.N.A.F. Istituto Nazionale di Astrofisica- Osservatorio Astronomico di Brera (MI) adriano.gaspani@brera.inaf.it)