Tuscia esoterica- Le Dimore Filosofali della Tuscia del XVI secolo
Parte II: Tre esempi di simbolismo ermetico: Carbognano, Bolsena e Farnese
(Paolo Galiano)
Prendiamo in esame in particolare tre esempi di simbolismo ermetico che si trovano negli edifici voluti dai Farnese, meno conosciuti ma non per questo meno ricchi di simbolismo rispetto alle “dimore filosofali” di Caprarola e di Bagnaia: il Palazzo Farnese di Carbognano e il Palazzo Crispo di Bolsena, costruiti nella prima metà del XVI secolo, e, alla fine dello stesso secolo, le chiese del paese di Farnese, ove i dipinti di Antonio Maria Panico ci trasmettono una lezione non facilmente traducibile nei suoi complessi meccanismi simbolici.
- PALAZZO FARNESE A CARBOGNANO
Costruito su di una preesistente rocca medievale risalente almeno alla prima metà del 1200 a pochi chilometri di distanza dalla più celebre residenza di Caprarola del cardinale Alessandro il giovane, il Palazzo Farnese di Carbognano[1] fu eretto per Orsino Orsini e Giulia Farnese “la bella”[2], amante del papa Alessandro VI Borgia, il quale lo aveva infeudato all’Orsini nel 1494. Alla morte del marito nel 1500 Giulia fece proseguire i lavori di ricostruzione e almeno dal 1506 si insediò stabilmente a Carbognano dove rimase fino a due anni prima della sua morte, avvenuta a Roma nel 1524; in questo periodo di tempo Giulia prese come secondo marito nel 1509 il nobile napoletano Giovanni della casata dei Capece, deceduto nel 1517, ma anche se i due vissero nel Palazzo di Carbognano stranamente nessuna traccia rimane di lui.
Il Palazzo di per sé non presenta caratteri di particolare rilievo ed il giardino che si trovava intorno ad esso è andato perduto[3]. Sono invece di particolare interesse gli affreschi in forma di grottesche, dipinti tra il 1506 ed il 1524 da pittori di cui non è conosciuto il nome ma probabilmente appartenenti alla bottega di Raffaello, che ornano il grande salone e la camera privata di Giulia.
Nel salone l’elemento di maggior rilievo sono gli stemmi delle famiglie nobili che in Giulia hanno avuto il loro punto d’incontro: i Farnese per parte di padre, i Caetani per parte di madre, gli Orsini in quanto sposa di Orsino, i Della Rovere, imparentati attraverso il matrimonio della figlia Laura con Niccolò Della Rovere, al quale appartenne il Palazzo Della Rovere di Gallese. Tra le grottesche che ornano le pareti emerge un vero e proprio bestiario simbolico: il gallo, il falco, la cicogna, la civetta, l’airone, la gru, l’ibis, il drago e il cavallo, ma soprattutto, nascosto nella strombatura di una finestra, l’Unicorno o Alicorno, stemma della famiglia Farnese (FIG. 1) (insieme ai gigli azzurri in campo d’oro), rampante e recante sopra il capo un enigmatico cartiglio “IN. VE. CHITO.”.
Dove il simbolismo esoterico è più evidente è nella camera da letto di Giulia, nella quale una serie di affreschi aventi per argomento l’Unicorno e la Dama o l’Unicorno da solo ornano le lunette della stanza.
In ogni lunetta si trovano due elementi eguali posti ai lati e un disegno simbolico al centro; la Dama, sempre a piedi scalzi, è seduta su di un animale, a volte un pesce, forse un delfino, a volte un animale mitico, testa e zampe di cane e corpo pisciforme con quelle che in alcune lunette sembrano ali, che potrebbe identificarsi con il Simurg[4] dell’iconografia medievale. Altri animali sono presenti nelle scene, tra cui una tartaruga ed un trampoliere non ben identificabile (una cicogna? un ibis?).
