Il copricapo di frate Elia
Non conosciamo quale sia l’aspetto fisico di Frate Elia, perché non è pervenuto fino a noi un suo ritratto risalente al tempo in cui era in vita ma solo disegni e dipinti di epoca posteriore. Purtroppo la croce lignea opera di Giunta Pisano, voluta nel 1236 da Elia per la chiesa superiore di Assisi dedicata a Francesco, è andata perduta[1]: in essa sappiamo, per una testimonianza di quattro secoli successiva, che Elia era raffigurato in ginocchio ai piedi della croce e Giunta Pisano ovviamente non poteva non avere riprodotto la vera effigie di Elia.
Il crocefisso era appeso alla trave lignea del soffitto nel punto in cui la navata centrale era separata dal presbiterio, e a causa della sua collocazione così in alto, nei secoli seguenti nessuno aveva notato l’immagine né la scritta che l’accompagnava, fin quando i frati non calarono il crocefisso nel 1623, in occasione della consacrazione del cardinale Francesco Boncompagni da parte del vescovo di Perugia Marcello Crescenzi.
L’anno successivo per fortuna, visto che negli anni seguenti la croce andò distrutta per l’incuria dei frati o per opera dei tarli, il Crescenzi lo descrisse in un’epistola indirizzata al cardinale Federico Borromeo[2] riportando la scritta presente nella parte inferiore, in cui erano dichiarati il nome del committente, dell’autore e la data di esecuzione: “Iscrittione trovata à piedi del Crocifisso della chiesa supre di san Francesco d’Assisi con l’Effigie di f. elia: Frater Elias fecit fieri. Iesu Christe pie, miserere precantis Eliae. Guncta [sic per Giunta] pisanus me pinxit. Anno D. MCCXXXVI Indictione nona”. Il Crescenzi descrive soltanto il vestito di Elia senza accennare al suo copricapo: “con l’Habito di s. Francesco, che è da Cappuccino, con le scarpe all’Apostolica e con l’iscrittione che mando qui inclusa”.
Il Crescenzi conclude dicendosi pronto ad inviare il Crocifisso al cardinal Borromeo “se le fosse a grado la detta Effigie di Frate Elia e a volermi accennare come possa inviargliela”: purtroppo, come annota il Rotondi, “è a dolere che il Cardinale non accogliesse la cortese profferta… possederemmo un’altra copia del vetusto dipinto da poter utilmente confrontare con le copie più recenti che tutte derivano da quella conservata un tempo a Cortona”.
L’effigie di Frate Elia infatti venne dipinta quando il Generale dei frati minori era in vita e costituirebbe un documento prezioso se la croce non fosse andata perduta o distrutta, ma di essa vennero fatte copie nello stesso secolo del, per così dire, “ritrovamento”, in particolare un’incisione che si conserva al Museo francescano di Roma (FIG. 1) e un quadro che si trovava nella chiesa di S. Maria della Concezione[3] (FIG. 2), sempre a Roma, immagini dalle quali dipendono le successive, sia il dipinto presente nella chiesa di S. Francesco a Cortona (FIG. 3), sia i disegni che accompagnano la storia di Frate Elia in testi scritti sia da storici francescani (FIG. 4) che laici (FIG. 5 e FIG. 6).
In tutte le immagini si può vedere come Frate Elia indossi un singolare copricapo, una sorta di cappello bombato e allungato, sul quale non vi è accordo tra chi ne riconosce l’esistenza e chi invece ritiene sia una falsa immagine dovuta alla cattiva conservazione della figura originale nella perduta croce di Assisi, coperta dallo sporco dei secoli e dalla fuliggine dei ceri.
Vi è infatti chi, come lo storico dell’arte Faranda[4], è dubbioso che ciò che si vede nelle più antiche riproduzioni possa essere un qualche cappello e parla di “un improbabile copricapo che non trova riscontro nella descrizione del Vescovo di Assisi”, la cui esistenza sarebbe dovuta alla “scarsa leggibilità dell’opera in quel momento... Essa infatti cozza con la descrizione del vescovo di Assisi che ricorda il frate con l’abito da cappuccino” ma senza alcun copricapo di così singolare foggia. Per tale motivo Faranda ipotizza “che la ‘berretta’ altro non fosse che la tonsura celata da uno strato di sporco che offuscando l’immagine può aver suggerito l’idea di un copricapo inusuale nell’iconografia francescana”. In effetti questo copricapo riprodotto nelle immagini dei secoli seguenti il “ritrovamento” del Crocifisso è inusuale per l’abito non solo francescano ma, più in genere, monastico.
La maggior parte degli storici, come anche la Catholic enciclopedia s. v. Frater Helias, parla invece di un “berretto armeno”[5] senza ulteriori specificazioni, come riporta anche Faranda nel suo articolo: “Recentemente Fornari (cfr. Fornari Carlo, Federico II e San Francesco. Ed. All’insegna del Veltro, Parma 2005, p. 46) giustifica il cappello anche con la nota di fra Salimbene che dice che il frate ‘... portava sul capo un berretto all’armena’ (ibidem p. 48).
La nota di fra Salimbene però fa riferimento a un altro contesto. Frate Elia riceve il podestà di Parma Gerardo da Correggio nella sala da pranzo degli ospiti ‘seduto su di un letto con cuscino, e aveva un grande fuoco davanti a se e portava sul capo un berretto all’armena’... (cfr. Cronica di Salimbene de Adam in “Fonti Francescane”, ed. il Messaggero, Padova 1990, IV edizione, p. 2109)”[6].