Le scene di cui si dispone documentazione[5] possono così essere sintetizzate:
- La Dama allatta alla sua mammella l’Unicorno seduta su di un Simurg, al centro una pressa che schiaccia le fiamme, da cui escono rami di palma (?); (FIG. 2)
- La Dama gioca col Liocorno che nasce da un fiore (e sembra che nella metà di sinistra lo stia baciando, ma il dipinto appare molto danneggiato), seduta su di un Delfino e con una Tartaruga sotto il piede, al centro la Fenice che rinasce dalle fiamme; (FIG. 3)
- La Dama vestita con abito decorato dai gigli dei Farnese abbevera il Liocorno con una coppa, seduta su di un Simurg, al centro la pressa con le fiamme, in alto un cartiglio con la scritta IN IGNEM REQUIEVI; (FIG. 4)
- La Dama gioca con la barba dell’Unicorno seduta su di un Simurg, sotto di lei un Trampoliere (?), al centro un vaso (?); (FIG. 5)
- Due Liocorni affrontati con gualdrappe ai tre gigli dei Farnese e al centro un mascherone da cui si dipartono foglie e fiori (o pigne?), (FIG. 6).
Il significato dei simboli animali può essere così sintetizzato: il Simurg è un animale mitico, come il Liocorno, nel quale la coesistenza della testa del cane, della coda del pesce e delle ali dell’uccello indica chiaramente la sua natura di simbolo dei tre mondi, la Terra (cane), l’Acqua (pesce) e l’Aria (uccello); il Delfino è simbolo dell’acqua mentre la Tartaruga è un simbolo della terra; il Trampoliere è volatile che uccide i serpenti simbolo del male ma significa anche il passaggio dal fisso (serpente) al volatile (trampoliere); per quanto concerne la Fenice, il suo essere simbolo della rigenerazione e della rinascita è ben noto.
Il senso in due lunette di una pressa che schiaccia le fiamme al centro del dipinto è oscura: si può solo ricordare che a Farnese, tra i resti ceramici trovati nei “butti”, una sorta di immondezzai medievali, è stato ritrovato un piatto (FIG. 7), ora esposto nel locale Museo Rittatore, raffigurante una mano guantata che stringe una fiamma con un cartiglio recante la scritta “PER CELARE”, per cui si può ipotizzare un significato simbolico del disegno, la mano dell’alchimista stringe nel pugno il fuoco a significare il suo dominio sull’arte di fondere la materia necessaria all’Opera e nel caso di Carbognano si potrebbe ipotizzare un senso analogo.
La parte più importante dei dipinti sono, ovviamente, le scene della Dama e dell’Unicorno, il cui senso allegorico-morale è conosciuto: l’Unicorno è l’animale mitico con corpo e testa di cavallo, barba di capra e zoccoli fessi come nei cervidi, con un corno unico sulla fronte dal potere antivenefico, spesso raffigurato a spirale (come a Carbognano), animale temibile per la sua furia che si placa solo in presenza di una vergine, sul cui grembo posa il capo lasciandosi così catturare dal cacciatore.
Nelle fonti originali[6] da cui nasce il mito occidentale, cioè la Cina, l’India e la Persia, l’Unicorno è in rapporto con la vergine, con l’acqua, con l’albero e con la salute fisica: in Cina è il K'i-lin, nome che riassume il principio maschile e quello femminile, è uno dei quattro “animali benevoli”, che non calpesta erba viva né uccide animali; in India è messo in relazione con la salute e la guarigione (Atharvaveda) e con la salvezza dalle acque (nel Satapatha Brahmana l’Unicorno salva Manu dalle acque del diluvio), nel Mahabarata si parla dell’eremita Rishyashringa (“Corno di Gazzella”), figlio di Ekashringa (“Unicorno”), che viene indotto da una vergine a lasciare il suo romitaggio; nel Bundahishn persiano si parla di un grande onagro bianco unicorno a tre zampe che purifica l'oceano orinandovi, essere favoloso che è anche in rapporto con l'albero Gokard, sorgente nell'oceano, ed è considerato il rimedio contro tutti i mali. Tutti questi elementi vengono riuniti in Occidente a formare la figura dell’Unicorno quale noi la conosciamo.
In Alchimia l’Unicorno è messo in rapporto con lo Zolfo e in alcuni testi, come il Musaeum hermeticum del 1749, compare insieme con le rose a simboleggiare il passaggio dall’Opera al Bianco all’Opera al Rosso; la Dama è la Luna o il Mercurio dei Filosofi, e l’unione dei due genera il Sale.
Nelle raffigurazioni di Carbognano il rapporto tra Dama e Liocorno sembra possa essere letto in vari modi: la Dama è seduta su di un animale acquatico (il pesce) o rappresentante i tre elementi (il Simurg), con il piede sul simbolo della Terra (la tartaruga), sottolineando così il suo rapporto con acqua e terra, e nutre il Liocorno con il suo latte o lo abbevera dalla coppa, gli dà quindi la materia liquida mercuriale necessaria alla preparazione dell’Opera; l’immagine della Dama che sembra “giocare” con il Liocorno che nasce dal “fiore” può essere ricondotta al ludus puerorum che si trova raffigurato, ad esempio, nello Splendor Solis del Trismosin; nello stesso dipinto sul lato di sinistra (per altro danneggiato) sembra che la Dama stia baciando l’Unicorno, il che potrebbe essere simbolo dell’unione dei due elementi Zolfo-fuoco e Mercurio-acqua.
Il motto[7] IN IGNEM REQUIEVI (“nel fuoco ho trovato riposo”), che compare nella lunetta della Dama che abbevera il Liocorno, mi sembra significativo se posto in relazione all’Opera alchemica, e confermato dal simbolo della pressa che comprime il fuoco da cui sembrano uscire rami di palma, simbolo di vittoria, che potrebbe significare la capacità di padroneggiare il “fuoco” da parte della “Dama”, a sua volta simbolo della casata dei Farnese, in quanto porta sulla veste i gigli dello stemma.
- PALAZZO CRISPO DI BOLSENA
Tiberio Crispo (1498-1566), figlio di primo letto dell’amante di Alessandro Farnese il vecchio poi papa Paolo III, fu prefetto di Castel Sant’Angelo, cardinale e governatore di Bolsena, e in questa sua veste costruì il palazzo Crispo di Bolsena (ora proprietà Del Drago[8]), di cui furono architetti prima Raffaello da Morlupo e Simone Mosca (amico e collaboratore di Antonio da Sangallo il vecchio) e in un secondo tempo Tommaso Bevilacqua e Giulio Merisi (autore del Palazzo Capodiferro a Roma, ora proprietà Spada, celebre per la sua galleria prospettica costruita dal Borromini).
Gli affreschi, opera di Prospero Fontana e di altri pittori della metà del secolo, presentano la singolarità di essere tutti centrati, salvo lo studio del cardinale, su temi pagani, in particolare alcuni episodi della storia di Roma, i miti di Perseo e delle Muse (sala dei Giudizi) e quelli di Ercole (sala del Baccanale - tema insolito per un uomo di Chiesa!), raffigurazioni di divinità dei Gentili. Particolare interesse presenta la cosiddetta “Sala di Amore e Psiche”, affrescata con scene del mito così importante nell’Ermetismo come nell’Alchimia: tra i riquadri del soffitto (FIG. 8), al cui centro è dipinto il banchetto nuziale di Amore e Psiche tra gli Dèi con un putto alato ed un piccolo fauno che danzano davanti al tavolo, è riprodotto un Unicorno che immerge il suo corno in un ruscello tra fiordalisi azzurri (FIG. 9), duplice riferimento, il giglio e l’Unicorno, agli stemmi della famiglia Farnese di cui sia pure indirettamente il Crispo faceva parte. Nell’iconografia dell’epoca[9] il significato dell’atto è la purificazione delle acque per mezzo del corno dell’Unicorno, con il quale veniva neutralizzato ogni veleno; per tale motivo l’Unicorno era considerato figura del Cristo che con l’acqua del Battesimo o immergendosi nel Giordano purifica le anime.
Unica stanza di soggetto religioso (anche questo particolare inconsueto per un cardinale) è la piccola Stanza di Mosè, probabilmente lo studio privato del Crispo, con storie veterotestamentarie, le quattro Virtù cardinali e le tre Virtù teologali a cui è però aggiunta come quarta la Fortuna, singolare accostamento tra religione e mito.