Fig. 6 – Disegno di anonimo del XVII-XVIII sec. ispirato all’immagine di fig. 5 e recante sul verso la scritta: “Copia del ritratto di Frate Elia che trova- / vasi a pie' della Croce di Giunta Pisano in S. Fran- / cesco di Assisi, già presso i Marchesi Venuti di / Cortona, ora presso loro eredi nelle Marche” (dall’Archivio fotografico della Fondazione Zeri)
Ancora nell’800 era in uso presso i popoli della Persia, in cui al tempo era compresa l’Armenia, un copricapo in pelle molto simile a quello che si vede nelle immagini di Frate Elia (FIG. 7).
Che il “berretto all’armena” di cui parla Salimbene da Adam fosse adoperato in quei tempi e che lo adoperasse proprio Frate Elia potrebbe confermarlo un complesso disegno del ms Gamma P.4.14 della Biblioteca Universitaria Estense di Modena descritto dal Carbonelli[7] (FIG. 8).
Il codice in questione è costituito da tre manoscritti assemblati insieme, di cui il I e il III sono di inizio XVI sec. mentre il II, a cui appartiene il disegno, è della metà del XIV sec. Il disegno, accompagnato da scritte e molto complesso nel suo insieme, raffigura la ricerca del segreto dell’Opera da parte degli alchimisti i quali, dapprima bendati in segno della loro ignoranza, ricevono da un angelo la chiave che apre la porta di accesso al consesso dei saggi, Aristotele, Morieno, Geber e Avicenna, i quali apprendono i segreti dell’Arte da un philosophus senza nome che a sua volta indica come autorità Ermogene, alchimista nominato nel Liber lilium (forse da intendersi come Ermete, visto che è detto “qui triplex fuit in philosophia”, attribuzione del Trismegisto).
Si noti un particolare interessante: il simbolo in alto sopra il cerchio maggiore con cui è designato l’Oro non è il noto simbolo del cerchio con il punto al centro ma quello molto più antico a forma di cornucopia, quale si trova nelle opere dell’Alchimia greco-bizantina trascritte in codici dell’XI sec.
Come si può vedere nell’immagine tutti gli alchimisti senza eccezione portano sul capo un “berretto all’armena” che è perfettamente identico a quello delle raffigurazioni di Frate Elia: quale possa essere il significato di tale copricapo e perché un alchimista nel XIII sec. adoperasse un indumento che era considerato tipico dell’Armenia non è possibile al momento dirlo, ma sembra di poter dedurre che esso costituisse una sorta di attributo specifico di questi sapienti, per cui lo si potrebbe intendere come un ulteriore conferma dell’attività di Frate Elia come alchimista.
Legenda immagini:
Fig. 1 – Incisione conservata nel Museo francescano di Roma (da Faranda
Fig. 2 – Affresco della chiesa di S. Maria della Concezione, Roma (da Faranda)
Fig. 3 – Coro della chiesa di S. Francesco a Cortona: Elia mostra la reliquia della Santa Croce donata dall’Imperatore di Costantinopoli presso il quale era stato inviato in missione diplomatica da Federico II
Fig. 4 – Incisione da un trattato francescano sulla storia dell’ordine e sui sui Generali
Fig. 5 – Immagine di Frate Elia dal Magazzino toscano d’instruzione e di piacere, Anton Santini e compagni ed., Livorno 1755, tomo II p. 390
Fig. 7 – Immagine di nobile persiano con copricapo “all’armena” (da N. Dally, Usi e costumi sociali, politici e religiosi di tutti i popoli del mondo – Asia, Stabilimento Tipografico Fontana, Torino 1844, p.466)
Fig. 8 – Modena, Biblioteca Universitaria Estense, ms Gamma P.4.14 c. 85v
(Autore: Paolo Galiano, per gentile concessione. Pubblicato in questo sito in data 25/02/2020)
[1] F. FARANDA, La perduta croce di Assisi dipinta da Giunta pisano nel 1236, in “Commentari d’Arte”, Anno XVII, 50 (2011), pp. 7-27.
[2] Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms G 241 Inf. 329, trascritto da G. Rotondi, Una lettera al cardinale Federico Borromeo a proposito del Crocifisso di Frate Elia, in “Archivio Storico Lombardo, Appunti e notizie”, serie sesta, LIV, fasc. II-III (1927), pp. 447-451. Ringrazio la Dr.ssa F. Nigro della Fondazione Istituto “F. Datini” per avermi gentilmente inviato copia dell’articolo.
[3] Le immagini 1 e 2, qui riprodotte dall’articolo di Faranda, si trovano in Il Cantiere pittorico della Basilica Superiore di san Francesco in Assisi, a cura di G. Basile e P. Magro, Assisi 2001.
[4] FARANDA, La perduta croce di Assisi, p. 11.
[5] Il particolare significato connesso all’uso di un cappello è ancora ai nostri giorni presente in Armenia, dove è considerato segno distintivo della onorabilità di un uomo: “Il copricapo e il cappello, in particolare, erano l’incarnazione dell’onore e della dignità dell’uomo armeno. Gettare il berretto a terra equivaleva alla sua vergogna e al suo disonore” (https://www.hisour.com/it/armenian-mens-clothing-36693, consultato 31/01/2020).
[6] FARANDA, La perduta croce di Assisi, p. 25 nota 20.
[7] G. Carbonelli, Sulle fonti storiche dell’alchimia e della chimica in Italia, ed. La finestra (ristampa anastatica dell’originale del 1925), pp. 40-42, ripreso in F. Bacchelli e C. Crisciani, Filosofia, scienza e ricette. Note su di una miscellanea alchemico-farmaceutica (ms Modena, Biblioteca estense, Campori App. 186: Alpha [sic per Gamma] P.4.14), in “I manoscritti e la filosofia, Atti della giornata di studi, Siena, 18 aprile 2007” (a cura di P. Bernardini), Edizioni della Università di Siena, Siena 2010, pp. 123-152.