Non è solo nella sala di Amore e Psiche che si trova l’Unicorno, il quale è invece presente in modo diciamo “massiccio” sia nella sala di Alessandro Magno al primo piano sia nella cosiddetta “loggetta del Torrazzo” che fa da ingresso al secondo piano: in questa il tema consueto della fanciulla che abbevera i due Unicorni con una coppa (FIG. 10) costituisce una fascia di decorazione continua sulle pareti al punto d’incontro con il tetto del loggiato, mentre nella sala di Alessandro Magno (FIG. 11) la rappresentazione, che si trova ai quattro angoli del soffitto (su cui è anche presente la Fenice risorgente), è più complessa e ripetuta con modalità differenti. La figura femminile non è una Dama ma una figura alata, un Angelo o un Genio vestito con una lunga tunica chiusa in vita da una sottile cintura, il quale poggia i piedi nudi su di un mascherone maschile barbuto, mentre gli Unicorni ai suoi lati sono rampanti sui rami che nascono dal mascherone e sotto di essi si trovano due figure ignude, che in alcuni dipinti sono due maschi (FIG. 12), in altri un fanciullo ed una donna (FIG. 13). Ulteriore motivo di riflessione sono le figure che decorano il giro della sala subito al di sotto del soffitto: le scene, separate tra di loro da una stella ad otto punte, da un lato rappresentano due tritoni (in corrispondenza del Genio con le due figure maschili) e dall’altro un tritone con un cigno (sotto il Genio con fanciullo e donna).
In definitiva, il Palazzo Crispo sembra offrire elementi che farebbero pensare ad una conoscenza ermetica del suo committente: la presenza ovunque delle divinità dei Gentili non sembra essere un semplice motivo ornamentale, ancor più se si pensa all’inserimento accanto alle tre Virtù Teologali della Dèa Fortuna nella Stanza di Mosè, e le scene della sala di Alessandro Magno con Genio ed Unicorni non sono banali ripetizioni di motivi standardizzati come la “consueta” Dama con Unicorno.
- LE CHIESE DEL PAESE DI FARNESE
Numerose sono le dimore che con le loro decorazioni ed i loro giardini rappresentano la “materializzazione” dell’interesse ermetico delle grandi famiglie nobiliari del viterbese, ma una delle più importanti (e meno note) manifestazioni si trova proprio nel paese di Farnese: il nome del paese come quello della famiglia deriva dalla farnia, una varietà di quercia presente nella regione ma ora quasi scomparsa[10]; per altro è difficile dire quale dei due derivi dall’altro, in quanto il paese ha già questo nome almeno dal 1210, come risulta da un diploma di infeudazione di Ottone IV di questa ed altre località agli Ildebrandeschi, e un Giovanni Farnese è ricordato in documenti del 1222[11]. Farnese fu sede del Ducato di Làtera, iniziato con Bartolomeo, figlio di Pierluigi Farnese e di Giovannella Caetani di Sermoneta, ed ebbe la fioritura con Mario, figlio del Duca Bertoldo e di Giulia Acquaviva.
Mario Farnese[12] (1548?-1619) fu uomo d’arme, Luogotenente generale delle truppe dello Stato Pontificio ed ambasciatore della Chiesa in numerosi incarichi; combatté nelle Fiandre e poi nel 1595 in Ungheria contro i Turchi nella cosiddetta “Lunga Guerra” tra l’Impero ottomano e le potenze cristiane, avendo per compagni d’armi in qualità di comandanti dell’esercito inviato da Clemente VIII condottieri, alcuni dei quali erano imparentati con i Farnese o avevano già combattuto ai loro ordini, ma soprattutto erano probabilmente conoscitori delle scienze ermetiche.
Lo storico contemporaneo Campana[13] fa i nomi di Ascanio Sforza, Francesco Del Monte, Marco Pio, Federico Sangiorgio e Ascanio Della Cornia. Più ampio l’elenco riportato dal Palinkás nel suo articolo[14]: “Perciò Clemente VIII pensò di inviare in Ungheria un esercito papale autonomo che affido al comando del cugino Aldobrandini, gonfaloniere di Santa Chiesa e comandante di Castel Sant’Angelo. Militavano come mastri di campo e capitani nell’esercito papale Don Giovanni de’Medici, Paolo Sforza, Ascanio Sforza, Ascanio della Cornia, Marco Pio, Francesco dal Monte, Mario Farnese, Flaminio Delfino ed altri bei nomi dell’aristocrazia romana e toscana”.
Il nome di Ascanio Sforza è riportato nella storia del Campana ma non risulta nella genealogia della casa Sforza[15], mentre Palinkás cita Paolo Sforza (1535-1597), figlio di Bosio II del ramo degli Sforza di Santa Fiora e di Costanza Farnese (figlia naturale del papa Paolo III e sorella per parte di madre di Tiberio Crispo, di cui si è detto a proposito del Palazzo Crispo di Bolsena), sposò Lucrezia Pio, parente di Marco Pio, partecipò come colonnello alla battaglia di Lepanto e come Luogotenente Generale nel 1595 alla guerra di Ungheria[16], e fu amico e committente dell’architetto Pompeo Floriani[17], che con lui aveva combattuto prima in Francia e poi a Lepanto e in Ungheria; Francesco Del Monte a Santa Maria (1559-1622), del ramo dei Marchesi di Piancastagnaio, aveva combattuto in Fiandra nel 1581 agli ordini di Alessandro Farnese, poi con Diomede Della Cornia in Francia nel 1592, era parente dell’omonimo cardinale e alchimista Francesco (1549-1627), amico della famiglia Medici e protettore del Caravaggio, che per lui dipinse nella villa di Porta Pinciana (oggi proprietà Ludovisi) il soffitto del “Tesoretto”, stanza privata del cardinale attigua alla "Distilleria" nella quale teneva i suoi esperimenti alchemici; Marco Pio (1567-1599) signore di Sassuolo, il quale era imparentato con i Farnese avendo sposato Clelia Farnese[18], altra figlia del cardinale Alessandro il giovane, condusse una vita molto agitata tra guerre e complotti, fu uomo di guerra e di cultura (a Sassuolo aveva fondato l’Accademia degli Unanimi[19]), partecipò alla guerra dei Paesi Bassi agli ordini dei Farnese[20] e fu benefattore e amico di Torquato Tasso. Flaminio Delfino o Delfini (1552-1605) era l’unico non appartenente a famiglia nobile (il padre, romano, era un mercante) ma aveva trascorso la vita a combattere sotto diversi signori, tra cui Alessandro Farnese nella guerra di Fiandra. Problematico identificare gli ultimi due condottieri: si ha notizia di un Federico Sangiorgio[21] che fu Cavaliere di Malta e coppiere del Gran Maestro e che partecipò con onore per i suoi atti di coraggio alla guerra contro i Turchi a Malta nel 1565, mentre Ascanio della Cornia Marchese di Castiglion del Lago, del quale si è già detto a proposito del suo Palazzo, anch’egli Cavaliere di Malta e difensore dell’isola insieme al Sangiorgio, morì nel 1571 e quindi non poteva aver partecipato alla guerra d’Ungheria nel 1595, per cui si dovrebbe pensare ad un suo parente omonimo.
Mario sposò nel 1587 Camilla figlia del Marchese Giampaolo Meli Lupi di Soragna e di Isabella Pallavicino di Cortemaggiore. Figura particolare la Pallavicino: donna molto colta e personaggio spregiudicato per i suoi tempi (la poetessa Maddalena Campiglia, di cui fu mecenate, le dedicò sonetti appassionati e l’opera Flori, in cui sembra si accenni ad un amore esistente tra le due donne), fu protettrice di Torquato Tasso, di cui fece stampare a proprie spese la Gerusalemme liberata nella editio princeps corretta dallo stesso Autore, e fu associata all’Accademia degli Innominati di Parma[22], della quale facevano parte almeno dal 1577 Ranuccio e Ottavio Farnese[23] (rispettivamente “l’Immutabile” e “l’Elevato”), e Pomponio Torelli conte di Montechiarugolo, poeta ma anche filosofo neoplatonico, discendente per parte di madre da Pico della Mirandola ed ispiratore delle pitture dei fratelli Annibale e Agostino Carracci nella Galleria Farnese di Roma, voluta dal cardinale Odoardo Farnese (fratello di Ranuccio “collega” di Torelli nell’Accademia), nella quale si trova raffigurata la teoria dell’Amore nelle sue diverse forme[24], concentrate nelle due enigmatiche figure di Eros e Anteros poste ai quattro angoli del soffitto (FIG. 14).
A Soragna Isabella aveva costituito un’Accademia degli Illuminati[25], della quale faceva parte il letterato Antonio Òngaro (1560?-1593?) con il nome di ”Affidato”, poi segretario di Mario Farnese che seguì nella guerra delle Fiandre, nel quale per alcuni[26] si deve individuare l'anima del cenacolo accademico attivo a Farnese alla fine del XVI secolo, forse continuità di quello soragnese di Isabella. Ritengo però che Mario Farnese abbia accresciuto i suoi interessi ermetici (probabilmente già esistenti, vista la storia della sua famiglia) direttamente nell’ambiente di Soragna, forse poi rafforzandoli nell’incontro con i personaggi conosciuti durante la campagna di Ungheria, poiché dell’Accademia soragnese ebbe certamente frequentazione, in quanto il contratto di matrimonio aveva stabilito che per due anni egli dovesse risiedere alla corte dei suoceri[27].
Oltre il completamento della Rocca Farnese con un camminamento sopraelevato, costruito dall’architetto Ettore Smeraldi, che univa la Rocca al Parco della Selva, mentre di una seconda località a giardino chiamata “la Galeazza”, ornata di fontane e di statue scolpite nella roccia emergente, oggi nulla rimane[28], Mario realizzò numerose opere civili allo scopo di migliorare la qualità della vita dei suoi sudditi e si adoperò nella decorazione di tre chiese, la chiesa di S. Maria delle Grazie nel monastero delle Clarisse (da lui fondato per la figlia Isabella), la chiesa del SS. Salvatore e la chiesa di S. Maria della Cavarella, poi di S. Anna.
In queste chiese parte degli affreschi murali e dei quadri furono opera di Antonio Maria Panico[29] (1575?-1621?), il quale, o per sue conoscenze o su committenza di Mario Farnese, si espresse con scene di significato ermetico, che a tutt’oggi è difficile indagare a fondo.
Nella chiesa del Monastero delle Clarisse (S. Maria delle Grazie) il Panico, ma molto più probabilmente un suo allievo, dipinse una Immacolata Concezione (FIG. 15) nota anche come Ritorno di Mario Farnese dalla guerra di Ferrara[30] del 1598, anche se molti suoi elementi lasciano perplessi per una tale denominazione. Il quadro risulta tripartito: in alto Dio benedicente tra angeli, al centro la Vergine su di una falce lunare, al di sotto, in mezzo ad una schiera di personaggi maschili a sinistra di chi guarda e femminili a destra, due figure che dovrebbero rappresentare Mario Farnese, vestito con abiti dimessi[31] e con una sacca sulle spalle per bagaglio, e sua madre, nel dipinto una donna anziana che lo accoglie con il capo velato, in primo piano a destra una donna giovane ed una bambina interpretate come Camilla e la figlia Isabella. A parte la stranezza del modo in cui il soggetto del “ritorno” è stato dipinto, alcuni elementi presenti nel quadro fanno pensare ad una precisa collocazione del dipinto nell’àmbito ermetico: le ali degli angeli accanto alla Vergine sono dipinte con il motivo alchemico della cauda pavonis, tra i simboli presenti si rilevano un drago a sette teste (tra i due personaggi principali), un vaso con gigli bianchi e rose rosse (in primo piano), un tempietto rotondo (sulle colline in alto a sinistra) ed una fontana con base forse esagonale (tra il personaggio malvestito e la figura maschile di sinistra), tempietto e fontana che compaiono in altre due opere del Panico sempre a Farnese: nella chiesa del SS. Salvatore (FIG. 16 e FIG. 17)) nell’arco della nicchia dell’altare del Rosario[32] e in quella di Sant’Anna nella vela decorata con la Dormitio della Vergine.
La chiesa di Sant’Anna, un vero e proprio testo di Ermetismo, data la complessità della sua descrizione richiede un’esposizione a parte, che sarà data nella Parte III di questo articolo.
[1] Il Palazzo Farnese di Carbognano è residenza privata e non è visitabile: per la descrizione e le fotografie degli affreschi ci siamo avvalsi del prezioso lavoro di MOSCATELLI Visita alla Rocca Farnese di Carbognano e delle foto in esso contenute opera di MAZZUOLI, dal sito https://www.canino.info. La serie di articoli di MOSCATELLI sulle residenze dei Farnese e sulla storia del territorio sarà raccolta prossimamente in una pubblicazione a stampa per le edizioni Annulli.
[2] Giulia fece erigere nel 1522, ultimo anno della sua permanenza nel paese, la chiesa di Santa Maria della Concezione a Carbognano, che fu successivamente nel 1581 affrescata con dipinti della scuola degli Zuccari (www.carbognanonline.it).
[3] VAROLI PIAZZA Paesaggi e giardini della Tuscia cit. pag. 64.
[4] Sul Simurg si veda l’articolo di ALBRILE La migrazione della Fenice in www.simmetria.org.
[5] La documentazione è disponibile solo per alcune lunette grazie al lavoro fotografico di MAZZUOLI pubblicato nell’articolo di MOSCATELLI cit.
[6] Fondamentale per la sua completezza e per la bibliografia sull’argomento l’articolo di CARDINI L’Unicorno comparso sulla rivista “Abstracta” n°4, Aprile 1986.
[7] Altri cartigli si trovato iscritti sulle pareti, la cui interpretazione è ardua. MOSCATELLI nell’articolo citato così li riporta: “CI TO PFI CIET (sta per "cito perficiet": presto si compirà); HOMO (uomo); DATUR (è concesso); EST AURUM (è oro); AD SUUM (al proprio); OPERIBUS (con le opere); M.C.S. (sigla incomprensibile); REQUIEVI (ho trovato pace); IN IGNIM REQUIEVI (nel fuoco ho trovato pace, sollievo)”. Non viene però segnalata la loro precisa disposizione sulle pareti e la corrispondenza con i dipinti.
[8] Il Palazzo può essere visitato solo su accordo con il proprietario Principe Del Drago (tel. 0761-799393). La descrizione e le foto del Palazzo Crispo sono per questo motivo tratte dal sito www.futouring.it.
[9] PICINELLI Mondo simbolico formato d’imprese… ampliato, Milano 1669 pagg. 219-221.
[10] BARAGLIU Farnese, sul sito della Riserva naturale “Selva del Lamone”.
[11] FRAZZONI Farnese nel tempo, in Conoscere Farnese, Acquapendente 2012 pag. 9.
[12] Le notizie su Mario Farnese, oltre alla biografia reperibile nell’Enciclopedia Treccani, sono tratte da BARAGLIU Mario Farnese signore del Ducato di Làtera e Farnese in www.farneseonline.it; quelle sulle chiese di Farnese da RICCI La chiesa di S. Anna, in RINALDI Conoscere per conservare - Percorsi didattici e culturali nella Tuscia, Roma 2008 pagg. 49-61; BARAGLIU Chiesa parrocchiale del SS Salvatore in Farnese, in https://discoverytuscia.blogspot.it; RICCI Effemeridi artistiche a Farnese, in Conoscere Farnese cit.; FRAZZONI, Farnese nel tempo, in Conoscere Farnese cit.
[13] CAMPANA Delle historie del mondo, Venezia 1597 vol. II pag. 723.
[14] PALINKÁS Eserciti papali in Ungheria. La presa di Strigonia, in “Corvina – Rassegna italo-ungherese”, anno III, 1940 n° 5 pag. 355.
[15] Sia Ascanio che Paolo sono nomi frequenti nella casata e si potrebbe avanzare l’ipotesi che il primo appartenesse ad un ramo cadetto.
[16] Enciclopedia Treccani sub voce “Sforza”.
[17] Pompeo Floriani fu tra i primi architetti a disegnare il piano di una città, chiamata la “Città Felice”, in forma esagonale e con assi viari ortogonali
[18] Curiosità: il suo nome è legato alla preparazione del Nocino, offerto in abbondanza nel giorno delle nozze con marco Pio, liquore famoso che dalla regione di Sassuolo pian piano si diffuse in tutta Italia: il Nocino ha una preparazione “magica”, in quanto le noci da cui sarà fatto vengono raccolte la notte del San Giovanni d’Estate e dovrebbero essere tagliate solo con un coltello di cristallo (www.sassuolonline.it/cleliafarnese.htm).
[19] CAMPORI Memorie storiche di Mario Pio di Savoja signore di Sassuolo, Modena 1871 pag. 76.
[20] CAMPORI cit. pagg. 52-53. Per la partecipazione alla guerra in Ungheria: pagg. 59-67.
[21] Sulla presenza a Malta di Sangiorgio e di Ascanio Della Cornia si veda BOSIO Della sacra Religione et ill.ma Militia di San Giovanni Gerosolimitano, parte III pagg. 605 C, 619 B e 826 E per il Sangiorgio e pag. 616 E per il Della Cornia.
[22] DALL’ASTA Eredità di carta. Biblioteche private e circolazione libraria nella Parma farnesiana (1535-1731), Milano 2010 pag. 313.
[23] DENAROSI L’Accademia degli Innominati di Parma, teorie letterarie e progetti di scrittura (1574-1608), Firenze 2003 in Cronologia accademica anno 1577.
[24] Sull’argomento si veda lo studio di COLONNA Pomponio Torelli, Annibale e Agostino Carracci e la teoria degli Affetti nella Galleria Farnese, Dipartimento di Italianistica dell’Università di Parma 2012.
[25] QUADRIO Della storia e della ragione di ogni poesia, Bologna 1739 vol. I pag. 98; Dizionario delle opere Bompiani, Milano 1947-1952 vol. III pag. 18.
[26] RICCI La chiesa di S. Anna cit.
[27] BARAGLIU Mario Farnese, Signore del Ducato cit.
[28] VAROLI PIAZZA Paesaggi e giardini cit. pag. 80.
[29] Le notizie biografiche sul Panico sono scarse: per POSNER Antonio Maria Panico e Annibale Carracci, in “The Art Bulletin” LII, 1970 pagg. 181-183 sarebbe nato poco dopo il 1575 a Bologna e deceduto nel territorio di Farnese intorno al 1620; i luoghi di nascita e morte, ma non le date, sono riportati dal BELLORI Vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, Roma 1672 (rist. anastatica ed. Forni, Bologna) a pag. 93.
[30] La descrizione del quadro è tratta dai testi di FRAZZONI e di RICCI in Conoscere Farnese cit.
[31] Secondo BARAGLIU Mario Farnese cit. la povertà degli abiti del personaggio sarebbe in relazione alla “sciagurata impresa” dell’Ungheria, finita male per le truppe italiane. Questo però non spiega l’analoga semplicità dei vestiti indossati dalla figura femminile.
[32] L’altare del SS. Rosario venne affrescato dal Panico intorno al 1596 (SCHLEIER Panico, Gentileschi, and Lanfranco at San Salvatore in Farnese, in «The Art Bulletin», pag.172); sempre del Panico nella stessa chiesa sono anche il Sacrificio della Messa, in cui forse il sacerdote raffigurato è il cardinale Alessandro Farnese, e i due dipinti di S. Giovanni Battista e di S. Sebastiano ai lati dell’altare della Trinità (BARAGLIU Chiesa parrocchiale del SS Salvatore cit.).
- Autore: Paolo Galiano; l'articolo è presente in forma originale nel sito https://www.simmetria.org
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